Intervista e editing: Nina zu Fürstenberg
Video: Anna Fanuele
Trascrizione completa del video
Da storico penso che uno dei problemi che noi oggi abbiamo nella difficoltà di quello che chiamiamo ‘il dialogo tra culture’ nel Mediterraneo – naturalmente in particolare tra la sponda sud e la sponda nord – sia nel fatto che sono imprecisi i nostri vocabolari di partenza. Quindi, in qualche modo, in questo momento vorrei provare lavorare sulla costruzione di un sorta di una biblioteca condivisa: i nostri autori e i loro autori, le pagine che abbiamo letto noi e quelle che hanno letto i nostri a mici dall’altra parte del Mediterraneo…insomma, quali sono i dieci libri del Mediterraneo – per dirla in questa maniera – che consentono alla nostra discussione di oggi di essere una discussione nella quale capiamo, ciascuno di noi con l’altro, da quale punto stiamo partendo?
Le scoperte sono già interessanti. Quello che ho provato a dire anche in questa settimana di Istanbul è che lo ‘scavo’ di questa biblioteca, la ricerca di questi libri, ti porta a vedere come ci siano – soprattutto in alcuni momenti storici determinanti; io ho scelto la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, cioè le origini della modernità per noi europei, ma anche le origini della modernità per il mondo Islamico – autori che hanno dovuto porsi le stesse domande. Porsi le stesse domande – come il caso da noi Machiavelli con il suo Principe e dall’altra parte di Ibn Khaldoun con la sua Introduzione alla Storia Universale – non significa necessariamente trovare le stesse risposte. Anzi, al contrario, quello che è interessante e che è necessario naturalmente nel dialogo di oggi, è non immaginare che se si fanno le stesse domande si trovano le stesse risposte, o peggio che una sola risposta a quelle domande sia quella giusta; però che ci sia un campo di domande comuni all’origine del nostro stare insieme e del nostro volere discutere insieme, questo sì che è determinante.
Queste domande comuni – quando le vai a vedere negli autori che ho ricordato, o più generalmente nei processi storici che essi hanno attraversato – si chiamano quasi sempre l’autonomia della politica, la possibilità di una cittadinanza che non si riferisca a processi esterni, a legittimazioni esterne, ma che trovi la propria legittimazione in se stessa. Questo è quello che succede tanto nella costruzione degli imperi d’Occidente, l’impero spagnolo, poi più tardi il grande impero asburgico, l’impero russo, così come nella costruzione del grande – anzi del prevalente – impero mediterraneo che è l’Impero Ottomano. Proprio perché sono – Machiavelli da una parte che Khaldoun dall’altra di fronte alla necessità di una legittimazione strettamente politica di queste grosse entità che si stanno costruendo, di determinare questa cittadinanza – termine improprio, in realtà è una sudditanza – nei nuovi spazi imperiali, un’autorevolezza che non potrebbero possedere solamente con la religione, ne viene fuori quel quadro di domande a cui accennavo. Che cosa significa essere cittadini anche quando anche quando si hanno fedi diverse? Che cosa significa cioè che l’uomo di fede, quando entra in una comunità politica, non rinuncia certamente alla forza delle sue convinzioni.. Anzi. Come spiega Tocqueville, e come ho ricordato nel mio intervento, talvolta una convinzione di fede aiuta una comunità politica ad avere obiettivi di lungo periodo, a porsi dei problemi e delle soluzioni più profondi, eticamente più densi. Ma tutto questo avviene nell’ambito di una battaglia, di una lotta che è una discussione civile, e non è mai un principio di legittimazione religiosa. Credo che questo inizio di biblioteca, questo frammento di condivisione di autori oggi sia un passo utile perché possiamo provare a capirci. Ecco quindi cosa significa costruire questa biblioteca condivisa di cui ho parlato, significa scavare reciprocamente: ognuno di noi non deve portare il proprio testo, il proprio autore preferito dalla propria sponda, al contrario: deve avere il coraggio di andare a guardare nei libri e nelle pagine degli altri. Questo lo dobbiamo fare noi, ma lo dobbiamo chiedere naturalmente anche ai nostri amici dell’altra sponda, per i quali un vero dialogo tra culture significa che anch’essi si confrontino – come è già accaduto nel passato, Machiavelli fu già tradotto alla fine del Settecento nel mondo arabo e in Turchia – insomma che guardino anche loro fino in fondo nelle letture che noi abbiamo fatto, così come noi guarderemo nelle letture che essi hanno fatto.