velo
  • Abdullahi An-Na'im 13 marzo 2012
    “Se uno Stato dichiara di essere islamico e impone una determinata visione dell’islam, nega di fatto la libertà di dissentire da essa. Ecco perché serve lo Stato secolare”, sostiene Abdullahi an-Na’im, studioso di diritto e di giurisprudenza islamica. Resetdoc lo ha intervistato durante l’edizione 2011 degli Istanbul Seminars.“La shari’a è uno sforzo umano di comprendere il divino, ma rimane pur sempre umano. Per questo ciascun credente è responsabile della propria comprensione del testo”, spiega il Professor An-Na’im. Ed è per questo che, come chiunque altro, “ogni musulmano ha bisogno dei diritti umani: libertà di credo e di associazione, libertà dall’oppressione, ma anche diritto al dibattito, al dissenso e alla contestazione, e può soltanto supporre quale sia il significato del messaggio, nessuno può avere una pretesa di verità assoluta su cosa sia la shari’a”.Infatti, “nella tradizione intellettuale islamica il concetto di shari’a veniva inteso come ‘zanni’, cioè come supposizione, e questo era un bene”, sottolinea il filosofo sudanese-americano, “perché la certezza tende inevitabilmente all’autoritarismo, all’oppressione e al dominio degli altri, da parte di chi è ‘certo’ di possedere la verità rivelata. E, anche dal punto di vista logico, la possibilità di essere musulmano, la possibilità stessa della fede richiede la possibilità di non credere: se non sono libero di credere, la mia credenza non ha alcun valore. Per questo motivo, creare le condizioni in cui io abbia la libertà di credere o di non credere è indispensabile alla possibilità di essere musulmano. Lo Stato deve essere secolare, in modo che io possa essere musulmano per convinzione, e non per imposizione.”
  • Un'intervista alla filosofa femminista Nancy Fraser 3 giugno 2010
    «Parliamo troppo di religione? Piuttosto penso che dovremmo fare un passo indietro e riflettere sul perché così tante questioni politiche vengono inquadrate in termini religiosi. Le controversie sull’hijab e sul velo, in Europa e in Turchia, occupano una posizione analoga a quella delle battaglie sull’aborto negli Stati Uniti – dice in questa video-intervista la filosofa femminista Nancy Fraser – In entrambi i casi assistiamo a una spettacolarizzazione mediatica. Sono inquadrate in modi molto polarizzanti e hanno la capacità di succhiare via tutto l’ossigeno nell’atmosfera. Ad esempio oscurano le questioni femminili dei diritti sociali e della salute».
  • Marco Cesario 27 maggio 2010
    Le sfide della globalizzazione, la politica estera dell'AKP, le identità curde e armene. Il ciclo degli Istanbul Seminars 2010 si chiude nel segno della Turchia, un paese che nel futuro immediato è chiamato ad affrontare le sfide più difficili, non ultima quella dell'accidentato percorso per entrare a far parte del club dei 27. Restano ancora diversi nodi da sciogliere. Il problema di Cipro Nord, le questioni armena e curda, ma anche il completamento dell'opera di modernizzazione che proietti la Turchia lontano dalle derive del nazionalismo radicale e del fondamentalismo religioso.
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