rivoluzione
  • 26 maggio 2016
    La rivoluzione tunisina si è sviluppata con modalità diametralmente opposte rispetto ad altri stati coinvolti nelle primavere arabe. Diversi intellettuali tunisini intervistati da Reset-Doc analizzano i motivi che, malgrado le grandi difficoltà economiche e sociali, hanno portato questo paese a intraprendere un processo di democratizzazione pacifico e fortemente influenzato dall’azione della società civile alla quale nel 2015 è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace. 
  • Avishai Margalit 1 febbraio 2013
    Sono in molti ormai a chiedersi se anche nella primavera egiziana le forze organizzate prenderanno il sopravvento su quello che resta della rivoluzione del Cairo, come accadde un secolo fa, quando la frangia bolscevica dei rivoluzionari russi prese in ostaggio i movimenti spontanei e plurali per imporre la propria ideologia. Ma è un timore giustificato? E il parallelismo con la rivoluzione d’ottobre ha un senso? E cosa è rimasto invece è dell’ondata di proteste che investì Israele nell’estate del 2011? Anche qui le forze più organizzate e conservatrici sembrano avere avuto il sopravvento sulla spontaneità dei movimenti. Ma, infondo, è pensabile un serio cambiamento senza organizzazione? Lo abbiamo chiesto al filosofo israeliano Avishai Margalit durante gli Istanbul Seminars di Reset-Dialogues, nel maggio 2012. Una video intervista di Nina zu Fürstenberg
  • Antonella Vicini 18 aprile 2012
    Nemmeno poche ore dalla tregua e sono già numerose le violazioni. Mentre una nuova risoluzione sul tavolo delle Nazioni Unite permette l'invio di trenta caschi blu a Damasco, in Siria i tempi sembrano accorciarsi. A più di un anno dall’inizio delle proteste contro il regime di Bashar al Assad che hanno provocato la morte di migliaia di persone – le cifre variano a seconda delle fonti e come spesso avviene in questi casi è impossibile realizzare un computo preciso. Il Syrian Observatory of Human Rights parla dell'uccisione di 7.306 civili, di 2.248 membri delle forze governative e di 554 soldati disertori; mentre l'Onu ne conta novemila; ma i gruppi di opposizione fanno salire il drammatico conteggio a più di 12mila civili – il piano di Kofi Annan sembra essere attualmente l'unica via d'uscita politica dalla crisi.
  • Paola Caridi intervistata da Matteo Tacconi 3 febbraio 2011
    È caduto il regime tunisino di Ben Ali. In Egitto la piazza non intende cedere d’un millimetro. L’obiettivo, chiaro, è mandare a casa Mubarak e vincere la rivoluzione. Altre tensioni, più o meno accentuate a seconda dei casi, si registrano in altri paesi dello scacchiere arabo: Yemen, Giordania, Algeria, Libia, Marocco, Siria. Sotto certi aspetti sembra di assistere a un altro 1989. Certo, ci sono differenze evidenti. Non c’è un’Unione sovietica e non c’è un Mikhail Gorbaciov, tanto per cominciare. Ma ci sono i movimenti di massa e la dissidenza, ci sono la piazza, la tenacia e la volontà di andare fino in fondo. Forse c’è un effetto domino, forse. La storia non si ripete mai uguale a se stessa, ma a volte comunque si ripete. La giornalista Paola Caridi, esperta di Medio Oriente e autrice di Arabi invisibili (Feltrinelli, 2007), è tra chi ha segnalato sin dalle prime battute delle rivolte nel mondo arabo la presenza di una serie analogie tra questo 2011 e il 1989 dell’Europa centro-orientale. Le abbiamo chiesto di farci strada dentro questo parallelo.
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