3 febbraio 2011
È caduto il regime tunisino di Ben Ali. In Egitto la piazza non intende cedere d’un millimetro. L’obiettivo, chiaro, è mandare a casa Mubarak e vincere la rivoluzione. Altre tensioni, più o meno accentuate a seconda dei casi, si registrano in altri paesi dello scacchiere arabo: Yemen, Giordania, Algeria, Libia, Marocco, Siria. Sotto certi aspetti sembra di assistere a un altro 1989. Certo, ci sono differenze evidenti. Non c’è un’Unione sovietica e non c’è un Mikhail Gorbaciov, tanto per cominciare. Ma ci sono i movimenti di massa e la dissidenza, ci sono la piazza, la tenacia e la volontà di andare fino in fondo. Forse c’è un effetto domino, forse. La storia non si ripete mai uguale a se stessa, ma a volte comunque si ripete. La giornalista Paola Caridi, esperta di Medio Oriente e autrice di Arabi invisibili (Feltrinelli, 2007), è tra chi ha segnalato sin dalle prime battute delle rivolte nel mondo arabo la presenza di una serie analogie tra questo 2011 e il 1989 dell’Europa centro-orientale. Le abbiamo chiesto di farci strada dentro questo parallelo.