Perché dobbiamo imparare a fare autocritica
N. U. 19 December 2007

Questo testo è il terzo e ultimo intervento di Nadia Urbinati nel dialogo svoltosi tra l’autrice e il filosofo Michael Walzer. Il dialogo ha avuto origine dall’articolo di Urbinati “No al manicheismo, scelgo il dialogo come Bobbio”, pubblicato dalla rivista Reset nel numero 103 (settembre-ottobre 2007).

Caro Michael,
Nel saggio che ha costituito il punto d’inizio della nostra discussione, sostengo che interferenza esterna e dialogo dovrebbe procedere insieme. Alla fine della nostra conversazione mi sembra che il nostro disaccordo attenga alla forma che l’interferenza esterna – di contrapposizione o meno – dovrebbero assumere. A questo proposito tu suggerisci una divisione del lavoro tra coloro che perseguono una strategia di contestazione forte e i sostenitori di una politica di dialogo; come a dire, tra guerrieri e intellettuali, una distinzione che richiama quella tra Hobbes e Kant intesi come modelli contrapposti (guerra e dialogo), identificati da Robert Kagan rispettivamente con gli Usa e l’Europa. Ho dei dubbi se questa divisione del lavoro sia una buona soluzione, soprattutto nel caso in cui entrano in gioco relazioni fra scenari macro e micro. Insieme alla contrapposizione come forma di azione diretta, tu stesso riconosci che il dialogo «locale» (per esempio sul fatto che una moschea debba o meno essere costruita vicino a noi) ha «valore ed è assolutamente necessario».

Ma istanze come questa mi sembrano essere «locali» in un senso molto peculiare, dal momento che riflettono in maniera più o meno diretta il clima di «contrapposizione internazionale su più larga scala», di cui sono parte integrante. Proprio l’accettazione di una logica di contrapposizione a livello internazionale è nella maggior parte dei casi la ragione della difficoltà, a volte impossibilità, di un dialogo «locale ». Fino a quando percepiamo lo scontro internazionale come una politica efficace piuttosto che una risposta necessaria per la risposta a specifiche situazioni di violenza, non possiamo trattare tematiche «locali» come puramente ed esclusivamente tali. La guerra in Iraq, e la filosofia di guerra preventiva che l’ha giustificata, se è stata sicuramente un errore dal punto di vista strategico lo è stata a maggior ragione per aver reso gli strumenti della politica (dialogo e diplomazia) un’eccezione, facendo della guerra e dello scontro una regola. La radicalizzazione del fanatismo, del «noi» e del «loro», che si riflettono in modo spietato nelle discussioni su questioni locali, sono una conseguenza insopportabile di questa contrapposizione. Vorrei concludere questa nostra conversazione con un pensiero generale sul «ruolo degli intellettuali» (per usare una vecchia espressione) nella società democratica, i quali a mio avviso dovrebbero educare i cittadini a un atteggiamento critico nei confronti dei loro governanti e di chi ha salde certezze su cosa sia giusto o sbagliato – J.S. Mill diceva che in ogni menzogna c’è un grano di verità e che l’obiettivo del libero pensatore dovrebbe essere quello di rendere questo grano manifesto, così da mostrare la complessità di una realtà che i credenti di qualsiasi fede considerano invece come semplice e unidimensionale (visione manichea).

Gli intellettuali conservatori che hanno dato voce all’amministrazione statunitense, giocando sul rigido dualismo tra gli Usa e l’Europa, tra contrapposizione e dialogo, hanno reso un cattivo servizio al loro paese e al mondo. Non sono riusciti né a costruire un mondo democratico laddove hanno portato la guerra né a proteggere meglio le nostra libertà e la nostra vita; piuttosto ci hanno lasciato in eredità solo macerie (nel paese occupato come nelle nostre società democratiche), per rimuovere le quali saranno necessari tempo e nuova energia. Mi sembra che il nostro compito critico debba iniziare proprio dal punto in cui la logica di contrapposizione ha fallito, con una «critica interna» dell’atteggiamento mentale manicheo.
Saluti,
Nadia

Nadia Urbinati è professore di Teoria politica alla Columbia University di New York. Dirige insieme ad Andrew Arato la rivista Constellations. Tra le sue pubblicazioni, Representative Democracy: Principles and Genealogy (University of Chicago Press 2006). Autrice di saggi sul liberalismo, l’individualismo e Stuart Mill, ha curato e pubblicato in America, per Princeton University Press, il Socialismo liberale di Carlo Rosselli. È inoltre co-autrice di Liberal-socialisti. Il futuro di una tradizione (con M. Canto-Sperber, I libri di Reset, Marsilio, 2003) e di La libertà e i suoi limiti. Antologia del pensiero liberale da Filangieri a Bobbio (Con C. Ocone, Laterza, 2005).

Traduzione di Antonella Santilli

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