Si parla sempre degli sbarchi sulle coste italiane, ma che notizie arrivano sui tragitti nel Mediterraneo?
Abbiamo fatto il punto della situazione attraverso le segnalazioni che riceviamo da parenti e amici di persone partite dalla Libia ma che non risulta siano mai arrivate da quest’altra parte del Mediterraneo: e sono più di 800. Pochi giorni fa abbiamo ricevuto la sconvolgente testimonianza di un naufrago che si è salvato perché le correnti lo hanno riportato in Libia, con altre dieci persone. Questo giovane ha contattato padre Moses Zerai (agenzia Habeshia per la Cooperazione e lo sviluppo che sta seguendo la situazione dei rifugiati eritrei e somali, ndr) per raccontare quanto accaduto. La sua imbarcazione è rimasta alla deriva per 15 giorni con 72 persone a bordo, ha incrociato più di una volta delle navi, è stata anche avvistata da un elicottero che ha scattato delle foto, ma nessuno è andato a soccorrerli. E 62 persone, tra cui donne e bambini, sono morte di stenti.
Cosa si può fare in situazioni come queste?
E’ allarmante e non si spiega come mai in un Mediterraneo pieno di mezzi navali possano morire in questo modo delle persone. E che un’imbarcazione resti allo sbando per due settimane. Bisogna riuscire a porre in atto dei provvedimenti e ci deve essere maggiore coordinamento; e poi è necessario fare chiarezza sulle responsabilità perché non passi il principio dell’impunità nel Mediterraneo. C’è chi dice che se una barca ha il motore funzionante non è in difficoltà, ma una barca piena di persone che non sono neanche in grado di gestirla è già per definizione in difficoltà e non bisogna aspettare il peggio, perché poi si rischia di non riuscire a intervenire.
I numeri di questi flussi migratori sono da emergenza?
Il dibattito in Italia è molto povero, statico, si parla da anni nello stesso modo di un fenomeno che invece è in costante e in continua evoluzione. Un’emergenza non può essere tale per 12 anni. Ma si continua a parlare solo in termini di minaccia alla sicurezza e in questo modo il dibattito sull’immigrazione non restituisce la complessità del fenomeno, anzi crea nell’opinione pubblica la convinzione di qualcosa di sbagliato. C’è una percezione completamente negativa, e questo è dovuto anche a come la materia viene trattata da gran parte della politica e gran parte della stampa.
Tunisia ed Egitto: come stanno affrontando l’immigrazione e la gestione delle frontiere?
La cosa desta meraviglia, ma mentre in Italia si vivono gli arrivi via mare come invasione, senza capire quello che succede nel Nord Africa, dalla Libia sono scappate 500mila persone che si sono riversate nei paesi confinanti, soprattutto in Tunisia ed Egitto: due paesi che hanno i loro problemi interni, ma che hanno lasciato le frontiere aperte. La Tunisia così come l’Egitto hanno fatto fronte a questo flusso di oltre 200mila persone per paese, e noi invece pensiamo che l’onda d’urto sia sull’Italia, dove sono arrivate 23mila persone. Basta analizzare il flusso di chi è uscito dalla Libia: si capirà subito che nel nostro paese sono arrivate dalla Libia 3600 persone. Gli altri sono tunisini, che però provengono da un paese che a sua volta ospita 220mila profughi.
Italia ed Europa: dove stiamo sbagliando?
E’ chiaro che se si pensa solo agli arrivi, si perde di vista la visione allargata, la portata di quanto sta accadendo, e così si rischia di perdere un’opportunità, perché è nell’interesse dell’Italia e dell’Europa che dopo queste rivoluzioni si consolidino i processi democratici, perché poi si consolideranno anche quelli di sviluppo economico, e questo porterà più stabilità. I giovani tunisini non avranno più bisogno di cercare in lavoro in Europa, se potranno cercarlo nel loro paese. E se in Libia ci sarà la democrazia cambieranno tante cose, incluso il fatto che i rifugiati non saranno necessariamente costretti a proseguire oltre per trovare un posto sicuro.
L’idea di scrivere il suo libro “Tutti indietro” nasce nel 2009, dopo i primi respingimenti in mare: che cosa ha significato questa politica?
Il governo italiano ha adottato nel 2009 una politica di respingimenti in alto mare e questo ha segnato un punto di non ritorno perché non avremmo mai pensato che in Italia si potesse arrivate a questo, proprio per la tradizione migratoria del nostro paese. Anche il “modello Lampedusa” che avevamo contribuito a creare è andato in fumo, con tutta la gestione dei flussi migratori misti con il controllo della frontiera ma anche il rispetto del diritto d’asilo. Perché i respingimenti in alto mare prescindono l’identificazione e tutta una serie di passaggi previsti dall’ordinamento giuridico, e per questo non possono andare bene.