Nel numero di maggio-giugno della nostra rivista Reset abbiamo voluto realizzare una “mappa intellettuale” dell’Islam che cambia, dei rappresentanti del pensiero critico interno al mondo musulmano, sullo sfondo delle rivolte nei paesi arabi e della tragica repressione in Iran, pur sapendo di esporci a tante critiche quante sono gli arbitri che ci siamo concessi nel selezionare, escludere, includere e semplificare. Anticipiamo su resetdoc.org alcuni profili di questi pensatori, tradotti anche in inglese e accompagnati da un saggio di Fred Dallmayr sui due grandi filosofi Nasr Abu-Zayd e Mohamed Al-Jabri, entrambi scomparsi poco meno di un anno fa.
Il lavoro di questi anni ci ha messo a contatto con idee, persone, luoghi e punti di vista di straordinario interesse; abbiamo visto la «fatica del cambiamento» in loco, da Teheran a Casablanca: situazioni diverse, per vari gradi di fatica, repressioni e carcere, passaporti negati, minacce degli estremisti, ma anche, finalmente, qualche successo. Volevamo dare dei nomi a questa fatica. Volevamo condividere un po’ di quel che abbiamo visto da vicino e illustrare l’identità di molti intellettuali vivi e impegnati, con un futuro promettente ancora da percorrere, di qualcuno dei loro maestri, di quelli scomparsi da poco, e di quelli scomparsi da qualche decennio, e che hanno lasciato una bella eredità di idee.
Nasr Abu Zayd che, dopo un lungo esilio via dal suo Egitto, ha lasciato un progetto incompiuto di reinterpretazione storica del testo del Corano, che amava e recitava da musulmano osservante, è stato accompagnato per tutta la vita dall’accusa di apostasia. È il marchio doloroso di molti esponenti della tradizione, variamente riformista, critica, più o meno laica (mai antireligiosa), più o meno religiosa, che compone un vasto, variopinto, pluralissimo e contraddittorio mosaico che sta dietro quel nebuloso concetto che è il «mondo musulmano che cambia» di cui cominciamo oggi a parlare.
In che rapporto stanno queste persone con i cambiamenti in corso nel mondo arabo? Le rivolte in Egitto e Tunisia, in Libia e in Siria non sono il frutto del riformismo islamico liberale o delle loro teorie ermeneutiche innovative, e neppure di qualche ideologia secolare antireligiosa. Sono la conseguenza di situazioni materialmente insostenibili e di una desiderio di liberarsi da poteri autoritari, oppressivi, crudeli e deludenti. Tranne alcune figure di rilievo pubblico e politico (come gli sciiti persiani Khatami o Soroush, o il Nobel Shirin Ebadi, oggi figure dell’opposizione al regime teocratico iraniano), nessuno di loro è direttamente chiamato in causa sulla scena pubblica. Le proteste non hanno avuto connotati religiosi. Eppure è vero che il regime utilizzava l’opposizione islamista, perseguitandola insieme ai liberali laici, per giustificare limitazioni alla libertà politica, è vero che ora il futuro di questi paesi si dovrà misurare con società a maggioranza musulmana, che l’esperienza turca di una correzione del laicismo kemalista riavvicina politica e religione e viene guardata con interesse da tutti i paesi arabi.
Dunque i nodi del rapporto tra l’Islam e la sua via alla modernità, tra questa religione «ortopratica» con i suoi dettati di giustizia (la shari’a) e la costruzione di ordinamenti democratici e pluralisti si riproporranno molto presto, dalla Costituzione egiziana ai codici civili da riscrivere, dalla legislazione sulla famiglia alle politiche necessarie per tutelare i diritti delle donne. Questi temi sono già nell’agenda di oggi. E il lavoro non può che ricominciare da qui, sui punti controversi che hanno alimentato la fatica degli autori e delle autrici di cui stiamo parlando.
Nella mappa – che prenderà corpo su ResetDoc nel corso dei prossimi mesi a partire da ora, con Al-Jabri, Abu Zayd, Talbi, Filali-Ansary e Soroush – abbiamo limitato la selezione storica ai tempi più recenti, quattro grandi scomparsi di questi anni (Al-Jabri, Arkoun, Abu Zayd, Zakariyya), due figure più lontane nel tempo, ma di grande influenza (Taha, Abderraziq), anche se il riformismo musulmano ha una storia ben più lunga è e non è scaturito improvvisamente – vi insiste nei suoi saggi Massimo Campanini – come Minerva dalla testa di Giove.
Senza risalire ai primi secoli del mutazilismo e all’epoca d’oro di Averroè, bisogna almeno accennare al cosiddetto modernismo arabo, Islah o Nahda, della fine dell’ottocento che ha avuto l’esponente forse più significativo nel persiano Jamal al-Din al-Afghani. I nomi dei maestri scomparsi – un marocchino, un algerino, tre egiziani e un sudanese – contengono già le principali direzioni di lavoro nel cambiamento: la critica della eredità islamica (turath) e la sua riforma, la ricerca delle cause della decadenza seguita al periodo d’oro dell’egemonia musulmana, con l’accento posto sulla necessità di un distacco della religione dalla politica (i secolaristi come Arkoun), o sulla critica storico politica (Abderraziq, Al-Jabri), sulla necessità di riaprire le porte dell’ermeneutica del Corano (Taha, Abu Zayd).
Le vie della evoluzione del mondo arabo, e di quello musulmano, si manifestano sia per impulsi interni sia per sollecitazioni esterne. La relazione con l’Europa e l’America ha attraversato secolari fasi conflittuali e poi il colonialismo, con gli strascichi conseguenti, ma ha anche alimentato uno scambio intensissimo. C’è dunque un riformismo islamico che accoglie la sfida della competizione e del dialogo con l’occidente, che pratica il dialogo con il liberalismo occidentale, da Locke a Popper, pur senza rinunciare a una concezione della democrazia con una ispirazione religiosa (Soroush) e c’è chi vede maturare una altra fonte di adattamento e cambiamento dell’Islam nell’immigrazione musulmana nei paesi democratici europei (l’Euro-Islam del secolare Bassam Tibi e la teoria dell’«accasamento» del riformista religioso Tariq Ramadan, figure assai diverse e in contrasto tra loro, eppur parte del mosaico).
Non si insisterà mai abbastanza su quanto possa essere ingannevole l’espressione «mondo musulmano», della quale pure non si può fare a meno. Non bisognerà mai dimenticare che se l’Islam in sé è già un complicato intreccio di sette (utile ricordare il libro di Reset Mosaico Islam, di Vartan Gregorian, con introduzione di Umberto Veronesi), il riformismo musulmano di cui stiamo parlando, attraverso i pensatori di questa mappa, presenta una varietà di percorsi altrettanto vasta.
Le singole voci sono state redatte da Giancarlo Bosetti, Nicola Missaglia, Nina zu Fürstenberg. Ringraziamo per i suggerimenti che ci hanno dato Massimo Campanini, Paolo Branca, Francesca Corrao, anche se essi non hanno alcuna responsabilità per errori e classificazioni che sono della nostra redazione e di cui portiamo intera la responsabilità.