Tunisia: primavera delle donne?
Antonella Vicini 22 ottobre 2011

Ma non sono certo le uniche. Nel panorama del mondo arabo-musulmano, infatti, in Tunisia le donne non hanno sofferto lo stesso destino di isolamento e di limitazioni di altri Paesi. La prima associazione femminile, l’Unione delle donne islamiche Tunisine, risale al 1936 e il loro diritto di voto al 1957, nove anni dopo l’Italia e diciassette prima del Portogallo. E questo grazie all’influenza francese e a Habib Bourguiba, il padre della Tunisia moderna che con il Code du Statut personnel mise al bando la poligamia e il ripudio, garantì alle donne stessi diritti nel divorzio e il diritto all’aborto. Ben Ali proseguì sullo stesso percorso e oggi, ad esempio, due terzi degli iscritti all’università sono studentesse. Stando a uno degli ultimi rapporti di Freedom House sul Paese, “le giovani donne sono libere di sposare chi vogliono” ed “è vietato per legge costringerle al matrimonio”, pure se poi sono le pressioni familiari di solito ad aver ragione sulle norme. Nel decalogo che Amnesty International ha presentato a tutti i candidati e a tutte le candidate per le elezioni di domenica, chiedendone la sottoscrizione, si domanda anche di porre fine alle violenze familiari e coniugali, abolendo gli articoli 218, 227bis e 239 del Codice penale che prevedono la fine del procedimento o l’annullamento della pena nel caso in cui la sposa aggredita dal marito ritiri la denuncia o quando l’aggressore sposi la vittima dopo averla stuprata o rapita.

A pochi giorni dal voto, il primo del dopo Ben Ali, gli obiettivi sono puntati anche su di loro. La speranza è che, dopo essersi prese la piazza, riescano ad avere maggior peso nella vita politica del Paese. Le regole per la corsa elettorale hanno tentato di garantirne, con un decreto ad hoc, una presenza cospicue nelle liste, che però non si è concretizzata nei numeri. Sul blog Observatoire Politique Tunisien ci si chiede, infatti, “Dove sono le donne?”, visto che in cima alle liste elettorali spicca la loro assenza. Su un totale di 1600 liste meno del 5% è guidato da donne.

La maggior parte dei partiti, si legge ancora nel blog, non ha voluto o saputo cogliere l’opportunità storica data dalla legge elettorale, “temendo la destabilizzazione che potrebbe derivare da un nome femminile in capo alla lista, sia nelle regioni costiere, sia all’interno del Paese”. Molti gruppi si sono giustificati affermando che la parità uomo-donna è stata, malgrado tutto, rispettata. Stando ai dati, l’unico che pare aver scelto la via della “modernità” è il Pôle Démocrate Moderniste (PDM) che unisce in sé formazioni politiche minori come Ettajdid, il Parti Socialiste de Gauche, il Parti Républicain e La Voie du Centre e iniziative dal basso (Appel pour un pôle démocratique culturel; Assez de divisions, Allons de l’avant ; l’Initiative Citoyenne; il Collectif National des Indépendants du PDM e la Ligue des indépendants progressistes). A conferma che anche i partiti più liberali e progressisti, al di là dei proclami propagandistici, hanno scelto la via della tradizione. Questo quadro, secondo il rapporto pubblicato a fine settembre da l’Association Tunisienne des Femmes Démocrates, si rifletterebbe anche sui media in termini di visibilità (solo lo 0,51% dello spazio sulla stampa sarebbe stato dedicato alle donne).

La preoccupazione maggiore, però, è che l’assetto del Paese che uscirà dalle urne possa causare alcuni passi indietro in termini di libertà personali, e non solo per le donne. Anche in questo caso il dito è puntato sul Parti de la Renaissance.

Ennahada, dal canto suo, ha già assicurato, ripetuto e ribadito che non toccherà il Code du Statut personnel di Bourguiba, ma uno degli episodi di tensione che nei giorni scorsi ha visto di nuovo protagonisti gruppi islamici integralisti riguarda proprio il diritto delle donne a portare il niqab, il velo integrale che lascia scoperti soltanto gli occhi. Durante l’ancien regime, questo tipo di velatura islamica era fuori legge negli uffici pubblici e nelle scuole; oggi alcune studentesse hanno chiesto di essere ammesse all’università così.

A sentire uno dei simboli delle lotte civiche in Tunisia, però, non c’è pericolo che i diritti acquisiti da più di mezzo secolo vengano messi in discussione. L’avvocato Radhia Nasraoui, candidata al premio Nobel insieme alla blogger Lina Ben Mhenni, si batte da anni contro la tortura ed è a capo dell’Association de lutte contre la torture en Tunisie. Anche lei è stata vittima di discriminazione durante il regime di Ben Ali. In un rapporto della Commissione per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne delle Nazioni Unite, del 2002, si racconta quando “il 12 febbraio 1998 il suo ufficio è stato saccheggiato e la maggior parte dei suoi documenti rubati” e quando, nel 2001, “i suoi documenti sono stati confiscati all’aeroporto di Tunisi” o “la sua automobile è stata distrutta”. Costantemente controllata, lei e le sue figlie hanno subito forti intimidazioni e pressioni del regime. Oggi, mentre si attende il verdetto delle urne, dice che “il pericolo non sono i partiti islamici; non è Ennahda, ma la società conservatrice che si sente rafforzata da queste compagini”.

“Il rispetto nei confronti delle donne – prosegue – è così radicato nella nostra società e nella mentalità comune che non credo sia possibile tornare indietro. È vero, c’è ancora chi vuole la donna sottomessa, ma questo non è soltanto un problema tunisino. Le donne tunisine non hanno mai taciuto, si sono sempre esposte e accanto a loro ci sono uomini che non sono disposti a vedere le loro madri, mogli e figlie come cittadini di serie B”.

Allo stesso tempo, ci sono altre donne in Tunisia che sperano che Ennhada possa fornire loro più libertà di essere “musulmane praticanti”, ma da parte sua il partito sta proseguendo una campagna volta a confermare un’immagine moderata e lo sta facendo proprio grazie a una donna. Souad Abderrahim, è una moutabarrijat, cioè una che non porta il velo, che “si mostra”. La sua è certamente una scelta a sorpresa: farmacista, proprietaria di una società di vendita all’ingrosso di prodotti farmaceutici, Souad è capolista del principale partito islamico in un collegio elettorale chiave. Specchietto per allodole per alcuni, scelta coraggiosa per altri. Fatto è che lei dice di credere “nella sincerità di Ennahda, altrimenti non avrebbe posto una donna come me in cima alla loro lista di partito”. Una donna, cioè, fuori dai cliché di un partito islamico. Souad Abderrahim si troverà a sfidare, nella stessa circoscrizione, un altro personaggio che sembra entrarci poco con la politica. Sadika Keskes, che correrà per l’Union populaire republicaine, è un maestro vetraio; ha studiato a Murano, è entrata anche nel Guinnes dei primati con una delle sue opere e ora con la sua officina a Sidi Bou Said, il borgo bianco e turchese sulla costa di Tunisi, dà lavoro ad altre artiste come lei.