«Ma lo stesso pensa la maggioranza degli europei»
Stephane Lathion intervistato da Marco Cesario 15 December 2009

Il 29 Novembre scorso i cittadini elvetici hanno detto definitivamente no all’edificazione di minareti sul territorio svizzero. Questo divieto è oramai inscritto nella Costituzione elvetica. Come si è arrivati a questo punto di non ritorno?

La specificità della democrazia svizzera è quella di essere una democrazia diretta. Se un gruppo di persone riesce a raccogliere più di 100.000 firme e deposita le firme alla cancelleria federale, e se dopo attento esame del testo questo risulta non essere in contraddizione con la Costituzione svizzera, il governo è obbligato a sottometterlo ad una votazione popolare. Il tempo limite di raccolta delle firme è normalmente di 18 mesi. L’UDC, nello spazio di 6-8 mesi, è riuscito a raccoglierne ben 115.000. Ciò rivela un malessere evidente nella società svizzera, ma credo anche la volontà di aprire un dibattito pubblico sulla questione. Dall’altro lato occorre dire che gli avversari di questo referendum non hanno fatto una campagna intelligente, in quanto non sono riusciti a spostare la questione dall’emotività al problema vero e proprio. Il risultato è che il voto del 29 novembre ha colto tutti di sorpresa. Adesso bisogna assumerne le conseguenze.

Fino all’ultimo la classe politica svizzera ha creduto alla vittoria del no, forte degli ultimi sondaggi che davano il no al 53%, il sì al 37% e gli indecisi al 10%. Sono stati forse quest’ultimi a far pendere la bilancia in favore del divieto?

Non credo. Tra l’altro nei sondaggi spesso la gente risponde in maniera diversa rispetto a quando si trova da sola in cabina per votare. Anch’io ho creduto a questo sondaggio perché gli organizzatori del referendum hanno iniziato la campagna troppo presto. Una campagna giocata tutta sull’emotività, mi dicevo, non può durare a lungo. Dietro, in effetti, non esistevano argomenti reali. Purtroppo oltre ad esserci una forte tradizione xenofoba in Svizzera, manifestatasi nel voto, c’è anche una stanchezza dei cittadini nei confronti della politica, accentuata dalla crisi economica. L’Islam da questo punto di vista è un argomento che muove emozioni forti. Ma il problema non è solo in Svizzera. Purtroppo anche altrove, in Europa, c’è un malessere ed una paura nei confronti dell’Islam.

I partiti di estrema destra in Europa hanno approfittato del voto svizzero per spingere anch’essi verso un referendum sui minareti (vedi Olanda, Belgio o Danimarca). Non teme che questo fenomeno dei referendum anti-islam possa diffondersi anche in altri paesi europei?

Il referendum come strumento democratico non viene utilizzato negli altri paesi d’Europa nella stessa maniera in cui viene utilizzato in Svizzera, dove esiste una specificità legata ad una forma particolare di democrazia diretta. In realtà è importante che ci sia un dibattito in Europa sull’Islam. Un dibattito che si focalizzi sulla maniera di vivere assieme alle comunità musulmane d’Europa. Perché non dimentichiamoci che stiamo parlando di cittadini europei. Essere cittadino europeo ed essere musulmano non sono due cose incompatibili. Dal punto di vista politico poi c’è un altro problema. Se da un lato ci sono i partiti di estrema destra che cavalcano l’onda delle paure, dall’altro lato c’è un silenzio di piombo negli altri partiti, che non hanno il coraggio di aprire un dibattito pubblico. Per me esiste una vera incompetenza dei partiti politici, che invece di rimettersi in questione o di affrontare con coraggio certi problemi legati al multiculturalismo e alla molteplicità delle confessioni, preferiscono defilarsi oppure esacerbare ancora di più il dibattito.

È forse per questo motivo che il presidente del Coordinamento delle organizzazioni islamiche svizzere (COIS), Farhad Afshar, ha dichiarato che i partiti politici svizzeri non hanno voluto prendere sul serio il problema e che le organizzazioni islamiche svizzere da sole non potevano avere la forza di fare una battaglia politica…

Si, ma quello che occorre dire è che i partiti politici hanno un’ignoranza profonda dell’Islam. Ma soprattutto hanno dimostrato di disprezzare le paure della gente riuscendo soltanto ad esacerbare i proclami dei partiti di estrema destra. Ma a mio avviso si sono sbagliati anche su questo versante, perché è in fondo facile smontare il discorso populista ed emotivo dei partiti di estrema destra. Purtroppo questo sforzo non è stato fatto. Oggi il divieto di costruire minareti costituisce una macchia indelebile sulla Costituzione svizzera. Una macchia inutile perché nella Confederazione elvetica esiste già la possibilità di vietare la costruzione di un minareto. Non c’era dunque bisogno di toccare la Costituzione. Il voto dunque si traduce esclusivamente in un atto discriminatorio nei confronti di una religione specifica. Questo non significa però che in Svizzera non esista più libertà di culto. I musulmani possono sempre professare la propria fede. Questo non bisogna dimenticarlo. In verità gli svizzeri hanno detto ad alta voce ciò che pensa la maggioranza dei cittadini europei. Dopo questo voto però occorre aprire un vero dibattito che coinvolga le organizzazioni islamiche, il mondo accademico, il mondo politico, i media e la società civile.

L’Islam è la terza religione in Svizzera con 400.000 fedeli, circa il 5% della popolazione. Eppure in tutta la Svizzera esistono soltanto 4 minareti…Nell’immaginario svizzero il minareto scatena paure spesso irrazionali?

Il minareto è un pretesto come prima lo era il velo. Il problema non è l’Islam ma la visibilità dell’Islam. Ciò che è diverso e al tempo stesso visibile fa paura. Non si poteva certo vietare la costruzione di moschee perché era contro la legge svizzera ed europea sulla libertà di culto. Il minareto è invece un elemento architettonico supplementare. È grazie a questa sottile distinzione che l’UDC è riuscito a far passare il suo messaggio. Vietare la costruzione di minareti diventa un pretesto per veicolare accuse su una presunta mancata integrazione dei musulmani svizzeri. Che poi sono perfettamente integrati e sono anche contenti di esserlo. Ma è la visibilità che dà fastidio ed è quella che è stata attaccata. Il minareto non è importante ma è un simbolo. Attaccare i simboli di una religione mi sembra comunque molto scorretto.

Non teme che attaccando la visibilità dell’Islam si crei una sorta di Islam ‘invisibile’, più settario? O un irrigidimento del discorso religioso da parte di chi non si sente completamente accettato?

Esiste questo pericolo, certo. Ma al tempo stesso è responsabilità dei dirigenti delle organizzazioni e delle comunità musulmane impedire che ciò accada. Certo questo voto può essere strumentalizzato e utilizzato da predicatori o imam radicali come un pretesto per veicolare discorsi vittimistici. Ma, ripeto, sta alle organizzazioni spingere per continuare a lavorare e spiegare che i musulmani stanno bene in Svizzera e si sentono perfettamente integrati.

In tutto questo, la comunità musulmana ha fatto degli errori?

Intanto non esiste una sola comunità musulmana in Svizzera, ma ce ne sono diverse. Ci sono comunità turche, albanesi, bosniache, arabe, subsahariane. Quanto agli errori adesso è troppo facile dire, col senno di poi, che ne sono stati fatti. Onestamente non credo che siano state le comunità musulmane ad aver fatto più errori. Al contrario, credo che queste ultime siano state messe in una posizione molto difficile. La cosa positiva è che si sono levate diverse voci dal mondo musulmano che prima tacevano, e che durante e dopo il voto sono invece entrate nel vivo del dibattito. Bosniaci, turchi, senegalesi hanno preso a turno la parola dimostrando che l’Islam svizzero è diverso, vario. Questa credo sia la cosa più positiva di questo voto. Adesso però spero che non si fermino e che continuino a puntare su questa diversità per progredire. Perché in fondo è questa la vera sfida dell’Islam europeo: assumere e portare avanti la propria diversità da tutti i punti di vista. Culturale, etnico o religioso.

www.marcocesario.it

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