Questo testo è la trascrizione dell’intervento dell’autrice al Primo Forum Internazionale delle Donne Imprenditrici, tenutosi a Milano dal 4 al 6 marzo 2007 e registrato da Radio Radicale.
Spero vi abbiano colpito le immagini esposte qui fuori. Sono le immagini della straordinaria mostra fotografica dedicata a tante “donne invisibili” . Perché in effetti sono tante, ancora oggi, le “donne invisibili”, in Occidente come nel mondo arabo. Invisibili, ma solo socialmente. Che forza, infatti, che energia si sprigiona da quelle foto non appena un lampo di luce o di colore illumina ed esalta la carica vitale, la bellezza umana di queste donne. A giudicare, però, dal colpo d’occhio che ho qui davanti, potremmo essere lontani anni luce da quella realtà.
Infatti sono presenti oggi, in questa sala, oltre 400 donne tra le più visibili nelle rispettive società. Donne d’impresa. Le cui decisioni pesano nei Consigli di amministrazione come nelle decisioni dei mercati e, spesso, dei governi. E, tuttavia, ho insistito molto per avere quelle immagini di “donne invisibili” così vicine a questa sala. Non solo per un doveroso atto di riconoscimento a tanto lavoro, tanti gesti indispensabili di economia famigliare e sociale che passano inosservati nel vivere quotidiano. Ma anche per un’altrettanto doverosa presa di coscienza. In realtà, infatti, quella presente qui oggi è spesso un’avanguardia sul piano economico e sociale. Un’avanguardia che, però, può fungere in qualche modo da modello, da traino per un’intera generazione di donne nei nostri Paesi pronte a seguire – se ne avranno l’opportunità – il vostro esempio. Dipende anche da noi, se sapremo aprire le porte per le altre e con le altre.
Tuttavia questa non vuole essere una riunione dedicata ai diritti delle donne, né una riunione corporativa al femminile con sottofondo, magari, di azione positiva. C’è molto bisogno di lavorare su questi temi, e io stessa ho dedicato loro molte energie e continuerò a farlo. Ma non qui. Questo Forum, e gli incontri imprenditoriali che seguiranno, hanno due obiettivi precisi. Quello di stimolare una maggiore partecipazione dell’imprenditoria femminile, e quello di contribuire, anche tramite questo strumento addizionale, a una intensificazione dei flussi commerciali e di investimento infraregionale.
Io penso, per altro, che guardando all’Italia, l’imprenditoria femminile presenta aspetti incoraggianti. Concentrata essenzialmente, un tempo, nei settori dell’agricoltura, del turismo e dei servizi, oggi essa comincia a crescere anche nel settore delle utilities, costruzioni, informatica e ricerca, trasporti e telecomunicazioni e intermediazione finanziaria. E però questa sala così affollata dimostra quanto sia sentito, in Italia come nei 18 Paesi qui rappresentati, questo desiderio di crescere e internazionalizzarsi, di confrontarsi e imparare, superando differenze culturali e stereotipi. Perché gli stereotipi, che fanno così presto a radicarsi e sono così difficili da estirpare, non aiutano mai. Non servono a nessuno. Non aiutano noi ad avanzare, né gli altri a comprendere. Sicché, per quanto mi riguarda, me ne tengo alla larga da tempo.
Questa, dunque, è un’occasione per parlare di affari. È un’occasione dedicata alle imprenditrici. E credo sia anche importante che questo primo esperimento sia dedicato al Mediterraneo e ai Paesi del Golfo. Se funzionerà, proveremo anche a coinvolgere, magari, le amiche di altre regioni. Penso ai Balcani, ad esempio. Sì, perché l’Italia è nel mezzo, nel cuore del Mediterraneo e può, quindi, essere un ponte rispetto a varie regioni. Abbiamo, tra noi, rapporti buoni; eppure, se indosso per un attimo il mio cappello da ministro del Commercio internazionale noto, con un po’ di inquietudine, che – con qualche limitata eccezione – l’export italiano verso la somma dei 18 Paesi sfiora appena l’8,5 per cento dell’export totale. E, anche sull’import, se si tralascia la fattura energetica che insiste per quasi il 50 per cento del totale, io penso ci sia grande bisogno – ma anche spazio – di miglioramento in volume e anche, o forse soprattutto, in dinamismo. Insomma, possiamo fare meglio, e in tutte le direzioni.
Desidero, infine, ricordare che anche nell’era della globalizzazione c’è il rischio di rimanere ai margini del cambiamento. C’è il rischio, insomma, di rimanere “no-global” anche se non lo vogliamo. In effetti, sta un po’ a tutte noi superare, come dire?, una situazione che si può creare. Come sapete, uno dei testi sacri della letteratura “globalizzante”, quello di Thomas Friedman, ha come paradigma un mondo piatto. Ricorderete il titolo, The World is Flat. L’immagine che accompagna il logo di questo Forum, però, di una donna energica, sportiva, impegnata nel free-climbing, ci ricorda che esso non è sempre piatto. Non per tutti. C’è ancora chi deve arrancare; ma lo fa con convinzione, lo fa con entusiasmo, lo fa con determinazione, lo fa senza lamentarsi: lo fa guardando avanti. Per noi, per i nostri figli. C’è ancora chi deve arrancare per raggiungere – in ascesa – la sua meta. Per crescere. Per crescere tutti. Per crescere nei nostri Paesi.
Mi consentirete, per ragioni di affetto e di lontananza, di dedicare un pensiero – spero anche il vostro – a una donna straordinaria e ancora vittima, lei sì, di un regime totalitario che non riconosce né rispetta alcuna base del vivere umano. Voglio dedicare questa giornata e questo applauso a Aung San Suu Kyi, che spero potremo vedere presto tra noi, e non più soltanto in fotografie o filmati.