”Il problema non è l’Islam. E’ la politica”
Hassan Hanafi con Giancarlo Bosetti 19 September 2006

Bosetti: Una questione non abbastanza chiara dopo la conferenza del Cairo sul dialogo aldilà di Orientalismo e Occidentalismo è la relazione tra il liberalismo secolare e il ruolo della religione e dei religiosi nel riformare e modernizzare le società musulmane. Nel mondo arabo, e in particolare in Egitto, questi ruoli non sono ben definiti. Alcuni come Yassin sostengono di essere secolari e che l’Egitto sia uno stato secolare. Salmawi, in maniera più realistica, afferma che l’Egitto è più secolare di altri paesi arabi e musulmani ma lo è meno rispetto ai paesi occidentali. In altre parole, quando noi definiamo secolari gli stati europei occidentali attribuiamo un significato diverso al termine mostrando un differente grado di secolarismo. Salmawi vorrebbe anche evitare il termine “secolare” preferendo al suo posto “civile”. Qual è la sua opinione a riguardo? Sono sicuro che lei non si definirebbe secolare.

Hanafi: La parola secolare deriva dal termine latino saeculum che significa riguardante il secolo e il tempo. In Occidente, secolarismo indica la separazione tra Chiesa e Stato. Nell’Islam, dal momento che non c’è nessuna chiesa de jure (ci sono alcuni ulema di Al-Azhar che hanno acquisito una certa autorevolezza) non abbiamo un’autorità religiosa con potere sulla società. Nell’Islam, non abbiamo una teocrazia e non c’è alcuna distinzione tra il sacro e il profano. Ad esempio, una bella moschea all’interno di un quartiere degradato è contro la religione perché si ritiene sia un atto più pio ricostruire il quartiere degradato piuttosto che edificarvi nel mezzo una moschea sfarzosa. Abbiamo molti proverbi popolari che sostengono che se una famiglia ha una qualche necessità allora non le è permesso fare offerte alla moschea o a Dio perché viene data priorità al civile e al secolare. Lo spirito dell’Islam è la vita, non la religione. La religione è solamente uno strumento per realizzare una buona vita, per creare un uomo perfetto e una società perfetta.

Bosetti: Capisco ma in Iran – che è un paese musulmano – c’è una teocrazia e ci sono anche altri paesi musulmani, come l’Algeria, dove il sistema legislativo è conforme a un’interpretazione rigida e severa del Corano, tanto che la condizione della donna non è accettabile secondo gli standard dei diritti umani.

Hanafi: Sì, ma questo dipende da un potere politico storico. In ogni società c’è un potere che si basa sul conservatorismo e che rappresenta un ostacolo per il cambiamento sociale. In ogni tentativo di promulgare una nuova legge sulla famiglia o per le donne, il conservatorismo agisce come una barriera. In ogni società, non è la religione ma un potere politico conservatore a utilizzare quest’ultima come strumento di legittimazione. La religione ha spazio, al proprio interno, per il cambiamento sociale proprio come la legge è temporanea e può mutare proprio a seconda del cambiamento sociale. Poiché, in questo momento storico, nella nostra società il liberalismo, il secolarismo e le forze progressiste non sono così potenti, essi si trovano a nuotare controcorrente. Nell’apparato statale, nelle istituzioni e nei mass media, la forza predominante sembra essere il conservatorismo. Anche in Iran esso rappresenta un potere politico giacché il modernismo non ha compiuto grandi passi avanti durante il governo di Khatami. L’antagonismo tra l’Oriente e gli Stati Uniti ha portato le persone a cercare rifugio nel conservatorismo, come meccanismo di difesa contro una minaccia esterna.

Bosetti: Sta dicendo che il conservatorismo non dipende da ragioni religiose ma che questo tipo di conservatorismo, teocratico, ha le proprie radici in un certo uso del Corano?

Hanafi: Sì, ma è esattamente come il nuovo conservatorismo negli Stati Uniti che prende alcuni elementi religiosi dal Vangelo o dal Vecchio Testamento per giustificare la propria strategia politica. La teologia di liberazione sta facendo la stessa cosa ma per una causa diversa, per il cambiamento sociale, per la decolonizzazione e per la liberazione. Poiché finora la religione è stata nei cuori e nelle menti delle masse, essa ha svolto il ruolo di un’ideologia politica. Ma una volta che le persone saranno istruite, una volta che sapranno che l’ideologia politica si basa su un programma per difendere il welfare pubblico, allora il ritorno alla religione andrà a ridurre.

Bosetti: È vero che la religione, o un certo uso e una certa interpretazione del Corano, possono offrire strumenti ai conservatori e a coloro che hanno una visione teocratica della politica. Tuttavia, nella religione possiamo rintracciare anche una diversa interpretazione della tradizione che apre la strada alla democrazia, alle riforme sociali e al progresso liberale.

Hanafi: Esattamente. La religione è un’arma a doppio taglio. Ogni testo religioso può essere interpretato in un modo o nell’altro. Può essere utilizzato per il conservatorismo come pure per la mobilità sociale. Nell’Islam alcuni testi possono essere interpretati in difesa dell’autorità politica o di un certo tipo di autoritarismo, come fece Al-Ghazali per rafforzare il potere centrale dello Stato. Ma, grazie agli stessi testi sacri, si possono anche selezionare dei versi che promuovano il cambiamento sociale, il liberalismo e il secolarismo. Poiché il periodo storico in cui viviamo è dominato dal conservatorismo questa seconda lettura non è molto visibile. La stessa cosa sta accadendo al Cristianesimo. Coloro che lo interpretano per il bene dei poveri e degli oppressi sono meno visibili degli altri. Stessa cosa anche nell’ebraismo: ci sono i conservatori che difendono più o meno il sionismo, tendenza che ha caratterizzato la storia dell’ebraismo specialmente nel XIX secolo e nel romanticismo. Ma c’è anche una tradizione universalistica e anti-dogmatica rappresentata da Filo di Alessandria e Spinosa e da molti intellettuali contemporanei. In ogni religione sono presenti queste due correnti che esprimono forze socio-politiche: una difende la stabilità che è rappresentata dallo Stato e l’altra difende il cambiamento sociale rappresentato dall’opposizione politica.

Bosetti: Vuol dire che lei accetta il secolarismo come qualcosa di positivo, come una prospettiva da perseguire, specialmente in termini di separazione tra la dimensione religiosa e quella politica?

Hanafi: C’è un problema di terminologia perché io non lo definirei secolarismo. Le masse confondono la separazione tra autorità religiosa e politica con il distacco della religione dalla vita sociale cosa, quest’ultima, che sarebbe molto difficile dal momento che la nostra legislazione sulla famiglia è davvero la pietra angolare della nostra vita sociale. All’interno dell’Islam, possiamo però trovare termini migliori di secolarismo e liberalismo come la priorità della realtà sul testo, la priorità del welfare pubblico, il fatto che la legge islamica si basi essenzialmente sulla difesa della vita, della ragione, dell’onore, della dignità e del bene pubblico. Allora il secolarismo è già costruito nell’Islam senza alcun bisogno di introdurlo dall’esterno, dall’Occidente o dall’Oriente. Questo è la tattica con cui posso difendere gli obiettivi principali dell’Islam che sono secolari senza usare la parola secolarismo.

Bosetti: Come definirebbe questa posizione? Riformismo liberale?

Hanafi: Sfortunatamente la nostra terminologia politica moderna proviene dall’Occidente. È difficile trovare termini indigeni ma io cerco di farlo tutte le volte. Ad esempio, il welfare pubblico o maslaha, che vuol dire «ciò che è utile per il mondo», è considerato tale anche se non è utile per la religione. Inoltre, nel giorno del giudizio, Dio ci giudicherà non solo secondo i riti e il culto ma anche sulla base di quanto siamo stati utili a noi stessi, alle nostre società e di come abbiamo difeso la giustizia sociale, la libertà, il progresso. Ma, per la filosofia politica islamica moderna, è una sfida inventare nuove parole per esprimere gli stessi obiettivi del secolarismo e del liberalismo con una terminologia indigena anziché occidentale. Cerco di difendere tutte le grandi cause secolari, liberali e sociali ma con il mio linguaggio indigeno, con le mie risorse indigene, in modo da non essere circondato da conservatori che mi emarginino come fossi un occidentale.

Bosetti: E ora collochiamo questa situazione nella sfera pubblica egiziana. La posizione che sostiene con le sue opere è più vicina al partito egiziano di maggioranza o all’opposizione parlamentare, rappresentata dai nuovi arrivati, i Fratelli Musulmani?

Hanafi: Cerco di fare del mio meglio. I conservatori usano in maniera selettiva determinati versi del Corano e detti del Profeta. Io utilizzo altri versi e altre tradizioni profetiche per difendere il mio liberalismo, il mio secolarismo che esprime lo spirito della legge islamica. Mi servo di esempi tratti dalla storia per dimostrare che l’Islam è il rispetto per la vita senza alcuna distinzione tra musulmani, ebrei e cristiani, è per la giustizia sociale, per la libertà e per un governo elettivo. Traggo le mie idee dalle stesse fonti da cui i conservatori derivano le loro. Inoltre, cerco anche di chiedere ai secolari di evitare di fare sempre riferimento all’esperienza occidentale. Devono ritornare alle fonti indigene per proteggersi dalle accuse di occidentalizzazione. Per esempio, se volessi difendere la ragione, perché ricorrere a Kant quando c’è il mutazilismo?

Bosetti: Per una migliore comprensione tra studiosi occidentali e arabi di scienze politiche e sociali, va chiarita un’altra questione importante: il discredito reciproco e le sue molteplici cause. Due di queste sono la tradizione dell’Orientalismo da un lato e quella dell’Occidentalismo dall’altro. In certo modo, lei rivendica la funzione dell’Occidentalismo come visione libera e critica dell’Occidente da parte dell’Est/Sud, tuttavia sembra disposto a superare l’Occidentalismo come situazione caratterizzata dal risentimento. Può aiutarci a comprendere come la cultura araba può superare questa condizione di risentimento?

Hanafi: Dobbiamo compiere un duplice sforzo, da ambo le parti. In realtà, la cosa peggiore è l’unilateralismo, ovvero un certo tipo di paradigma unilaterale. Finora, gli studiosi in Occidente hanno usato un paradigma. Esiste un solo modello di modernizzazione che è quello occidentale basato sulla separazione tra Chiesa e Stato, sul razionalismo, sul secolarismo, sul liberalismo e su tutto ciò che si sa dell’esperienza occidentale della modernizzazione. Sebbene l’Occidente critichi ora questa situazione con il post-modernismo e il decostruttivismo, finora gli studiosi sono stati vittime di questo paradigma unilaterale. Inoltre, siamo vittime di una reazione basata sull’auto-difesa, un desiderio di rifiutare il paradigma occidentale e creare il nostro modello ad esso contrario. È perciò possibile che ciascun gruppo di studiosi, che appartengano all’Occidente o all’Islam, moltiplichi i propri sistemi di riferimento? Il razionalismo non è un monopolio di Kant e della tradizione di pensiero che a lui fa riferimento. L’umanesimo non è unicamente il monopolio di Erasmo e dell’esperienza occidentale. Il confucianesimo presentò un certo tipo di umanesimo in relazione all’antica religione cinese, il buddismo ne prospettò un altro, e così anche l’induismo. Pure la legge islamica malikita manifestò un certo tipo di umanesimo. Se riusciremo a moltiplicare i sistemi di riferimento, riusciremo a universalizzare gli alti ideali dell’umanità riguardo ragione, umanesimo, natura, scienza, giustizia sociale, fratellanza e uguaglianza. Ciò porterà a una certa cooperazione e a una maggiore giustizia nello studio comparativo delle culture. Oggigiorno l’Occidentalismo è una reazione naturale all’Orientalismo, un cambiamento di ruoli. Nell’Orientalismo, è l’Occidente a svolgere la parte del soggetto che conosce mentre il non-occidente è il soggetto conoscibile. Per continuare il processo di decolonizzazione a livello intellettuale e a livello scientifico-accademico, dobbiamo modificare i ruoli in modo che l’Oriente diventi l’osservatore e l’Occidente l’osservato. Ciò permetterà una certa cooperazione paritaria, una certa uguaglianza e reciprocità tra soggetto e oggetto. Una volta arrivati a questo punto, potremo creare una comunità universale di studiosi molto imparziali e neutrali nello studio dei rapporti tra Occidente e Oriente. Penso che il Mediterraneo possa svolgere un ruolo chiave nel superamento dell’Occidentalismo e dell’Orientalismo. Viviamo attorno allo stesso bacino, svolgiamo insieme il ruolo del maestro e del discepolo. La Grecia e Roma erano i maestri dell’Islam, poi i musulmani in Spagna furono i maestri degli europei e ora gli europei moderni sono i maestri del mondo musulmano. Possiamo puntare a un futuro in cui sosterremo l’immigrazione dei musulmani nel vecchio continente e saremo favorevoli a che l’Islam diventi la seconda religione d’Europa. Possiamo puntare a una certa complementarità della costa settentrionale e di quella meridionale del Mediterraneo. Apportando nuove idee di fraternità e fratellanza, l’Islam può rappresentare un valore aggiunto per gli europei. Anche l’Europa può esserlo per il mondo musulmano. Gli ideali che l’Occidente ha difeso durante l’Illuminismo nel XVIII secolo – la ragione, la fraternità, l’uguaglianza, la giustizia – li abbiamo ammirati nel XIX secolo e, nel mondo arabo, abbiamo fondato la nostra rinascita su questo illuminismo occidentale. Forse non abbiamo avuto abbastanza successo a causa di circostanze particolari e dell’egemonia dell’Occidente, del fallimento dello stato-nazione o di un certo tipo di autoritarismo. Abbiamo lasciato da parte la nostra libertà per la giustizia sociale e poi abbiamo perso la giustizia sociale e abbiamo perso la nostra libertà.


Traduzione di Martina Toti

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