Il primato della percezione nell’era della comunicazione
Marco Cesario 8 September 2008

Fare uno studio trasversale della concezione merleaupontiana dello spazio e del tempo significa non solo vagliare il rapporto tra queste categorie e gli oggetti ed eventi percepiti nella coscienza, ma anche aprire un dialogo costruttivo tra la fenomenologia pura e altre scienze come la psicologia, la psicanalisi, la letteratura, la neurologia, la biologia, la fisica, l’arte. Lo scopo? Ricostruire ed approfondire l’analisi che Merleau-Ponty fa di “questo spazio e questo tempo che noi siamo” attraverso le riletture non solo di Husserl, Heidegger, Bergson e Whitehead, ma anche di Proust, Claudel, Simon. E’ con questi auspici che si è aperto e concluso – presso l’Ecole Normale Supérieure di Parigi – il congresso internazionale di filosofia “Merleau-Ponty. L’espace et le temps”. Un congresso che, in occasione del centenario della nascita del filosofo, ha riunito grandi specialisti provenienti da Francia, Italia, Svizzera, Stati Uniti e Giappone che hanno cercato di fornire una risposta agli interrogativi posti nell’immediato dopoguerra da Maurice Merleau-Ponty con la pubblicazione del suo testo fondamentale, Fenomenologia della percezione (1945).

L’evento ha un significato particolare oggi in quanto non si tratta solo di discutere dell’attualità delle sue posizioni filosofiche, ma anche di utilizzare gli strumenti offerti dalla sua fenomenologia per ripensare le categorie di spazio e tempo nell’era della comunicazione. Gli strumenti tecnologici e la diffusione capillare dei media ci permettono infatti oggi di accedere facilmente ai contenuti della conoscenza ed essere attori nella diffusione della conoscenza e dell’informazione. Ciò costituisce un vantaggio rispetto all’epoca in cui Merleau-Ponty parlava di “coscienza spaziale”, in quanto le nuove tecnologie permettono un allargamento delle strutture cognitive e della coscienza percettiva e questo allargamento dovrebbe, a nostro avviso, essere accompagnato da un’analisi filosofica ed una nuova concezione del mondo, alla stregua di quello che fece Merleau-Ponty nel dopoguerra.

Una concezione rivoluzionaria dello spazio

Nella Fenomenologia della percezione Merleau-Ponty sostiene che lo spazio non è semplicemente l’ambito (reale o logico) nel quale sono disposte le cose, ma il mezzo grazie al quale la posizione delle cose diviene possibile. Da questo punto di vista lo spazio non sarebbe una sorta di ‘etere’, un vuoto nel quale tutte le cose sarebbero sospese, ma, come afferma il filosofo stesso, sarebbe “la potenza universale delle loro connessioni”. Ma io posso vivere tra gli oggetti e considerare lo spazio sia come l’ambito in cui giacciono le cose sia come il loro attributo comune. Oppure posso cogliere l’essenza dello spazio a partire dal soggetto e della sua interiorità. In effetti lo spazio, pur essendo anteriore a me e alle cose che mi attorniano, persiste solo grazie al soggetto che lo percepisce. Nel momento in cui guardo la facciata di una casa indovino quali siano le sue dimensioni ed anche la posizione delle mura esterne che non sono in grado di vedere. Isolando la casa da un certo orizzonte (le altre case, il giardino etc) la casa sembra fuoriuscire da un tessuto piatto e bidimensionale per divenire tridimensionale. La casa “spunta fuori” grazie all’occhio che, con una sintesi tra ciò che vede e ciò che indovina, dona al solido una sua profondità. A mano a mano che giro intorno alla casa, la facciata prima, le mura laterali poi, scompaiono via via per fare posto ad una nuova visione (ad esempio quella del retro). Ma la casa che io vedo è sempre quella vista dalla facciata o dal retro o da un’altra posizione, ma mai la casa “nel suo insieme”.

Quest’ultima posso indovinarla solo grazie ad una sintesi immediata che mi dà il senso totale dell’oggetto che osservo. Come il tempo per Einstein dunque, anche lo spazio per Merleau-Ponty non esisterebbe in sé ma in rapporto al soggetto che lo percepisce e sarebbe una conseguenza del campo fenomenale “orientato” della coscienza. In effetti il soggetto nello spazio potrebbe virtualmente compiere qualunque movimento non perché lo spazio sia in sé vuoto ma perché, come dice Merleau-Ponty stesso, il mio corpo si presenta come “un atteggiamento in vista di un certo compito attuale o possibile” e lo spazio è il mezzo di questa possibilità. La spazialità del corpo inoltre non sarebbe quella degli oggetti o delle “sensazioni spaziali” ovvero una “spazialità di posizione”, ma una spazialità di situazione. In definitiva il mio corpo è nel mondo spaziale come il cuore nell’organismo. Mantiene in vita lo spettacolo visibile, lo anima e forma con esso un sistema. Se io camminassi in un appartamento vuoto senza avere una percezione dell’insieme delle prospettive possibili che posso aprire attraverso il mio movimento non riuscirei a giudicare queste ultime come diversi aspetti di una medesima realtà. Ma è grazie al soggetto e alla sua presenza nella situazione ed è grazie al suo movimento che questa sintesi avviene. Ciò avviene anche se immagino di visitare un luogo. Come voleva Berkeley infatti, il fatto stesso di immaginarlo mi rende “presente” nel luogo. Impossibile dunque concepire un luogo percettibile senza una presenza diretta o indiretta del soggetto. Per Merleau-Ponty in definitiva lo spazio è nel soggetto e la coscienza è una coscienza “spazializzante”.

Lo spazio e le scienze neuro-cognitive oggi

Ma oggi, ci ricorda Alain Berthoz del Collège de France, non si può più parlare di “spazio” al singolare, dato che per un organismo vivente esistono una molteplicità di meccanismi e di livelli di trattamento dei processi spaziali. In accordo con la filosofia di Poincaré e di Einstein, Berthoz rifiuta un approccio “assiomatico” dello spazio in quanto quest’approccio non prende in considerazione il ruolo dell’esperienza sensibile, dell’azione e del movimento. Secondo Berthoz, inoltre, l’idea di spazio che continua a dominare oggi si baserebbe sul pregiudizio secondo cui il cervello tratterebbe gli elementi spaziali con gli strumenti della geometria euclidea. Merleau-Ponty ha invece avuto il merito di sfuggire alla concezione classica della percezione della profondità (basata soltanto su una concezione geometrica delle relazioni tra distanza, larghezza e superficie apparente) per introdurre la nozione di “cambiamento del punto di vista” che permette di valutare una larghezza non “misurata” ma “vista” da un corpo virtuale. Lampante è l’esempio che Merleau-Ponty fa di una donna con il cappello che passa attraverso una porta un po’ bassa. Senza misurare “intellettualmente” le distanze e con una semplice ed immediata percezione corporale, la donna si abbassa quel tanto che le serve per passare sotto la porta includendo i confini del cappello nel suo movimento. Questo avviene perché il cappello, in questo movimento, entra a far parte dei confini del mio schema corporeo.

Spazio, motilità e body art

Ma lo spazio è innanzitutto quello che Merleau-Ponty definisce motilità. Lo spazio è tale perché io posso muovermi dentro. Per conoscere un oggetto nello spazio devo necessariamente muovermi verso di esso ed anche “metterlo a distanza”. Se cambio di prospettiva cambia anche la percezione dell’oggetto. Al tempo stesso è grazie al mio movimento nello spazio che io posso verificare la profondità e lo spessore degli oggetti anche se ciò che vedo non è mai la totalità dell’oggetto ma la sintesi immediata delle sue proporzioni geometriche. Come ha sottolineato Stefan Kristensen, dell’Università di Ginevra, il soggetto è concepito da questo punto di vista non come “sostanza” ma come una “figura mobile” ed il suo corpo come “condizione necessaria della sua soggettività”. L’accesso all’interiorità si fa dunque attraverso l’esibizione e la rappresentazione del corpo. Due concetti che sono alla base della moderna body art e dei lavori di artisti come Vito Acconci e Lygia Clark che si sono ispirati direttamente alle opere di Merleau-Ponty.

Tempo e simultaneità: da Sant’Agostino ad Einstein passando per Freud e Proust

Sulla linea di Heidegger, Merleau-Ponty accantona la concezione “cronometrica del tempo”. Ispirandosi in parte alle concezioni che erano già state elaborate da Martin Heidegger nella famosa conferenza ai teologi di Marburgo (Der Begriff der Zeit, 1925), Merleau-Ponty afferma che il tempo non sarebbe in realtà quello a cui facciamo riferimento quotidianamente. Questo tempo, da Aristotele in poi, si riferisce al movimento e alla durata e può essere misurato e quantificato. Inoltre è direttamente collegato ad una concezione dello spazio che Merleau-Ponty aveva già accantonato durante le sue ricerche nel campo della psicologia sperimentale e delle scienze neuro-cognitive. Dal punto di vista cronometrico, ad esempio, il 3 viene prima del 5 ma entrambi sono situati nel tempo e lo presuppongono e dunque non colgono l’essenza originaria del tempo che, come aveva affermato Einstein, non esiste in sé ma in rapporto agli eventi che vi si svolgono. Capovolgendo la celebre metafora del fiume di Eraclito, il tempo, secondo Merleau-Ponty, non sarebbe unidirezionale e dipenderebbe sempre dalla constatazione da parte di un osservatore. Il tempo necessita dunque di una “veduta sul tempo”. Nel caso del fiume, argomenta Merleau-Ponty, il fiume non viene dal passato, non passa per il presente e non va verso l’avvenire. E’ piuttosto il contrario.

La sorgente sembra invece provenire dal futuro e la discesa a valle del fiume è il presente mentre, una volta superato il punto di vista dell’osservatore, il fiume sembra sprofondare nel passato. Il tempo dunque non esiste in sé ma in relazione alla percezione del soggetto ed in questo Merleau-Ponty non è lontano dalle concezioni di Sant’Agostino che veicolava l’esistenza del tempo alla “presenza” del soggetto nel passato, nel presente e nel futuro (attraverso le facoltà della memoria, dell’attenzione e dell’anticipazione). Ma nelle note di lavoro de Il visibile e l’invisibile, come ha evidenziato Mauro Carbone dell’Università di Milano, parlando del tempo Merleau-Ponty fa anche riferimento alla psicanalisi freudiana e alla Recherche di Proust. Il tempo sarebbe legato all’idea freudiana dell’inconscio e di un passato “indistruttibile” e “atemporale” che continuerebbe ad agire e a modificare il presente. Il tempo dunque non è unidirezionale, il passato può continuare a vivere nel presente, può farsi presente rivelandosi per la prima volta.

Certi eventi poi s’inscriverebbero non nella dinamica della successione ma in quella della simultaneità, ovvero al di qua della distinzione di tempo e spazio. Una dimensione in cui siamo alle prese con un tempo unico o ancora meglio con l’assenza di tempo. Affermando che la “realtà non si forma che nella memoria” Merleau-Ponty intendeva inoltre che il passato non è un’illusione di realtà ma che attraverso la distanza il presente può sviluppare tutto il suo senso. Così Proust, nelle celebri pagine sui biancospini della parte di Méséglise, affermando che “i veri biancospini sono i biancospini del passato” dipinge l’essenza incarnata di un tempo mitico, un tempo “precedente il tempo”, alla vita anteriore, più “lontano che l’India e la Cina”.

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