A seguito dei violenti scontri interetnici fra uiguri e Han, scoppiati a inizio luglio ad Urumqi, capitale della regione autonoma dello Xinjiang, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha preso posizione, lanciando un appello per la fine delle violenze nella regione cinese, che considera patria dei musulmani uiguri di lingua turca. Intervenendo a Istanbul al Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC), Erdogan si è espresso dicendo che il governo di Ankara segue le violenze contro gli uiguri con "preoccupazione e rammarico". "Li consideriamo – ha aggiunto – un ponte per le buone relazioni tra Turchia e Cina".
Gli uiguri sono un’etnia turcofona che vive nel nord-ovest della Cina, soprattutto nella regione autonoma dello Xinjiang, dove, insieme ai cinesi Han, costituiscono la maggioranza della popolazione. E gli uiguri, i cui antenati provenivano per l’appunto dalla Turchia, rivendicano l’autonomia culturale e amministrativa dello Xinjiang. Risulta estremamente interessante che la questione della “lingua”, in quanto tratto primo e fondante dell’identità di ciascuno e da anni al centro del dibattito europeo in quanto considerata elemento essenziale per una qualunque forma di dialogo interculturale – tanto che la CE ha creato la figura del Commissario per il Multilinguismo – travalichi i confini europei e si propaghi, o meglio emerga, in un paese quale la Cina.
E la questione è tanto più interessante in considerazione dell’atteggiamento assunto dalla Turchia – essa stessa al centro del dibattito europeo circa la sua entrata nell’UE che implica, fra i requisiti indispensabili all’accesso, la tutela e il rispetto delle diversità e delle minoranze (e a questo proposito è necessario ricordare che la Turchia non ha ancora completamente risolto la questione di Cipro e la questione armena) – nei confronti del governo cinese, la rivendicazione del suo ruolo di ponte fra Europa e Cina e di tutela degli interessi di una minoranza che considera “propria”, per lingua e cultura, quella appunto degli uiguri.
La lingua costituisce la materia prima della nostra diversità, costituisce i mattoni di cui è fatta la nostra crescita sociale e culturale. La lingua è l’espressione più diretta della cultura, è quello che ci rende umani e che conferisce a ognuno di noi un senso d’identità; assieme al rispetto per l’individuo, all’apertura alle altre culture, alla tolleranza e all’accettazione dell’altro, il rispetto per le diversità linguistiche costituisce un valore fondamentale dell’Unione Europea. Il multilinguismo si riferisce sia alla capacità del singolo di usare più lingue, sia alla coesistenza di differenti comunità linguistiche in una determinata area geografica.
Il fatto che sia la Turchia – Paese che dal 2005 ha iniziato formalmente i negoziati di adesione per l’UE, verosimilmente prevista per il 2015 – ad affermare questo valore è estremamente rilevante: la diversità linguistica costituisce una particolarità dell’UE che, dopo l’allargamento, ha acquisito sempre maggiore rilevanza. Si è detto da più parti che “è questa diversità a fare dell’Unione Europea una ‘casa comune’” in cui la diversità viene celebrata e le numerose lingue rappresentano una fonte di ricchezza e fungono da ponte verso una solidarietà e una comprensione reciproca maggiori. La Turchia dunque, Paese non ancora UE, promuove e porta avanti i valori dell’UE e, data la sua posizione geo-politica, esporta tali valori al di là dell’Unione Europea stessa.
La Turchia ha da sempre manifestato una particolare attenzione alla regione dello Xinjiang, altresì detto “Turkestan orientale”, in quanto la lingua parlata dagli uiguri è una variante dell’antico ottomano. Xinjiang significa “Nuova Frontiera” o “Nuovo Dominio” e gli uiguri la considerano la propria patria e la culla della propria cultura. E’ infatti solo dalla metà del XX secolo che i cinesi di etnia Han hanno iniziato ad insediarsi in questa regione. Il governo cinese ha promosso l’immigrazione di cinesi Han nello Xinjiang adducendo la necessità di modernizzare e sviluppare economicamente la regione, considerata arretrata. Ma l’introduzione di elementi di modernizzazione ha avuto luogo insieme ad una progressiva erosione della cultura degli uiguri, attraverso politiche di “assimilazione” volte ad indebolire l’uso della lingua uigura e attraverso l’implementazione di politiche economiche volte a favorire i cinesi di etnia Han, discriminando gli uiguri.
La questione uigura costituisce dunque un problema ampio e complesso che, pur prendendo origine da questioni inerenti differenze etniche e culturali della popolazione che abita la regione, si è di fatto tradotta in disuguaglianze economiche e sociali. Di fronte alle politiche di “modernizzazione”, di uniformazione culturale, e di spartizione forzata delle risorse, condotte dal governo di Pechino, gli uiguri hanno reagito rivendicando la propria identità culturale ed il proprio diritto ad usufruire dei benefici derivanti dalle risorse della terra in cui risiedono.
Il governo cinese ha risposto ponendo in evidenza la pericolosità di tali rivendicazioni, mettendole in relazione con le azioni separatiste e terroristiche dell’estremismo religioso islamico. In realtà, talune delle misure introdotte a scopo precauzionale dal governo cinese in seguito alle violenze scoppiate fra uiguri e Han, quale per esempio la chiusura delle moschee, potrebbe veramente innescare la miccia per un conflitto di religioni, che a tuttoggi è per lo più un conflitto etnico-culturale e soprattutto, economico-sociale.
Emanuela Scridel è Economista – Esperto in Strategie Internazionali e U.E.