“Il genocidio? La verita’ si fa strada, come una goccia nella pietra”
La scrittrice italiana Antonia Arslan con Mauro Buonocore 21 February 2007

Pochi giorni prima della proiezione si sollevavano timori per l’ordine pubblico, echeggiavano paure per le proteste che sarebbero arrivate dalla numerosa comunità turca. Poi il giorno della proiezione è arrivato, nelle sale il pubblico si è accalcato per questo film che racconta la storia della deportazione e dell’eccidio perpetrati ai danni del popolo armeno tra il 1915 e il ’17 dall’Impero Ottomano, ma l’ordine pubblico non si è mosso. Si è mossa la critica, invece. Tra chi ha appoggiato il film e chi invece lo ha attaccato, puntando soprattutto l’accento sul fatto che una storia così drammatica andava raccontata con maggiore attenzione al linguaggio dei fatti e dei documenti, e meno inclinazione alla fiction televisiva. “Ho visto il film e mi è piaciuto” ci ha detto la Arslan, “trovo il lavoro dei fratelli Taviani molto coerente, e credo che alcune accuse siano assurde. La verità storica del genocidio è accertata e accettata dalla quasi totalità degli storici di tutto il mondo; anzi, continuano a venir fuori documenti, testi, diari, testimonianze. Non vedo perché non possa essere il tema di un film, anche se il linguaggio cinematografico costringe gli autori a sacrificare e semplificare alcuni aspetti della storia”. Il suo libro ha venduto in Italia 100 mila copie, ha vinto numerosi premi letterari (tra cui il Campiello), e vanta traduzioni in diverse lingue, la più recente delle quali in giapponese.

Tra le critiche più ferme ci sono le parole di Ahmet Boyacioglu, rappresentante turco presso Euroimages (l’ente che assegna fondi al cinema europeo), il quale ha definito il film “razzista, a senso unico, il cui unico risultato sarà quello di alimentare polemiche”.

Non sono critiche nuove, questa stessa persona che lei cita ha dimostrato tutto il suo dissenso quando lo scorso anno il comitato di Euroimages ha approvato quasi all’unanimità il finanziamento per il film considerandolo utile al fine di divulgare una verità storica. Come vuole che commenti le parole seguite alla proiezione? Dovrei forse spiegare che nel film e nel libro non c’è nemmeno una parola di odio, che ci sono anche personaggi turchi positivi? Se il governo turco è attestato su posizioni negazioniste, questa persona non può certo dire nulla di diverso.

Mez Yeghèrn, il Grande Male con cui gli armeni definiscono la tragedia del loro popolo. La Shoa, le grandi discussioni sul negazionismo. Le posizioni di chi non vuole ammettere che questi grandi crimini siano stati commessi. Perché la memoria storica fa tanta fatica ad affermarsi?

L’affermazione della memoria dipende da come questa viene sostenuta e dalla volontà politica che la sorregge. A sostenere la memoria della Shoa, per fortuna, c’erano le nazioni uscite vincitrici dalla Seconda Guerra mondiale. Per quel che riguarda il genocidio armeno, dopo la fine della Prima Guerra mondiale ogni processo si esaurì in un nulla di fatto. Furono prodotti dei documenti pubblicati sulla gazzetta ufficiale turca fino all’aprile del 1919, furono eseguite alcune condanne. Tuttavia poi, sia per la colpevole negligenza della nazioni uscite vincitrici dalla guerra, sia per eventi interni alla storia turca, nel ’23 con il Trattato di Losanna si pose una pietra tombale su qualsiasi discorso che riguardasse questo povero piccolo popolo ormai scacciato dalle sue terre ancestrali, e per settant’anni nessuno ne ha parlato più. Ma non è l’unico caso al mondo di genocidio o di massacro di massa ben noto agli studiosi ma che purtroppo fatica ad affermarsi. Il Novecento, purtroppo, è pieno di questi fatti.

Ma come rompere il tabù, come trovare parole di dialogo che possano aprire uno spiraglio per l’affermazione di una verità storica verso la quale sono ancora molti coloro che rifiutano di aprire gli occhi?

Io credo purtroppo che non ci siano scorciatoie e a volte un episodio come l’assassinio di Dink improvvisamente apre uno spiraglio. Mi riferisco al fatto che oltre centomila turchi seguissero i funerali di un giornalista ucciso perché rivendica la verità per il popolo armeno. A quei funerali non c’erano molti armeni, erano turche quelle persone scese in piazza che gridavano “Siamo tutti Hram Dink, siamo tutti armeni”. Una scena del genere sarebbe stata inconcepibile dieci anni fa. Un progresso quindi c’è stato, ed è il frutto del lavoro di chi, come Dink, vuole parlare senza odio ma con precisione, di chi cerca lo spazio per un linguaggio comune, di chi continua a cercare parole che sono come gocce che poco alla volta scavano la pietra e aprono piccoli spiragli. Credo che così si possa arrivare alla progressiva accettazione di un fatto che molti turchi intellettuali oggi affermano come verità; come la scrittrice Elif Shafak, lo storico Taner Akçam e Kemal Yalçin, autore di un libro dal titolo Con te sorride il mio cuore (Edizioni Lavoro) di cui ho scritto recentemente la prefazione per l’edizione italiana, un’opera che racconta il viaggio dell’autore, turco, attraverso l’Anatolia alla ricerca degli armeni perduti. Il viaggio è proprio un tentativo di colmare un vuoto che i turchi avvertono nella propria storia, nella ricostruzione del proprio passato.

Vartan Gregorian ha detto: “Le diaspore non sono ghetti, ma ponti di comunicazione verso più ampie comunità”. C’è in queste parole una visione che consegna ai popoli segnati dalla diaspora il testimone del dialogo interculturale, di un’apertura, per quanto forzata, all’incontro con l’altro.

È una bellissima frase, e si addice molto alle comunità armene che sono molto ben inserite nelle realtà in cui vivono. Penso al caso francese, dove la comunità armena è molto ampia, ma possiamo guardare anche alla diaspora armena in Siria, o in Libano, dove è l’unica minoranza che non sia stata quasi toccata dalla guerra perché ha saputo avere contatti con entrambe le parti in conflitto. Ci sono anche paesi in cui minoranze armene vivono situazioni di disagio, ma in generale, per quel che io conosco, la diaspora armena ha prodotto comunità aperte a culture assai diverse.

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