Questo testo è il discorso tenuto dall’autore alla Conferenza internazionale di Doha, organizzata in Qatar da Reset Dialogues on Civilizations il 26 febbraio 2008.
Fino al 1990, nel mondo arabo le trasmissioni televisive sono state prevalentemente sotto il controllo statale, funzionando come sezioni dei dipartimenti d’informazione governativi. Dall’inizio degli anni Novanta, sulla regione araba soffiavano venti di cambiamento. In risposta a queste ampie trasformazioni, i governi arabi diedero vita a riforme politiche, sociali ed economiche: dall’introduzione di elezioni libere e di emendamenti liberal-costituzionali all’accelerazione di programmi di privatizzazione economica. Anche nel settore radiotelevisivo alcuni governi introdussero un percorso di riforme, attraverso l’approvazione di nuove leggi audiovisive, la creazione di strutture mediatiche più autonome o la coesistenza con emittenti non-statali oppure, infine, il rilancio dell’offerta di programmazione.
Eppure, come rileva il rapporto del Centro di studi sui diritti umani del Cairo, questi sviluppi non hanno segnato sostanziali cambiamenti per quanto riguarda il controllo governativo del mercato radiotelevisivo. In questo contesto in veloce cambiamento, il broadcasting statale si è trovato piuttosto in difficoltà, incapace di tenere il passo delle tendenze regionali e globali in evoluzione. In un modo o nell’altro, questa situazione ha determinato una crisi d’identità del broadcasting statale, dovuta principalmente alla sua incapacità di generare un modello perseguibile adatto alle comunità arabe del nuovo secolo.
L’evoluzione del panorama mediatico della regione aveva anche indotto a una ricerca di modelli più appropriati per i sistemi radiotelevisivi, il più importante dei quali è stato quello del servizio pubblico. In teoria, quest’ultimo assicura la protezione delle emittenti dagli interventi statali e anche da pressioni commerciali, con l’intento di servire l’interesse collettivo. Fin dai primi anni Novanta, i governi hanno cercato di rafforzare la propria legittimità presentando i loro servizi radiotelevisivi come i migliori difensori dell’interesse pubblico. L’audience della regione era esposta a una vasta gamma di programmi caratterizzati da dibattiti più aperti e format interattivi. Nel frattempo, i media non statali lottavano per affermarsi nel mercato regionale, offrendo contenuti e format radiotelevisivi alla maniera occidentale.
Nel 2007, nella regione araba c’erano più di 400 canali satellitari a disposizione degli spettatori, oltre a centinaia di prodotti radiofonici, molti dei quali con una chiara inclinazione verso le comunità locali. Discussioni accademiche e politiche sul futuro del servizio radiotelevisivo hanno sostenuto l’istituzione del modello del servizio pubblico come una terza alternativa per la regione. Se il modello del servizio pubblico sembra offrire alle società arabe il meglio del broadcasting che riusciranno mai a ottenere, la sua istituzione dipende fortemente da una serie di condizioni che derivano, in primo luogo, dalla volontà degli Stati di frenare il proprio intervento nel settore. La comunità stessa avrebbe l’ultima parola nella definizione del mandato e nella composizione degli organi di regolamentazione del servizio. Se nel mondo arabo il broadcasting statale si basasse sul principio di servire l’interesse collettivo così come è percepito dallo Stato, il modello del servizio pubblico conserverebbe questa missione collocando visioni dell’interesse pubblico nella stessa comunità. È chiaro che qui la questione è fondamentalmente politica e riguarda la distribuzione del potere nella società. Se la comunità, grazie ai suoi organi rappresentativi, dispone del suo sostanziale potere legislativo per produrre meccanismi equilibrati, trasparenti e corretti affinché il servizio radiotelevisivo sia gestito nell’interesse collettivo, allora il broadcasting è in una buona posizione per giocare un ruolo attivo nella vita della comunità.
Nell’era della globalizzazione, i governi con un alto livello di legittimità non hanno bisogno di gestire direttamente le emittenze per promuovere i propri orientamenti politici e ideologici. Solo l’istituzione di una buona governance garantirebbe una condotta politica più trasparente e al servizio della comunità. Il sistema radiotelevisivo da solo non potrebbe mai sostenere cattive pratiche di governo, a meno che non fosse strumentalizzato come mezzo di pubbliche relazioni o di spin-doctoring, concetti che, nell’era della globalizzazione, contravvengono alle premesse basilari della governance. L’idea di considerare, per il mondo arabo, il modello del servizio pubblico sembra aver guadagnato ulteriore forza grazie al supporto di organizzazioni internazionali e gruppi locali della società civile. Nel 2006, uno studio sulle riforme del settore radiotelevisivo nel mondo arabo, pubblicato dal Centro di studi sui diritti umani del Cairo, sottolineava come il modello del servizio pubblico fosse il più adatto al sistema mediatico arabo.
Il programma sulla governance nella regione araba (Pogar) dell’Undp (Programma di sviluppo delle Nazioni Unite) ha promosso nei paesi arabi riforme mediatiche che comprendevano le richieste per la creazione di cornici regolamentari più indipendenti e trasparenti per la gestione degli organi emittenti. Nel 2007, un workshop dell’Unesco su «Servizio pubblico e democrazia negli Stati arabi» sottolineava come il servizio pubblico radiotelevisivo fosse un elemento importante nella società, sia per la partecipazione del cittadino nella vita pubblica, che per uno sviluppo democratico sostenibile. L’Asbu, l’unione dei servizi radiotelevisivi degli Stati arabi, ha approvato le raccomandazioni del workshop riguardo alla necessità di condividere esperienza e specializzazione, promuovere il concetto di servizio pubblico radiotelevisivo, studiare la cornice legale per il fondamento e il funzionamento di tale servizio, sottolineare le funzioni culturali ed educative dei suoi prodotti mediatici e promuovere alleanze strategiche e collaborazioni in suo favore.
In conclusione, nel mondo arabo il servizio radiotelevisivo statale, eredità dell’era pre-globalizzazione, continuerà a esistere ma in termini totalmente diversi. Interventi diretti e indiretti dello Stato nelle imprese radiofoniche e televisive, specialmente nell’ambito dell’informazione e del settore degli affari pubblici, sono destinati a minare la legittimità delle emittenti per gli anni a venire. D’altro lato, i sintomi culturali negativi delle pratiche commerciali di broadcasting e la loro predisposizione a essere asservite alla politica sembrano precludere la privatizzazione delle strutture radiotelevisive statali. Servire l’interesse pubblico è il primo concetto fondamentale per le emittenti della regione. Per raggiungere questo obiettivo, i media statali devono riposizionare l’interesse pubblico al di fuori di visioni di Stato auto-prescritte e limitate, in modo da abbracciare la comunità nel suo insieme. Questo mutamento nei parametri fondamentali del mandato delle emittenti impone un movimento nella politica, sia a livello nazionale che regionale, verso condizioni più egalitarie e partecipative in cui il vero potere è nelle mani degli organi rappresentativi piuttosto che delle strutture esecutive. È soltanto in queste condizioni che si potrà istituire un servizio pubblico radiotelevisivo sostenibile per servire l’interesse collettivo della regione.
Muhammad I. Ayish è preside del College of Communication dell’Università di Sharjah, negli Emirati Arabi Uniti.
Traduzione di Daniela Conte