Grazie alla revisione costituzionale votata il 12 novembre scorso, Abdelaziz Bouteflika si avvia ad accedere, per la terza volta di seguito dal 1999, alla carica di presidente della Repubblica d’Algeria. Facciamo un bilancio della sua presidenza.
Bouteflika è stato eletto la prima volta nel 1999 con la promessa di ristabilire la pace civile nel paese. Era la principale aspirazione degli algerini all’epoca, ovvero ritornare alla pace dopo il terribile ciclo della guerra civile degli anni ’90 che ha causato circa 150.000 morti. E’ principalmente per quest’obbiettivo che è stato eletto la prima volta. Il secondo mandato l’ha ottenuto con la promessa di far ripartire l’economia, di modernizzarla e di risolvere il problema del lavoro per i giovani. Sulla prima questione si può constatare che l’Algeria non è più oramai nella stessa situazione. Non ci sono più migliaia di morti ogni settimana, anche se l’Algeria continua ad essere teatro di diversi atti terroristici. Da questo punto di vista, non si può certo affermare che la pace civile sia stata completamente ristabilita, ma è incontestabile che ormai non ci troviamo più nella stessa situazione buia degli anni ’90. Riguardo alla questione della modernizzazione dell’economia, che a mio avviso andrebbe risolta attaccando gli interessi dei gruppi occulti, quest’obiettivo a mio avviso non è stato ancora raggiunto.
Sin dal giorno della sua indipendenza, il sistema politico dell’Algeria è stato definito come quello dell’alleanza presidenziale. Qual è il ruolo dell’esercito nella vita politica algerina del dopo-indipendenza?
Il ruolo dell’esercito è cambiato nel corso degli anni. Dal 1962 al 1965, sotto la presidenza di Ben Bella, l’esercito si è tenuto in disparte dalla vita politica nonostante avesse permesso allo stesso Ben Bella di accedere al potere. In seguito, con il golpe militare del 1965 e la presidenza di Boumedienne, l’esercito si è imposto sulla scena politica del paese occupando sistematicamente tutti gli spazi. Con Chadli Benjedid, presidente dal 1979 al 1992, l’esercito ha continuato a giocare un ruolo fondamentale, ma c’è stata parallelamente anche una volontà di rianimare la struttura del partito unico, l’FLN (il Fronte di liberazione Nazionale ndr), a partire dal 1979-1980. Questa struttura però è crollata nell’ottobre 1988 e l’esercito è ritornato prepotentemente sulla scena politica soprattutto dal 1992 in poi, nel corso della guerra contro gli estremisti islamici. Con l’elezione di Bouteflika l’esercito è ritornato nell’ombra rispetto al passato.
Gli oppositori di Bouteflika continuano ad agitare lo spettro del ‘clan di Oujda’. Questo clan ha ancora potere all’interno della vita politica algerina?
L’espressione ‘clan di Oujda’ può essere applicata a personaggi attivi negli anni ’70, durante la presidenza di Boumedienne. La maggior parte delle figure politiche che componevano questo clan oggi sono morte. Inoltre l’espressione ‘clan di Oujda’ è stata coniata dai giornalisti francesi tra gli anni ’60 e ’70. Di uomini del clan di Boumedienne ne resteranno oggi uno o forse due, e comunque sono estremamente anziani. Questa espressione è oramai datata e risale a quasi mezzo secolo fa. Oggi i veri centri di potere sono altrove.
I rapporti tra l’Algeria e la Francia sono da sempre tesi. Durante gli ultimi anni della presidenza di Chirac, l’assemblea nazionale aveva approvato una legge nella quale c’era un articolo in cui si sottolineava il ruolo positivo della colonizzazione. Dopo le veementi proteste in Algeria e in Francia l’articolo incriminato è stato eliminato. Sin dalla sua elezione Sarkozy ha cercato di normalizzare i rapporti tra Francia e Algeria. Secondo lei è riuscito nello scopo?
I rapporti franco-algerini sono molto difficili e restano tali, in quanto continuano a cozzare contro la questione della memoria. Nel 2003 ci sono stati i presupposti per un disgelo nelle relazioni e addirittura nel 2004 si è sfiorata la firma di un trattato di amicizia tra la Francia e l’Algeria. Ma dal 2005 in poi i rapporti si sono considerevolmente degradati a causa di questa questione della memoria che resta al centro delle polemiche volte a riscrivere una parte della storia ufficiale. L’Algeria reclama il pentimento e le scuse ufficiali mentre la Francia, con Sarkozy, vuole operare una politica di riconoscimento “graduale” degli errori del colonialismo, una politica fatta di piccoli passi. In quest’ottica vanno visti il riconoscimento del massacro di Setif del 1945 (rivolta contro l’esercito francese che per rappresaglia massacrò tra i 15.000 e i 50.000 algerini, ndr) oppure la consegna della cosiddetta mappa delle mine antiuomo (nel 2007 il capo di stato maggiore dell’esercito francese ha consegnato al suo omologo algerino la mappa dettagliata dei luoghi in cui l’esercito francese piazzò, tra il 1956 ed il 1959, migliaia di mine antiuomo, ndr). Ma per ora non c’è stato alcun gesto ‘globale’ della Francia.
Ha visto il film « La Battaglia di Algeri » del regista Gillo Pontecorvo? Come spiega che questo film, uscito nel 1965, sia rimasto inedito in Francia fino al 2004?
Certo che l’ho visto. Contrariamente ad una leggenda diffusa, il film non è stato censurato in Francia dallo stato. Il film non venne distribuito nelle sale perché venne rifiutato dai distributori. Il ‘divieto’ arrivò da certe cerchie della società francese, soprattutto ex paracadutisti ed ex combattenti d’Algeria (i pieds noirs) che ne hanno vietato la diffusione attraverso una forte mobilitazione. Ogni volta che un distributore voleva proiettare il film era costretto poi ad interrompere la proiezione perché c’erano forti opposizioni e minacce contro i gestori delle sale cinematografiche. E’ questa la ragione per cui il film non è stato mai proiettato integralmente in Francia fino al 2004. Contrariamente a quanto si crede, non fu lo stato francese a vietarlo, ma una parte della società civile francese. Ma è chiaro che la battaglia per la proiezione di questo film è stata fin troppo lunga.
Le leggi di amnistia del 1964 e del 1966 hanno praticamente impedito alle vittime o ai loro figli di intraprendere qualunque azione penale contro coloro (esercito francese o FLN) che commisero violenze tra il 1954 ed il 1962.
E’ vero, e ce ne sono state anche delle altre in seguito. Nel ’68 ad esempio, nel ’74 e nell’82. Lo scopo era proprio quello di impedire che le violenze commesse durante la guerra d’Algeria fossero portate in un’aula di tribunale.
Nonostante però l’impossibilità di arrivare ad una sanzione penale, il quotidiano Le Monde è riuscito a dimostrare (attraverso al famosa prova del pugnale con le tre iniziali) la colpevolezza dell’attuale capo del Front National, Jean-Marie Le Pen, reo di avere torturato prigionieri del FLN nel cortile di una prigione ad Algeri. Crede che occorrerebbe rivedere queste leggi per avere una vera pacificazione storica?
E’ una questione prettamente politica e per questo dovrebbe porre la domanda agli uomini politici francesi.
Dopo l’indipendenza circa 800.000 pieds noirs e ebrei sefarditi che vivevano in Algeria furono ‘espatriati’. Ciò significò la fine di un’Algeria cosmopolita?
Algeria cosmopolita? C’era molta segregazione già prima del 1962. Quello che possiamo rimpiangere è il fatto che dopo l’indipendenza del 1962 c’è molto meno ‘multiculturalismo’ nella società algerina.