Beirut, Libano
Se in Italia c’è chi vorrebbe rendere l’omofobia un reato, in Libano esiste una legge che di fatto la legittima: è la numero 534, una misura introdotta durante il mandato francese in Libano (1922-1943) che condanna i rapporti sessuali giudicati “innaturali” con pene fino a un anno di carcere. Da qualche anno, però, la comunità gay di Beirut è venuta allo scoperto e ha iniziato a fare sentire la sua voce. Questa lenta rivoluzione ha fatto della capitale libanese l’unica città del mondo arabo in cui è diventato possibile rivendicare pubblicamente la propria omosessualità, anche grazie all’associazione Helem (in arabo “sogno”) che è l’acronimo per “protezione libanese per gay lesbiche e transgender”. Nella sua sede è possibile parlare con psicologi, chiedere assistenza giuridica e, dall’anno scorso, fare test anonimi per l’Hiv.
“Qui dentro non si fanno le orge, come racconta qualcuno”, dice ironico George Azzi, il giovane presidente di Helem. “In giro si dice che siamo pedofili o sadomasochisti; ma è il destino di qualsiasi gruppo chiuso e nascosto: alla fine viene coperto da dicerie e superstizioni. Per questo bisogna venire fuori allo scoperto e dimostrare veramente chi siamo”, aggiunge Azzi con tono pacato. E le occasioni per dimostrare che la prima Ong gay del mondo arabo è proiettata ben oltre i confini della comunità lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), non sono mancate. Nel 2006, ad esempio, durante la guerra tra Israele e Hezbollah, Helem si è coordinata con le altre organizzazioni libanesi per accogliere a Beirut i rifugiati che dal sud del Libano scappavano dai bombardamenti israeliani.
Il primo “gay-pride in embrione” è stato organizzato quest’anno all’indomani di un episodio di omofobia avvenuto nel cuore cristiano di Beirut. Ai piedi di un edificio in costruzione di piazza Sassine, due giovani omosessuali sono stati picchiati dalla polizia davanti agli occhi dei passanti “perché si erano baciati”. In caserma, poi, dai calci e i pugni si è passati alle sevizie sessuali. “Più che una manifestazione gay è stato un raduno contro la violenza, sostenuto anche da altre associazioni della società civile”, racconta Azzi. Ma nelle foto di quella giornata si vedono ragazzi e ragazze avvolti dagli striscioni arcobaleno del movimento di liberazione lgbt che tengono in mano cartelli con slogan contro la legge 534.
Da allora le violenze sono continuate, come hanno testimoniato due giovani intervenuti a una giornata di mobilitazione della comunità gay, organizzata quest’estate nel teatro d’avanguardia Babel, al centro di Beirut. “Siamo stati fermati dalla polizia che ci ha portati in caserma, dove ci hanno picchiati e ci hanno sottoposto a un esame del retto per verificare se avevamo avuto rapporti sessuali. Tutto questo è successo perché camminavamo in maniera effeminata”, ha raccontato uno di loro, mentre il compagno annuiva con gli occhi lucidi. “Episodi del genere sono molto frequenti”, spiega Rabih, responsabile di un servizio di assistenza sanitaria e psicologica per gli omosessuali, attivato da Helem l’anno scorso. “Dalla nostra apertura abbiamo effettuato circa 400 test dell’HIV”, ha aggiunto, spiegando che Helem è legata a una rete di altre 50 associazioni “gay friendly” che offrono servizi sanitari specifici a chi vuole essere curato nell’anonimato senza subire il peso di giudizi morali.
Le pressioni sociali restano il nemico numero uno degli omosessuali libanesi. “La maggior parte delle persone pensa che essere gay sia una malattia”, ha spiegato Omar, un ragazzo di 18 anni che ha da poco aderito al movimento gay. “Siccome frequentavo una scuola cattolica e non nascondevo i miei orientamenti sessuali – ha aggiunto – mi hanno espulso. Più tardi la mia famiglia mi ha costretto ad andare in cura da uno psicologo: una tortura durata tre anni. Alla fine ho dovuto fingere di essere ‘guarito’ ”. Le discriminazioni subite in famiglia, tra gli amici, o anche la difficoltà ad accettare se stessi, sono le problematiche affrontate più spesso dagli psicologi di Helem. “Si tratta di fenomeni che interessano tutti gli strati sociali e i gruppi confessionali”, ha spiegato Azzi, precisando che Helem è assolutamente apolitica e ha fatto senza alcun problema campagne di sensibilizzazione anche nei quartieri controllati da Hezbollah. “Per il momento – ha aggiunto – il nostro obiettivo non è fare il gay pride, ma è abolire leggi discriminatorie e essere almeno accettati dalla società”.