La funzione civica della filosofia
Ramin Jahanbegloo 13 October 2010

L’approssimarsi della Giornata mondiale della Filosofia che, sotto l’egida dell’UNESCO, si celebrerà a Teheran tra circa un mese, ci invita a riflettere sul ruolo civico della filosofia nel mondo di oggi. Viviamo in un momento di diffuso relativismo etico, che ha generato, soprattutto nelle nuove generazioni, un atteggiamento di “tutto va bene”. Non certo estraneo a questo atteggiamento è lo scetticismo, anch’esso piuttosto diffuso in questo momento, circa il ruolo critico della filosofia. Gran parte dell’opinione pubblica ha infatti cominciato a credere che l’impegno “socratico” volto alla ricerca della verità sia una perdita di tempo e un modo idealistico di vivere nel nostro mondo globalizzato. I filosofi sono spesso presentati come insignificanti “inventori di concetti”, il cui unico scopo nella vita è quello di lottare per ottenere un contratto nelle università nordamericane e europee. Come tale, l’affermazione che la filosofia sia un’attività liberatoria ha buone probabilità di essere accolta con cinismo e derisione.

È interessante notare che duemilacinquecento anni fa, nella commedia Le nuvole, Aristofane dipinse Socrate come un sofista amorale impegnato ad insegnare ai giovani ateniesi come imbrogliare utilizzando astute argomentazioni. Tuttavia, l’oscura commedia di Aristofane non riuscì a dissuadere i filosofi, che continuarono a interrogare e a mettere in discussione alcune delle credenze fondamentali dell’uomo rispetto alla propria esistenza nel mondo.

L’idea della libertà e il problema della sua organizzazione sociale e politica rappresentano senza dubbio uno dei temi centrali della filosofia. Perché i filosofi hanno cominciato a interessarsi al problema della libertà? Perché, per un filosofo, la libertà è la questione più importante con cui confrontarsi? La risposta a queste due domande può essere trovata esaminando le conseguenze a cui porterebbe il fatto di trascurare la questione della libertà. Inutile dire che la libertà rappresenta la forza creativa del pensiero filosofico allo stesso modo in cui la filosofia contribuisce alla comprensione e al progresso del concetto di libertà. Per questo motivo, i filosofi hanno cercato di comprendere la libertà nel modo più completo e critico possibile, contribuendo non solo alla sua definizione, ma anche alla sua realizzazione. L’osservazione di Hegel è vera oggi come lo era quasi duecento anni or sono, quando affermò che “nessuna idea è così generalmente riconosciuta come indefinita, ambigua, e aperta ai più grandi malintesi (dei quali pertanto è vittima), come l’idea di libertà: è tanto diffusa nell’uso comune quanto, allo stesso tempo, profondamente incompresa.”

La libertà, infatti, è un concetto che non solo è stato poco compreso, ma del quale si è anche intensamente abusato. Questa condizione doppiamente infelice dell’idea di libertà fa sì che a monte di ogni discussione filosofica, il pensiero filosofico debba essere compreso come lotta per la libertà e, al contempo, come parte importante dell’essere liberi. Come si vede, il problema della libertà si pone ogni qual volta ci si interroghi sulla natura dell’indagine filosofica.

Se il fulcro dell’indagine filosofica è infatti rappresentato dal tentativo di pensare il concetto di libertà in modo tale che gli esseri umani possano conformarsi a esso, il problema di come gli esseri umani potrebbero essersi allontanati da esso meriterebbe una qualche considerazione, cosi come sarebbe importante interrogarsi sulle eventuali possibilità di ritorno. In altre parole, la filosofia non è solo un modo di mettere in discussione l’idea di libertà e le sue applicazioni sociali e politiche, ma anche un modo di pensare e di interrogare la mancanza di libertà. Il reciproco intersecarsi del problema della libertà e del problema dell’indagine filosofica apre alla possibilità che questi siano due parti complementari di un solo problema più fondamentale: in che modo l’azione dell’uomo o la sua esperienza della politica vengono plasmati dall’intreccio di filosofia e libertà? Invece di affermare con Kant e Sartre che la nostra umanità risiede nella nostra libertà, forse dovremmo riconoscere che la creazione del politico coincide con l’incarnazione di quella tensione permanente tra l’istituzionalizzazione della libertà e l’interrogazione filosofica. Solo nella misura in cui siamo liberi di pensare possiamo passare a un esame più ampio del processo del pensiero stesso. Possiamo, dunque, parlare della libertà come di un “gemello non identico” della filosofia nel progetto di interrogare e sfidare la realtà pensabile e praticata. Porre la filosofia come un sapere finito ed esaustivo sarebbe come definire e praticare la libertà come l’eterna ripetizione dell’uguale. L’occultamento teologico dell’interrogazione filosofica va quindi di pari passo con la perdita del carattere creativo e rivoluzionario della libertà. A dire il vero, un individuo che si interroga filosoficamente non può sottrarsi al confronto esplicito e libero con altri modi di pensare e con altre forme del pensabile.

È affascinante notare che l’interrogazione filosofica è un modo di pensare in grado di crepare i muri del pensiero dominante e istituzionalizzato che lo circondano. Per questo, la filosofia come interrogazione critica si dipana nel divario tra il pensiero che si istituisce liberamente e il pensiero istituzionalizzato. È proprio qui che possiamo cominciare a capire perché la filosofia incarna l’esercizio continuo di portare la libertà nella vita politica, come correttivo vissuto a quello teologico. Il compito civico della filosofia è quello di resistere all’idea stessa di una teoria complessiva e totalizzante della realtà.

Pertanto, pretendere che l’organizzazione politica di una società si fondi su una teoria totale e completa significa dichiarare non-pensabile la politica, ponendo fine alla libertà di pensare diversamente e di pensare in maniera innovativa. In altre parole, non ci può essere una società democratica senza che ci sia discussione democratica, o, per dirla più chiaramente, senza che ci sia una discussione civica sulla natura della democrazia. La discussione civica non si limita a ciò che Martin Luther King chiamava “la carta sottile” della democrazia, ma indica la dimensione critica dell’azione civica che, in maniera attiva e pratica, forma e educa le persone. Proprio qui risiede la sfera del conflitto tra interrogazione filosofica come analisi critica delle norme e dei significati istituiti e come un modo di pensare positivamente orientato alla libertà e alla democrazia, e la chiusura onto-teologica a tutte le forme di interrogazione, espressa da ciò che Cornelius Castoriadis chiama l’“eteronomia istituzionalizzata”.

Ciò rimanda all’altra affermazione, che, dove comandano gli dei, non c’è filosofia. Non ha molto senso parlare e scrivere di filosofia, senza dover riflettere simultaneamente sulla natura della filosofia stessa. Questo è il motivo per cui il ruolo del filosofo civico, come persona la cui mente è rivolta alle ingiustizie e alle atrocità del mondo (quasi sempre in nome della filosofia), dovrebbe essere difeso, anche se tale concetto ha perso oggi la sua forza politica. Il filosofo non può essere sostituito da un contratto all’università, anche se l’ironia del nostro tempo sembra suggerire questo. I filosofi possono contribuire ancora molto alla democratizzazione della democrazia. Essi continueranno senz’altro a essere utili alle società umane, a patto che gli esseri umani continuino a credere che la filosofia non rappresenta solo un’inutile parola. In un certo senso, oggi il compito civico della filosofia si riassume nella lotta tra il pensiero critico e il fanatismo. Qualunque sia il prezzo che i filosofi dovranno pagare per le loro mani vuote nella battaglia contro sconsiderate tirannidi e dominazioni egemoniche, possiamo sperare nella vittoria di un pensiero democratico e inclusivo.

Traduzione di Nicola Missaglia

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