Camminando per le strade del centro del Cairo e in piazza Tahrir, non si direbbe che quello sia il luogo che ha visto scoppiare una rivoluzione capace di abbattere un regime trentennale, un tempo considerato uno dei più saldi e forse più repressivi della regione araba. Innescata dall’aspirazione di porre fine ad un governo durato 30 anni che, pur definendosi “democratico”, ha represso con forza la libertà di espressione e schiacciato le opposizioni, la rivolta del 25 gennaio 2011 ha segnato il giorno in cui, nella storia del moderno Egitto, è stata aperta la porta alla libertà e alla democrazia. Nessuno dei manifestanti scesi per strada ha usato slogan politici, come ad esempio il più noto tra gli slogan dei Fratelli Musulmani, “l’islam è la soluzione”. Gli slogan utilizzati sono stati per lo più quelli che rivendicavano i diritti sociali ed economici e le riforme politiche più importanti, considerati come pre-condizioni necessarie alla realizzazione di quei diritti umani che nel Paese sono rimasti a lungo negati.
Messa al bando fin dal 1954 con l’accusa di aver cospirato un fallito attentato contro il presidente Abdel Nasser, la Fratellanza Musulmana – il più antico e numeroso gruppo islamico presente in Egitto- ha continuato ad operare in clandestinità per oltre 50 anni. Il gruppo, fondato da Hassan Al-Banna nel 1928, ha iniziato il proprio percorso come gruppo sociale finalizzato alla difesa dei principi e degli insegnamenti islamici ma, poco alla volta, ha finito per impegnarsi politicamente, specialmente nella lotta contro la presenza coloniale britannica in Egitto. Quando, negli anni Quaranta, il movimento iniziò a conquistare terreno, fu presto accusato di aver organizzato campagne terroristiche e omicidi in tutto il Paese e nel 1948, dopo l’assassinio del Primo ministro Mahmoud Al-Nuqrashi, venne ufficialmente disciolto.
Nel corso degli anni, il gruppo è stato sia oggetto di repressione che utilizzato nel gioco politico dai regimi successivi. Ciò lo ha costretto ad operare e ad affermarsi nella clandestinità, specie tra i giovani e i più poveri. Con lo slogan “l’islam è la soluzione”, la Fratellanza ha attratto un larga fetta della società e, nell’Egitto di Mubarak, era considerato il gruppo d’opposizione più vasto, più forte e più organizzato. Avendo sempre agito clandestinamente, nessuno è mai stato in grado di verificare quanto effettivamente grande sia diventata questa forza politica in continua crescita. Diversamente dalle ipotesi della prima ora, si ritiene che non siano stati i Fratelli Musulmani a dare inizio alle proteste esplose in tutto il Paese e che il gruppo si sia limitato ad unirsi ai manifestanti quando le proteste hanno iniziato a prendere slancio e ad ottenere risultati.
Con la caduta del regime di Mubarak, per la Fratellanza tutto è cambiato: per la prima volta dopo oltre 50 anni essa non è più al bando, può legittimamente svolgere un ruolo politico e gli è persino concesso di formare un partito politico, “Libertà e Giustizia”, appagando un’aspirazione nutrita per decenni. Diversamente da quanto in molti si sarebbero aspettati, il partito è aperto a uomini e donne musulmani e ai cristiani, come ha dichiarato di recente il portavoce della Fratellanza, Saad Al-Katatni. Mohammed Al-Beltagi, figura autorevole della Fratellanza, ha spiegato che il gruppo «non ambisce a candidarsi alla presidenza o ad altri incarichi nella coalizione di governo». La Fratellanza, sostiene Al-Katatni, mira soprattutto a realizzare le aspettative di democrazia e libertà del popolo egiziano. Tutto ciò è in evidente contraddizione con la piattaforma politica presentata dal gruppo nel 2007 nella quale, scatenando molte polemiche, si chiedeva l’istituzione di un “Consiglio Supremo degli Ulama” (un organismo composto da esperti di legge coranica) per valutare la conformità delle leggi approvate dalle istituzioni egiziane, nonché il divieto per i cristiani e per le donne di occupare la carica di Primo ministro e quella di presidente del Paese.
Durante la rivoluzione, il popolo ha ribadito chiaramente di voler istituire uno Stato libero da condizionamenti religiosi o militari, perciò la Fratellanza pare aver “reinventato” se stessa per adattarsi alle aspettative popolari accantonando, almeno temporaneamente, lo slogan “l’islam è la soluzione”. Gli opinionisti egiziani prevedono l’istituzione di un governo parlamentare con poteri presidenziali limitati. Di fronte all’intenzione dei Fratelli Musulmani di entrare in Parlamento per farne il proprio trampolino di lancio per l’ingresso nell’arena politica, tra gli intellettuali e i liberali si è diffusa la legittima preoccupazione e il timore che essi finiscano per cavalcare l’onda , sfruttare la rivoluzione e assumere infine il controllo, soprattutto alla luce della loro recente dichiarazione che «non ci sarà separazione tra politica e religione».
Tra tutti i partiti che nel corso degli anni sono stati indeboliti da un regime politico che non ha quasi lasciato alcuno spazio all’opposizione, i Fratelli Musulmani restano tra i più forti e i più organizzati. Perciò non va sottovalutata la possibilità che essi conquistino la maggioranza parlamentare, cosa che indurrebbe a chiederci se la speranza di ottenere democrazia, diritti umani ed eguaglianza possano davvero concretizzarsi. Un tale evento significherebbe la sostituzione di un dittatore con un altro, il quale nega i diritti delle minoranze e quelli delle donne in nome dell’islam, trasformando così il Paese in un altro Iran o in un’altra Arabia Saudita? Questo è un momento della storia dell’Egitto in cui la religione e la politica devono seguire strade diverse: un momento in cui l’islam non è la soluzione.
Traduzione di Antonella Cesarini