“Il 16 maggio a mezzanotte terminerà il mandato del presidente Chirac, che cederà la carica al suo successore. Sarà Nicolas Sarkozy, Ségolène Royal o François Bayrou?”. Con questo interrogativo, posto ai lettori de La Revue du Liban, esordisce Evelyne Massoud in un editoriale sulle “gesta” del presidente francese che ha i toni di un’agiografia: “Se nessuno può negare che Chirac sia stato un europeista convinto, si può altrettanto dire che è stato un grande amico del Libano. Era venuto in visita nel 1993 in qualità di sindaco di Parigi ed è ritornato ben cinque volte; l’ultima nell’ottobre 2005 all’indomani della morte di Rafiq Hariri, suo caro amico. Il suo ultimo atto di fede e d’amore per il Libano è stato il ‘Paris III’ per la ricostruzione del Paese”. Certo, non per tutti nel mondo arabo Chirac è un esempio da imitare: anche se avesse voluto correre per un terzo mandato, “dopo 12 anni di ‘dolciastra’ leadership e con una popolarità ai minimi storici, le sue chance di essere rieletto sarebbero più sottili delle modelle che sfilano per la collezione primaverile di Christian Dior”, commenta con sarcasmo “alla francese” Claude Salhani sull’egiziano Middle East Times.
Ma adesso ciò che importa agli arabi è capire chi sarà il nuovo capo dell’Eliseo e quanto e come cambierà il corso della politica francese. Sulle pagine dei quotidiani arabi le scommesse sono aperte. I principali temi di discussione riguardano due fronti: i giornali del Mashreq (l’Oriente arabo, ndr) sono quasi esclusivamente interessati ai risvolti di politica estera dell’imminente cambio alla guida dell’Eliseo; la stampa al di qua del Nilo, e specialmente quella del Maghreb francofono, è invece attenta anche alle opzioni di politica interna (immigrazione, integrazione, acquisizione dei diritti di cittadinanza) presenti nei programmi dei tre “favoriti”: Royal, Sarkozy e Bayrou.
La politica internazionale
I giornalisti arabi fanno a gara per rintracciare nelle biografie dei tre candidati dettagli che aiutino a capire il loro background e le loro tendenze in politica estera. Così, Randa Takieddin di Al-Hayat sottolinea le origini ebraiche di Nicolas Sarkozy per spiegare la sua sensibilità per le vicende del popolo ebraico e l’attenzione alla sicurezza di Israele. Elementi che implicano un netto schieramento in campo internazionale: “Se Sarkozy diventerà presidente, la sua politica estera sarà basata sull’alleanza con gli Stati Uniti e su relazioni più strette con Israele che ha più volte definito come ‘un piccolo stato circondato da governi ostili’”. La vicinanza ad Israele è ciò che accomuna Sarkozy al candidato di centro Bayrou che “si è guadagnato la reputazione di amico dello Stato ebraico e sostenitore delle sue politiche”. Tuttavia, a differenza di Sarkozy, Bayrou “non è indissolubilmente legato all’alleanza con gli Usa ma anzi ha sostenuto le posizioni di Chirac contro l’intervento in Iraq”.
Quanto alla candidata socialista, Ségolène Royal ha sempre cercato di evitare una presa di posizione netta sulla questione israelo-palestinese. In un discorso dell’11 febbraio scorso liquidava il problema con tre battute: “La pace nel Vicino Oriente richiede che si tenga conto di due esigenze indissociabili e ugualmente urgenti: quella della giustizia e quella della sicurezza. Bisogna rendere giustizia ai palestinesi. Ma bisogna anche garantire la sicurezza d’Israele e la vita di tutti i suoi cittadini”. “Ridurre un conflitto tanto complesso a due semplici parole, ‘giustizia’ e ‘sicurezza’, non denota una grande volontà d’impegnarsi per trovare una soluzione – nota Ridha Kefi sul tunisino Le temps – Evitando di pronunciarsi sulla necessità di creare uno stato palestinese, la Royal cerca senza dubbio di non alienarsi il sostegno della lobby ebraica filo-israeliana presente in Francia, di cui conosce la forza, soprattutto nel campo della comunicazione”.
Riguardo all’altro spinoso problema dello scacchiere mediorientale, ovvero la questione irachena, Ségolène Royal, intervistata da Daphne Barak per Al-sharq al-Awsat, ricorda di essersi opposta alla possibilità di un intervento francese in Iraq e si dice a favore del ritiro dei soldati americani dalla regione, ma approfitta della domanda per ripiegare subito su uno dei suoi cavalli di battaglia, le politiche di cooperazione allo sviluppo: “Adesso tocca all’Iraq innescare un processo che permetta alle truppe americane di ritirarsi. Penso che, ancora una volta, abbiamo toccato il problema dello sviluppo economico e sociale. È necessario un maggiore afflusso di aiuti internazionali per stimolare lo sviluppo e riportare la pace e la stabilità nell’area”.
Per Le Temps “la nuova politica di co-sviluppo proposta dalla candidata socialista” – che propone un aumento del 5% dei flussi di aiuti pubblici allo sviluppo convogliati attraverso il canale delle Ong locali per aumentare il ruolo e l’incidenza di queste ultime sulla società civile – “è uno dei rari punti di programma in cui la divergenza tra Madame Royal e Monsieur Sarkozy è maggiormente percepibile: la socialista sembra più determinata a promuovere la democrazia e il buon governo nel sud del Mediterraneo”. A parte l’aspetto della cooperazione però “se la Royal vincerà le elezioni, la politica estera francese non subirà particolari cambiamenti rispetto al suo corso attuale – commenta un editoriale di Al Hayat – Se invece il presidente sarà Sarkozy, la sua politica estera si allineerà a quella degli Stati Uniti, il che comporterà, tra l’altro, posizioni più dure nei confronti di Hamas e Hezbollah”.
Quanto alla politica estera di Bayrou, Claude Salhani la definisce “un mistero” sul Middle East Times. “In ogni caso – è il rassegnato commento della corrispondente di Al-Hayat Randa Takieddin – la fine del mandato di Chirac costituirà una grossa perdita per il Medio Oriente, il Libano, l’Iraq e le altre aree calde della regione, dal momento che al suo successore mancherà l’esperienza necessaria per gestire i problemi di quest’area del mondo”. Infine, sui rapporti con il mondo islamico non-arabo, e segnatamente con la Turchia e l’Iran, i candidati alla presidenza sembrano divergere più nei toni che nei contenuti. Mentre Sarkozy dichiara apertamente di non volere la Turchia nell’Unione Europea (posizione che Patrick Seale su Al-Hayat considera “un errore di proporzioni strategiche”), Ségolène Royal nell’intervista rilasciata ad Al-sharq al-Awsat dichiara diplomaticamente di apprezzare che “paesi come la Turchia desiderino abbracciare i valori europei” ma aggiunge che “l’UE a 27 ha bisogno di un periodo di assestamento: solo se la cosa funziona bene, l’Europa potrà permettersi di guardare oltre i propri confini”.
Sull’Iran la sua posizione è molto più netta: “Sono stata Ministro dell’Ambiente, ho ispezionato le centrali nucleari e so per esperienza che quando si controlla la tecnologia dell’uranio arricchito per scopi civili, si è anche in grado di utilizzarla per fini militari. Perciò sono assolutamente contraria all’accesso dell’Iran alla tecnologia nucleare. Anche a scopi civili!”.
La politica interna
Un recente sondaggio dell’IFOP (Institut français d’opinion publique) mostra che la maggior parte della popolazione francese d’origine nordafricana – i cosiddetti beurs – in gran parte di confessione musulmana, si sente più vicina al Partito socialista e alla sua candidata Ségolène Royal (57% delle preferenze al primo turno e 85% al secondo) che all’UMP, il partito della destra francese, e a Sarkozy. Tuttavia, secondo il quotidiano indipendente tunisino Le Temps, “le posizioni della Royal sull’Islam e sui musulmani non sono affatto diverse da quelle del suo principale rivale. Anche se la candidata del PS sembra voler ostentare una certa divergenza rispetto a Sarkozy su questo tema, le sue dichiarazioni non si allontanano sostanzialmente dalla linea laicista repubblicana. Sostenendo la laicità dello Stato, il PS cerca di migliorare la sua immagine agli occhi di una lobby laicista sempre più intransigente nei confronti dell’Islam”.
Nei discorsi della Royal e di Sarkozy l’Islam sarebbe spesso considerato pretestuosamente come “un nemico della repubblica”. E se è vero che entrambi i candidati hanno scelto come propri portavoce per la campagna elettorale due donne musulmane di origine nordafricana e si sono circondati di diversi collaboratori musulmani, è altrettanto vero – rimprovera il quotidiano palestinese Al-Quds Al-‘Arabi – che spesso si tratta di professionisti figli di immigrati di seconda o terza generazione, che hanno ormai soltanto legami molto blandi con i paesi e la cultura d’origine: “E’ forse così che i due candidati cercano di sedurre l’elettorato musulmano?”.
In realtà la candidata socialista raccoglie i consensi dell’elettorato d’origine nordafricana soprattutto sulla parte del suo programma che riguarda la disoccupazione e, in misura minore, l’educazione e le politiche sociali. Il disagio delle periferie è infatti uno dei temi su cui le proposte della Royal sono più convincenti. Secondo Yacine Farah, dell’algerino El-Watan, per Mme Royal la priorità è quella di “ridinamizzare il tessuto associativo, ridurre la disoccupazione e lottare efficacemente contro la discriminazione e l’isolamento di cui sono vittime i giovani delle periferie”. Quanto a Bayrou, che si attesta al secondo posto nelle preferenze dei beurs, è proprio la lotta contro la discriminazione che appare il punto più attraente del suo programma, mentre la proposta di Sarkozy di un “Piano Marshall per le periferie” non sembra altrettanto convincente ai francesi di origine maghrebina. Ma è soprattutto la questione dell’immigrazione giustificare lo scarto elevato tra la Royal e gli altri candidati.
Sarkozy ha adottato una posizione molto dura rispetto agli immigrati (che già nel 2004 costituivano l’8,1% della popolazione francese) e specialmente nei confronti dei movimenti arabi e islamisti. Il Middle East Times aggiunge che “nella speranza di sottrarre voti a Le Pen, Sarkozy ha anche annunciato il suo orwelliano progetto di creare un Ministero dell’immigrazione e dell’identità nazionale”. Il progetto è stato criticato con toni accesi dalla candidata socialista che, secondo Nadjia Bouzeghrane di El Watan, avrebbe dichiarato di considerare “ignobile” l’associazione tra identità nazionale e lavoratori immigrati, “che vengono per contribuire alla crescita economica e che non hanno mai minacciato l’identità francese. Al contrario, gli immigrati regolari vengono spesso a fare lavori che i francesi non vogliono più fare”. Ma secondo Ridha Kefi di Le Temps, anche su questo punto “Mme Royal non rompe realmente con la politica di Sarkozy poiché, anche per lei, i flussi migratori vanno controllati e ridotti”. Inoltre la socialista “continua a difendere una visione totalmente utilitarista della manodopera immigrata, esclusivamente in funzione dei bisogni del padronato francese”.