Continua a far parlare di sé l’uomo nuovo della politica egiziana Mohammed El Baradei, già stella della diplomazia internazionale, direttore generale dell’Agenzia delle Nazioni unite per l’energia atomica (Aiea) dal 1997 al 2009, e premio Nobel per la pace nel 2005 per il suo impegno a favore del disarmo nucleare. Sulla scena politica egiziana dall’inizio dell’anno, quando a sorpresa, appena andato in pensione, ha fatto ritorno al Cairo, El Baradei non smette di intessere nuove alleanze, funzionali al suo progetto, quello di riformare “un sistema vecchio di 7.000 anni”, come più volte asserito pubblicamente.
Il tutto in vista di due appuntamenti elettorali strategici, il rinnovo a settembre dell’Assemblea popolare (la Camera bassa del Parlamento egiziano, composta da 444 membri elettivi e dieci di nomina presidenziale), e le elezioni presidenziali di gennaio. E con la credibilità della sua statura politica prende peso anche l’Assemblea nazionale per il cambiamento (Anc), il movimento trasversale che raggruppa le diverse anime dell’opposizione e dell’attivismo politico egiziano da lui fondato in febbraio. A tal punto da spingere la Fratellanza musulmana a rompere gli indugi e schierarsi con il musulmano moderato El Baradei nel suo scontro frontale con la maggioranza, rappresentata dal Partito nazionale democratico (Ndp) del presidente 82enne Hosni Mubarak.
I Fratelli, interdetti dal fondare un partito ufficiale, ma presenti nell’Assemblea con 88 deputati eletti come indipendenti, puntano a migliorare il risultato del 2005, quando la pressione congiunta di Stati Uniti e Unione Europea aveva favorito il regolare svolgimento del voto legislativo. Ora, sulla scia dell’effetto El Baradei, l’opposizione islamista confida in una nuova breccia democratica a settembre, soprattutto dopo la sonora sconfitta alle elezioni della Shura (Camera alta del Parlamento, composta da 264 di cui 176 elettivi) lo scorso primo giugno. La Fratellanza non ha ottenuto nessun seggio – quattro, invece, i ‘senatori’ dell’opposizione laica, che così ha raddoppiato la propria rappresentanza nella Shura – e ha denunciato brogli e irregolarità, puntando ora ad un ‘risarcimento’ in autunno.
Più discreto, ma comunque visibile, l’avvicinamento fra il moderato El Baradei e la Chiesa copta, che ha invitato l’ex diplomatico alla messa di Pasqua, officiata da papa Shenouda III. I cristiani d’Egitto, che rappresentano circa il 10-15% della popolazione, attendono di capire, con la prudenza che è d’obbligo per una minoranza i cui diritti sono appesi a un filo, la piattaforma politica dell’Assemblea, a maggior ragione dopo l’avvicinamento ai Fratelli Musulmani. Ma soprattutto, El Baradei potrà sfidare il presidente Mubarak nel 2011? Al momento, non essendo membro di nessun partito politico, come invece previsto dalla Costituzione, la sua candidatura è una possibilità remota. Solo un emendamento costituzionale gli permetterebbe di fronteggiare il presidente in carica, attualmente al suo quinto mandato. Non solo. L’Anc non è un partito riconosciuto e se anche lo diventasse entro la fine del 2010, non avrebbe i necessari cinque natali per esprimere un candidato presidenziale.
Per questo il nuovo simbolo del riformismo egiziano sta raccogliendo le firme – l’obiettivo è di un milione – per modificare la Costituzione e aprire la strada alla sua candidatura. In caso contrario, il suo impegno non modificherà nell’immediato il quadro politico né influenzerà lo scrutinio presidenziale, in ogni caso incerto: Hosni Mubarak, nonostante precarie condizioni di salute, potrebbe comunque decidere di candidarsi al sesto mandato consecutivo qualora la successione del figlio Gamal, ai vertici dell’Ndp già da cinque anni, non fosse giudicata ancora matura – dall’esercito, dal partito o forse dalla famiglia stessa – oppure la leadership del Paese potrebbe sostenere un candidato di esperienza come Omar Suleiman, alla guida dei servizi segreti egiziani e, secondo più fonti, vero braccio destro di Mubarak già da anni.
Un ministro o un esponente dell’esercito stimato anche dagli alleati stranieri potrebbe essere l’asso nella manica. Le incognite sono numerose, anche se la recente operazione alla cistifellea subita dal presidente in Germania ha evidenziato la necessità di una strategia definita per il passaggio di poteri, dopo una ‘monarchia assoluta’ durata quasi trent’anni. La successione, e con essa la stabilità dell’Egitto, impensierisce non poco europei, americani e Paesi limitrofi. Così come la democratizzazione non ancora attuata dal regime in carica, in virtù dell’alibi, non del tutto privo di fondamento, fornito dal rischio terrorismo islamista. Sul medio-lungo periodo, un movimento trasversale riformista come quello proposto da El Baradei, che punta all’abolizione delle leggi di emergenza – la legge marziale in vigore dal 1981, dall’assassinio di Anwar Sadat per mano islamista – potrebbe diventare l’interlocutore del partito di maggioranza nel dopo-Mubarak.
Ma la nuova star del riformismo egiziano non è vista di buon occhio da chi ha fatto dell’antagonismo a Mubarak una professione. Piovono le critiche di nasseriani e progressisti, che gli rimproverano tutto e il contrario di tutto: frequenti trasferte all’estero – sarebbe, quindi, troppo vicino all’Occidente e poco concentrato sulla vita politica egiziana – lontananza dai problemi veri della gente, assenza di un progetto chiaro. Ma anche populismo, snobismo nei confronti della classe politica, presunzione. Come già successo ad Ayman Nour, ‘lapidato’ con la medesima intensità da maggioranza e opposizione.