Tarek Heggy e le prigioni della mente araba
Federica Zoja 9 aprile 2010

Un “vulcano” che rifiuta i sintomi di arretratezza delle società arabo-islamiche, promuovendo umanità, civiltà e progresso. Così Tarek Heggy, intellettuale liberale egiziano, definisce se stesso, “vulcano di rabbia perché gli arabi non perdono mai l’occasione per perdere l’occasione”. E denuncia, attraverso saggi ed articoli, senza ambiguità né timori, i difetti che affliggono la società egiziana e, più in generale, quella araba, individuando le “prigioni mentali” che ne ostacolano lo sviluppo economico e culturale. Ora una raccolta di suoi scritti è disponibile in italiano, pubblicata da Marietti 1820 e curata da Valentina Colombo, arabista e autrice di studi sulla cultura musulmana, in un volume di dimensioni contenute (116 pagine) eppure denso di spunti di riflessione (Le prigioni della mente araba, 18 euro).

Articolo dopo articolo, la raccolta guida il lettore alla scoperta dell’universo cognitivo di Heggy, commentatore amaro ma mai rassegnato di un mondo in cui il ragionamento ha da tempo lasciato il posto all’imitazione, in cui la classe media – con il suo bagaglio culturale – è stata erosa e svuotata di rappresentatività, in cui le minoranze – copta e sciita le più consistenti – sono brutalmente schiacciate in nome di una pretesa infallibile interpretazione dei testi sacri islamici che rifiuta l’Altro. Heggy individua i temi caldi dell’attualità arabo-musulmana e li mette a nudo senza la retorica consueta dei colleghi analisti: affronta il nodo politico della legittimità dei partiti religiosi islamici, cui si oppone strenuamente perché ritiene che essi siano bramosi di potere e sfruttino la ‘leva religiosa’ per conquistarlo; inoltre, considera il fiqh, il diritto islamico, “un’interpretazione umana dei testi sacri” e come tale bisognosa di aggiornamenti e contestualizzazioni.

Si rivolge agli uomini di religione affinché siano al passo con i tempi, così come i primi pensatori musulmani – ad esempio Ibn Rush (1126-1198, il cui nome latinizzato è Averroé) – da cui, paradossalmente, la cultura cristiana ha tratto maggiore profitto di quella musulmana. Nel chiudere la porta all’interpretazione (ijtihad), alla ricerca, i musulmani si sono accontentati di quanto prodotto dai loro antenati in un tempo sempre più remoto. L’intellettuale egiziano riconosce nella corrente interpretativa wahabita (Mohammed ibn Abd Al Wahhab, 1703-1792, Regno saudita) del Corano la responsabilità della deriva fondamentalista nei paesi a maggioranza islamica, resa possibile da contesti culturali ed economici svantaggiati, e dai petrodollari della dinastia saudita.

Heggy rileva la tendenza tutta araba a vedere nella realtà di tutti i giorni cospirazioni e complotti, scaricando le responsabilità su nemici esterni troppo potenti per essere sconfitti. Tutto questo grazie a regimi dispotici che dai loro cittadini-sudditi vogliono obbedienza e non senso critico. Lucido e ironico fotografo della propria realtà, non tralascia il diffuso fenomeno sociale della fobia di un’invasione culturale occidentale che privi i paesi arabi della loro specificità: il timore dell’altro, ammonisce, è sintomo di insicurezza e di senso di inadeguatezza; inevitabilmente, traspare anche dal linguaggio. Negli anni, è diventata sempre più diffusa la pratica linguistica della ‘spacconata’, dell’iperbole, dell’esagerazione, biasimate in Occidente e ‘coltivate’ in Medio oriente. L’esaltazione della patria, l’invenzione di una realtà di successo, in sintesi la mancanza di autocritica, sono tentazioni assai diffuse, scardinabili solo attraverso l’educazione.

Infine una curiosità, che Tarek Heggy consegna ai lettori dei suoi articoli perché meditino sulla forma mentis araba: per la parola ‘compromesso’, abbondantemente utilizzata in svariate lingue occidentali e orientali, non esiste un corrispettivo termine arabo, se non la composizione haal uasat, letteralmente ‘soluzione di mezzo’.

Nato a Port Said il 12 ottobre del 1950, Tarek Heggy ha studiato giurisprudenza e gestione d’impresa presso l’ateneo di Ain shams, al Cairo, per poi specializzarsi a Ginevra. All’insegnamento presso diversi atenei arabi, fra cui quello marocchino di Fez, ha alternato la carriera dirigenziale nell’ambito petrolifero, facendo il suo ingresso nel gruppo Shell international petroleum nel 1979. Esperto in contratti petroliferi, primo cittadino mediorientale a guidare la sede regionale di Shell, è uscito dal gruppo olandese nel 1996 per dirigere la propria società, Tana petroleum. E dedicarsi alla scrittura. Dal 1978 ha pubblicato quindici libri, di cui cinque tradotti in inglese. E’ editorialista per testate e siti internet liberali arabi, dalle cui pagine promuove riforme sociali, economiche, politiche e religiose nel mondo arabo e in Egitto in particolare. Bernard Lewis lo definì “la più coraggiosa e lucida voce d’Egitto”. Tarek Heggy vive al Cairo.