Dopo svariati rinvii, sembra quasi certo che le elezioni presidenziali e parlamentari si terranno nel mese di aprile, anche se gli scontri fra truppe governative e ribelli sono ripresi con violenza. In quale clima andranno alle urne i sudanesi?
E’ probabile che il voto si svolga dall’11 al 13 aprile, anche se da più parti giungono richieste di posticipare ancora una volta le elezioni perché la situazione sul terreno non è delle migliori. Non credo, però, che questo accadrà: non conviene a nessuno degli attori in gioco. Un gruppo di osservatori dell’Unione europea è in Sudan già da fine febbraio per assicurare il corretto svolgimento delle diverse fasi del processo elettorale: si tratta della missione più consistente di questo genere (130 osservatori elettorali, ndr), eppure il lavoro, in un Paese vasto come il Sudan, sarà più che mai difficile. Per le migliaia di sfollati, le vittime del precedente conflitto, registrarsi e recarsi alle urne sarà complicato; e poi, ampie aree del paese sono instabili, come il Darfur, dove la missione ‘ibrida’ ha subito degli attacchi (composta da Nazioni Unite e Unione Africana, autorizzata nell’estate 2007). Anche nell’est la situazione resta incerta.
In questo quadro precario, quale scenario potrebbe scaturire dalla consultazione elettorale?
Se la gente non fosse messa in condizione di votare e fosse confermato il presidente Omar Hassan Al Bashir, prevedo ancora maggiore instabilità, soprattutto perché, in gran parte, l’accordo di pace (Comprehensive peace agreement, 2005) non è stato ancora messo in pratica. Sono troppe le questioni aperte, ad esempio quella del confine fra Nord e Sud del paese, ricco di petrolio. Credo, dunque, che il risultato di queste consultazioni non potrà essere analizzato in modo isolato rispetto a quello del Referendum del gennaio 2011 per l’indipendenza della regione del Sud Sudan. I prossimi appuntamenti elettorali fanno parte del processo di pace iniziato nel 2005, di una transizione verso la piena stabilità ancora lunga da raggiungere.
Quali intermediari internazionali sono considerati autorevoli dal governo di Khartoum nelle trattative con i diversi gruppi di ribelli e nella pacificazione con il Ciad?
Dopo l’avvio del procedimento nei confronti del presidente Al Bashir da parte della Corte penale internazionale con l’accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità per le atrocità commesse in Darfur, i rapporti con la comunità internazionale si sono raffreddati. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea possono però ancora svolgere un ruolo di mediazione importante. Ritengo, poi, che nel medio-lungo periodo, crescerà il ruolo dei facilitatori africani, guidati da Thabo Mbeki (presidente del Sudafrica dal 1999 al 2008), così come, con alcuni distinguo, considero globalmente positiva l’azione dell’Ua e della Lega Araba. La Cina ha grossi interessi economici e commerciali, ma non sembra interessata a un ruolo di mediazione. La condanna internazionale di Al Bashir, certo, ha pregiudicato alcuni negoziati, ma era inevitabile, soprattutto da parte di chi fa del rispetto dei diritti umani un pilastro della propria politica, come Nazioni Unite e Unione Europea; e poi bisognava dare un segnale di sostegno alla popolazione del Sudan e dei paesi confinanti.