Poiché Hamza Piccardo è già sposato civilmente con una marocchina (dopo il divorzio dalla prima moglie italiana, dalle quali ha avuto complessivamente 5 figli), la vicenda sembrava prestarsi come spunto per una discussione sul problema della poligamia in Italia. Ma, contattata al telefono, la Sbai ci chiarisce subito, con voce decisa e squillante, che il caso Piccardo non ha a che fare con la questione della poligamia. “Se andiamo a vedere bene quello che è successo, si capisce che quello che la signora Lia ha raccontato è sostanzialmente una truffa, perché Piccardo non si è sposato in comune, ma in moschea: ma i matrimoni che si fanno in moschea sono fasulli. In altre parole, Piccardo ha truffato una donna, e lo ha fatto usando il suo lavoro e l’Islam. Questo è gravissimo. Mandare un divorzio per sms? In Marocco sarebbe finito in galera”.
Ma allora non esiste il problema della poligamia in Italia? Eppure lei stessa lo ha recentemente denunciato.
Certo che esiste, e proprio per le ragioni che dicevo, ossia il fatto che l’Italia non ha ancora capito che i nostri matrimoni non sono matrimoni religiosi, sono atti notarili e basta. Così questi personaggi sono liberi di fare quello che gli pare. Quindi non bisogna affatto ridicolizzare o sminuire il problema, che è drammatico e sta aumentando. Il paradosso è che esso aumenta più in Italia che nei paesi di provenienza, dove la poligamia è proibita, o dove i mariti devono confrontarsi con i genitori e i fratelli di lei. Qui invece manca una rete di parentela, familiare, così che le donne si trovano sole e i mariti spesso se ne approfittano. Non voglio generalizzare, certo. Ma nella nostra associazione arrivano tante donne maltrattate.
Quali sono i paesi in cui la poligamia è vietata?
Tanti. Ad esempio Tunisia, Marocco, Algeria, Turchia, Giordania. Invece in Italia c’è un’ambiguità legislativa di cui molti approfittano, come dicevo. Occorrerebbe invece sentire i paesi arabi, accordarsi con loro. Ad esempio, nel caso della comunità marocchina, bisogna parlare con lo stato marocchino, e prima ancora conoscere qual è il loro diritto di famiglia. Insomma, è indispensabile conoscere quello che succede negli altri paesi, prima di dare dei diritti senza criteri o fare riforme avventate. Per ora riconoscere il matrimonio in moschea è assurdo.
È d’accordo con la posizione di Madgi Allam che propone un registro pubblico delle nozze islamiche?
No. Le nozze islamiche non ci devono proprio essere. Le nozze devono avvenire nei comuni italiani, ed essere registrate lì. Si tratta di un atto notarile che non ha niente a che vedere con la Moschea.
Lei ha espresso una posizione precisa circa l’ipotesi di una legge sulla libertà religiosa, attualmente in discussione nella prima Commissione della Camera, e promossa dal responsabile della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero. Davvero secondo lei “non siamo ancora pronti”?
No, assolutamente. Anzitutto, la libertà religiosa esiste in Italia, le moschee ci sono, nessuno proibisce a nessuno di professare la propria religione, fortunatamente. Si tratta certamente di una legge bella e importante, ma non per il momento. E sa perché? Perché non ci sarebbe nessuno con cui fare l’intesa. L’Ucoi? Non sono rappresentativi, come non lo siamo neanche noi, del resto. Non abbiamo un mufti, una gerarchia. E poi bisogna includere tutte le minoranze, come gli sciiti, senza escludere nessuno. Insomma, affrontiamo prima alcuni problemi urgenti, come la questione della scuole islamiche, e molte altre cose, e poi faremo tutte le intese che vogliamo. C’è tempo.
Per concludere: condivide le preoccupazioni del ministro Amato circa la provenienza dei fondi che finanziano le moschee e le loro attività?
Decisamente sì. Ringrazio Amato, era veramente ora che qualcuno lo dicesse, bisogna controllare tutti, fare leggi severe. Ma il punto decisivo resta comunque un altro: occuparsi più degli immigrati in quanto tali, che degli immigrati in quanto persone di religione islamica. Bisognerebbe dare il diritto di cittadinanza ai bambini che nascono in Italia, fare una seconda sanatoria, che aspettiamo da tempo. Questo significa affrontare l’immigrazione senza ambiguità, senza alzare polveroni. La nostra religione viene, come dire, in un secondo tempo.