Un manifesto riporta tre corvi intenti a beccare un pezzo di terra con i colori della bandiera svizzera. Un altro illustra un gruppo di pecore bianche intento a cacciare una pecora nera dal territorio nazionale. Lo Swiss People’s Party ha espresso così il suo disaccordo sull’estensione a Bulgaria e Romania, nuovi membri europei, degli accordi di libera circolazione dei lavoratori tra la Svizzera e l’Ue. Gli slogan scelti dal partito definivano i due paesi come “Il Terzo Mondo” dell’Europa.
La storia è andata diversamente, e la mattina dell’8 febbraio gli Svizzeri hanno votato a favore del sì con un inatteso 59,6%, un dato che in tempi di crisi e di soggezione psicologica la stampa svizzera non ha esitato a definire quasi un plebiscito. L’opinione diffusa, secondo cui la recessione economica tende a alimentare isolazionismo e protezionismo, questa volta è stata smentita. Contenti gli svizzeri, con i loro 400.000 lavoratori che attualmente beneficiano della possibilità di circolare liberamente in Europa, e contenta più di tutti l’Unione europea, che nelle parole del presidente della commissione José Barroso e dell’attuale presidente di turno il Primo Ministro ceco Topolanek, ha espresso tutto il suo apprezzamento per gli esiti del voto. Ma come hanno reagito i due paesi su cui, se non formalmente almeno nei contenuti, erano riposte tutte le perplessità inerenti l’estensione degli accordi?
Il cinismo e il realismo politico hanno toccato anche le sponde dell’Est Europeo, e Bulgaria e Romania hanno reagito con una dose di disincanto. Del resto il precedente del “British jobs for British workers” di poche settimane fa (quando dei lavoratori britannici hanno protestato contro l’assunzione di un gruppo di italiani in una raffineria nel lincolnshire) non faceva ben sperare, così come le recenti lamentele francesi nei confronti delle ondate di lavoro a buon mercato che minaccerebbero le comunità locali. Tempi e modi di reazione sono stati diversi. La stampa bulgara ha optato per un’analisi decisamente pragmatica; il Sofia Echo il 9 febbraio ha pubblicato un articolo significativamente intitolato “Market Matters”, il mercato conta. L’articolo rifletteva su come la Svizzera sia stata costretta a confrontarsi con le misure di accesso e mobilità nel mercato del lavoro imposte dall’Unione europea, pena l’isolamento e la soggezione alla sfera dell’euro. L’ex Ministro delle Politiche Sociali Dimiter Dimitrov ha precisato che la Bulgaria dev’essere trattata al pari di ogni altro stato membro e che l’esito del voto non avrà effetti sulle ondate migratorie.
Il Sofia Echo, attraverso le parole dell’ex ambasciatrice bulgara a Berna Lea Cohen, ha voluto sottolineare come la Bulgaria non sia un paese con un tasso di criminalità particolarmente alto e che il numero dei bulgari in Svizzera è talmente basso da rendere ingiustificato qualsiasi spauracchio di ‘invasione barbarica’. Allo stato attuale, i bulgari guardano con molto più interesse la Spagna e l’Inghilterra. Diversa è la situazione della Romania, che a vent’anni dalla fine del regime comunista e a due dall’ingresso nell’Unione europea, temeva decisamente di più un rifiuto svizzero. La posizione rumena è più debole sullo scenario europeo rispetto a quella bulgara, a causa delle controversie in cui sono coinvolti alcuni suoi cittadini e l’ondata di pregiudizi che ne è conseguita. Il Cotidianul. il giorno dopo le elezioni, ha esordito con il titolo “La Svizzera ci ha dato il semaforo verde”. La stampa rumena non gli ha fatto da eco e si è attestata su posizioni difensive, come riporta Le Temps: “La Svizzera ci accetta. Ma rassicuratevi, non lo fa perché ci ama. La paura di perdere gli accordi con l’Unione Europea ha giocato a nostro favore”. La consapevolezza che siano state le necessità economiche (e non un impeto umanitario) a spingere gli svizzeri verso il sì ha indotto l’opinione pubblica del paese a smorzare ogni accesso di ottimismo.
Tra un’attitudine pragmatica e la consapevolezza che le paure nei confronti dei loro cittadini non siano state esorcizzate ma sedate per ragioni economiche, la Romania e la Bulgaria devono affrontare un percorso più arduo del semplice restyling della loro immagine. Il contesto attuale fa emergere i due paesi come bacini di risorse umane destinati a svuotarsi, con un grave e progressivo impoverimento culturale ed economico per la società. La mobilità dei cittadini e dei lavoratori nell’Unione europea è un processo bidirezionale. Per ogni lavoratore che parte, si spera che ce ne sia un altro che possa guardare in direzione della Romania e della Bulgaria per realizzare le proprie aspettative personali e lavorative, nell’ottica di una nuova dialettica della mobilità in Europa, che renda i suoi stati membri paritari a tutti gli effetti.