«Ma insegnando le religioni si combatte l’islamofobia»
M. C. 6 July 2009

Insegnare il fenomeno religioso islamico piuttosto che la religione islamica come culto. Che vuol dire oggi? A questa domanda ambiziosa ha cercato di rispondere l’Istituto Internazionale del pensiero Islamico di Parigi (IIIT) in una giornata di studi che ha visto la partecipazione d’intellettuali e specialisti dell’Islam quali Mohammed Mestiri (direttore dell’IIIT), Mustafa Cherif, filosofo e direttore del Master di studi islamici presso l’Università di Barcellona, Stéphane Lation professore all’Università di Friburgo, Charles Saint-Prot, direttore dell’Istituto degli studi geopolitici di Parigi.

Dal dibattito emerge il concetto che, al giorno d’oggi, l’Islam non dovrebbe essere più considerato alla stregua di una disciplina spirituale o di un’organizzazione cultuale del divino ma alla stregua di un fenomeno. Questo paradigma nuovo ed ambizioso coinvolge dunque anche le scienze umane come la filosofia, la sociologia, la storia, l’epistemologia e l’antropologia. L’Islam è innanzitutto un fatto, un fenomeno che si protrae nel tempo e nello spazio e che ha attraversato la diversità di epoche e società. Troppo spesso la prospettiva storica e antropologica e in generale scientifica si è opposta all’approccio religioso, teologico o spirituale. In realtà questi due approcci non si escludono a vicenda, anzi dovrebbero collaborare nell’interdisciplinarietà per permettere all’Islam di avanzare nel III millennio.

Soltanto se si considera l’Islam come un fenomeno religioso e non un apparato di dogmi irrefutabili e soltanto se il suo studio è accompagnato dalla disciplina scientifica delle scienze umane si può permettere anche alle comunità di fare il salto di qualità e di integrare senza traumi la modernità. Secondo Mohammed Mestiri, occorre rivedere il concetto d’insegnamento del fenomeno religioso islamico in quanto si continua da un lato a insegnare un Islam ‘contraddittorio’ e ‘patrimoniale’ e dall’altro ci si focalizza esclusivamente sul punta di vista sociologico. Mestiri si chiede perché tutti i tentativi di insegnare l’Islam a livello universitario siano falliti e si chiede se le ‘sacche di resistenza’ in Svizzera, Belgio, Strasburgo e Barcellona riescano ad invertire la tendenza dominante.

Nella società odierna, priva di punti di riferimenti, si assiste ad un ritorno alla religione. Il problema è che la trasmissione della tradizione religiosa non è coerente con il ritorno in forza della rivendicazione religiosa, anzi sembra esserci uno scarto tra il fenomeno così come si palesa nella società e la risposta del mondo accademico. Insomma università, istituti e scuole non sembrano essere all’altezza della situazione, e le comunità soffrono questa dicotomia tra una forte presenza del dato religioso nello spazio pubblico e l’assenza d’insegnamento nello spazio accademico.

Secondo il filosofo Mustafa Cherif, soltanto la presenza di quasi 20 milioni di cittadini musulmani in Europa dovrebbe essere una ragione sufficiente per approfondire lo studio e la conoscenza dell’Islam. La radice del problema è infatti l’ignoranza. Impossibile comprendere oggi il processo euro-mediterraneo, il fenomeno dell’immigrazione o quello degli incessanti scambi tra le due rive del Mediterraneo senza una conoscenza minima della religione e della civiltà islamica. Gli attentati dell’11 settembre hanno provocato una cesura, ma anche la creazione di un nuovo nemico pubblico, il cittadino musulmano.

La reazione all’islamofobia è il fanatismo integralista. Insegnare l’Islam nella sua versione autentica, civilizzata ed aperta significa per Cherif fornire una risposta obiettiva a coloro che usano l’Islam per propagare odio e intolleranza. L’orientalismo nel XIX secolo ha accompagnato aggressivamente il fenomeno coloniale, ma ha anche fornito elementi preziosi. Oggi, paradossalmente, l’insegnamento del fenomeno religioso e della cultura dell’Islam è notevolmente diminuito e i media non fanno altro che accentuarne l’aspetto deformato e le derive politiche. L’Islam resta la seconda religione d’Europa. Un motivo per cui quest’ultimo dovrebbe essere compreso e studiato ma soprattutto non ignorato.

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