Sembra che il mondo musulmano stia ancora lottando per raggiungere un equilibrio con la modernità. In molti accusano la religione islamica per il ritardo economico e scientifico e per la mancanza di una società civile libera e indipendente. Non pensa che quest’accusa finisca per accrescere il fondamentalismo?
Sono assolutamente d’accordo. Ricondurre tutti i problemi del mondo musulmano – siano essi politici, economici, sociali o culturali – all’Islam è ciò che io definisco una teologizzazione delle questioni secolari. E’ questa teologizzazione a rafforzare la rivendicazione fondamentalista. Secondo i fondamentalisti il ritorno all’Islam e alla sua età dell’oro risolverebbe qualsiasi problema. Gli intellettuali laici, al contrario, vogliono identificare cause e ragioni specifiche in cerca di soluzioni. Non va dimenticato, inoltre, che il mondo musulmano non è un’entità monolitica. Le accuse mosse contro l’Islam si fondano sull’assunto secondo cui esso rappresenterebbe un sistema definito, privo di storia e di quella molteplicità di sfaccettature che, invece, lo caratterizzano.
La sua disciplina d’elezione consiste nell’applicare al Corano le scienze moderne – linguistica, semiotica ed ermeneutica – e nel proporre, attraverso di esse, una lettura diversa, non letterale del testo sacro. Ci può spiegare l’approccio “ermeneutico” al Corano?
L’ermeneutica insegna che non esiste alcuna interpretazione oggettiva o innocente di qualsivoglia testo ma che è sempre auspicabile un approccio pluralista. Essa mostra la complessità del processo interpretativo in presenza di due orizzonti: l’orizzonte del testo e quello dell’interprete. L’orizzonte del testo comprende moltissime dimensioni: la sua storia; la sua struttura; la tradizione che vi si è accumulata attorno creando infiniti strati di significato e portando, in alcuni casi, alla dogmatizzazione e all’ortodossia; infine, il modo in cui il testo è stato ricevuto, trasmesso e canonizzato. L’orizzonte dell’interprete, d’altro lato, comprende anch’esso moltissimi aspetti: in primo luogo, la prospettiva personale dell’interprete, basata sul suo retroterra sociale e intellettuale. L’interprete è un individuo con certe appartenenze e affiliazioni di cui può essere più o meno consapevole. Da questa sua consapevolezza dipende la capacità di controllare i pregiudizi. Nel processo interpretativo i due orizzonti del testo e dell’interprete si fondono: il significato prodotto non è né interamente testuale né interamente personale. Applicare l’ermeneutica al Corano significa lottare contro il monopolio del significato autorizzato dai politici o dagli uomini di culto. Vuol dire mostrare che il significato, prodotto in una data era storica o per una data generazione, non è assoluto o finale. Ogni epoca, ogni generazione ha il diritto di correggere il testo e riprodurne il significato a seconda delle circostanze.
In una conferenza tenuta a Roma lo scorso marzo lei ha affermato che “quando l’Europa attraversava il medioevo il mondo musulmano viveva, per così dire, il suo illuminismo”. Cosa non è andato nel verso giusto?
Niente. Si è trattato della naturale decadenza di una certa civiltà dovuta, in primo luogo, alla debolezza interna che le ha fatto perdere energia e l’ha resa vulnerabile alle conquiste di un’altra potenza. Questa è la legge della storia: è accaduto anche ai greci e ai romani. L’invasione dell’impero musulmano da parte dei mongoli e la distruzione di Baghdad hanno rappresentato un momento storico cruciale per la civiltà islamica che, nel tredicesimo secolo, era arrivata in Europa passando per la Spagna e la Sicilia.
Il periodo storico di Ibn Rushd (Averroé) e del califfato dei Mu’tazila’ rappresentò un momento di grande prosperità scientifica ed economica e di fioritura di un certo pensiero razionalista illuminato. In Europa si ritiene che l’influenza araba sia all’origine della rinascita della filosofia critica e del Rinascimento. Vi è una comprensione e un’identificazione più ampia di quell’epoca storica da parte del popolo musulmano? Questa comprensione favorisce un approccio più liberale alla democrazia all’interno del mondo musulmano di oggi?
Il movimento riformista islamico moderno, che iniziò a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo in India e in Egitto, ha cercato di rivivere e difendere la teologia razionale classica dei Mu’tazila’ come anche la filosofia di Ibn Sina (Avicenna), al-Farabi e Ibn Rushd (Averroé). Jamal al-Din al-Afghani e Muhammad Abduh sono un esempio del movimento razionale revivalista. Il ventesimo secolo ha assistito allo sviluppo del razionalismo islamico su ampia scala, in Indonesia, in Iran, come anche nel mondo arabo. Oggi, la discussione sul significato del Corano, sulla validità della tradizione, sull’Islam, sullo Stato e sulla democrazia, sui diritti umani e sui diritti delle donne si sta estendendo aldilà dei confini delle istituzioni religiose tradizionali fino ad essere presente in gran parte delle organizzazioni della nuova società civile in tutto il mondo musulmano.
Lei è considerato un riformista liberale. Quali riforme suggerirebbe?
Credo che sia necessario elaborare un pacchetto di riforme: non possiamo più parlare di priorità. Come insegnante e studioso, ritengo che l’istruzione, a tutti i livelli, abbia un bisogno vitale e cruciale di riforme immediate per potersi spostare da un sistema orientato sulla memoria verso uno orientato sulla riflessione. In ambito universitario è essenziale un clima di libertà accademica. Uno dei passi più importanti per ottenere questa libertà consisterà nel creare università indipendenti dal potere politico e dall’autorità religiosa. Se questa libertà accademica verrà assicurata, ci potremo attendere uno sviluppo dell’approccio storico e critico nell’analisi del passato e della sua complessità.
Abusare della religione favorendone la manipolazione da parte del potere politico ha rappresentato una tentazione per molti. Nell’Islam è una tendenza particolarmente diffusa. Come si potrebbe ridurla?
Credo che ciò sia possibile solo qualora venga promossa la libertà politica di ciascuno. La manipolazione dell’Islam è possibile solo quando non esiste libertà di discussione, quando anzi la discussione pubblica è assente e persiste l’oppressione dei diritti individuali. Quando le autorità, per mancanza di legittimità politica, si proclamano sola difesa della fede e reprimono qualsiasi opposizione politica dichiarandola una minaccia per la comunità, l’opposizione, oppressa, non ha altra scelta se non quella di avanzare una rivendicazione simile. Così l’Islam diviene il campo di battaglia per questioni politiche e la sua energia viene completamente consumata come fosse carburante politico. E’ qui che muore la religione e fiorisce la mostruosità del terrorismo.
L’ideale democratico e il tentativo occidentale di sollecitare il mondo islamico a muoversi in direzione di quell’ideale vengono percepiti come espressione di una mentalità coloniale o imperialista?
No. Sono piuttosto le persone al potere che tendono a fornire questo tipo di spiegazione nel tentativo di impedire la possibilità di qualsiasi cambiamento. Questa interpretazione viene poi propagandata grazie a un rigido controllo dei media arabi. Tutti sono interessati ad esercitare la propria libertà in ogni sfera della vita, pur volendo agire in rispondenza ai propri valori e alle proprie norme religiose. Per ostacolare il cammino verso la libertà, chi è al potere sosterrà che la libertà stessa potrebbe provocare una violazione delle norme religiose. D’altro canto, i politici islamisti avanzeranno la possibilità che la democrazia possa portare un governo contrario alla shari’a, eppure, quando sono vittime di persecuzioni, essi non esitano ad appellarsi ai concetti di “libertà” e “diritti umani”. Gli analisti dovrebbero fare del loro meglio per smascherare questa procedura di manipolazione in modo da rendere il pubblico consapevole del gioco.
E’ stato Hans Gadamer il filosofo dell’ermeneutica che l’ha influenzata di più? Quali sono gli altri pensatori che hanno influito su di lei?
Sono stato influenzato dapprima dalla teoria sufista dell’interpretazione che enfatizza le molteplici possibilità di significato sulla base del grado di esperienza spirituale dell’interprete. I sufisti si opponevano con veemenza al monopolio interpretativo esercitato dai giudici, le cui analisi essi consideravano poco profonde e ingenue. I sufisti sottolineavano il fatto che il significato non giace esclusivamente nel testo, in attesa di essere scoperto, esso deve essere piuttosto scoperto e riscoperto attraverso continui sforzi che impegnano l’individuo nel testo. L’impegno, piuttosto che l’analisi filologica, era il principio fondamentale dell’ermeneutica sufista. Con questa conoscenza dell’eredità islamica sono stato capace di comunicare con Gadamer, Paul Ricoeur e altri filosofi.
Nella sua biografia si legge che lei ha appreso – come molti – il Corano a memoria già quando era giovane. Cosa rappresenta il Corano per un musulmano? Sembra che esso abbia più importanza di quanto la Bibbia non rivesta nella tradizione cristiana. La parola coranica è eterna o creata?
Il Corano è il libro di Dio, è la parola divina rivelata a Maometto attraverso la mediazione dell’Arcangelo Gabriele. Esso rappresenta una guida per vivere seguendo le regole divine e ottenere la salvezza eterna. Secondo il dogma ortodosso, il Corano è la parola eterna di Dio, scritta dall’eternità nella tavola divina conservata in paradiso. Sappiamo, tuttavia, che i Muta’zila’ non lo ritenevano tale dal momento che trovavano impossibile credere in qualsiasi esistenza eterna aldilà di quella di Dio, e sostenevano, di conseguenza, che il Corano era stato creato, proprio come ogni altra cosa in questo mondo. L’importanza del Corano per i musulmani non dipende solo dal suo status teologico, ma anche dalle funzioni che esso assolve nella vita quotidiana e non solo nella liturgia e nei riti religiosi. Esso viene recitato quasi in ogni occasione: nascite, morti, molte celebrazioni, all’avviamento di un progetto.
Perché ha dovuto lasciare l’Egitto? L’influenza delle sue idee è ancora temuta?
Sin dall’inizio, gli islamisti che intentarono causa contro di me dichiararono che il loro scopo era di fare tutto il possibile per rimuovermi dall’insegnamento all’università perché temevano che le mie idee influenzassero gli studenti. Paradossalmente, tuttavia, le mie idee si sono infiltrate nell’istituzione religiosa di al-Azhar (Università di Cairo e centro accademico del mondo sunnita). Come dico sempre, le idee non muoiono mai, esse dispongono di ali proprie per poter volare liberamente.
Altri riformisti come Hassan Hanafi, che non sembra essere così distante dal suo pensiero, insegnano ancora oggi in Egitto. Qual è la differenza tra le sue idee e quelle di Hanafi? Dopo il suo allontanamento è cambiato il clima oppure esistono altre ragioni?
Hassan Hanafi è stato uno dei grandi studiosi che hanno esercitato un’influenza profonda su di me. In termini di idee siamo molto vicini ma, secondo lui, io sto rivelando al pubblico, in maniera troppo franca, idee e concetti sottili che dovrebbero, invece, essere indirizzati esclusivamente al mondo accademico. Hanafi preferisce giocare implicitamente con le parole, utilizzando idiomi tradizionali per esprimere significati moderni. Secondo quanto ne so, questa tattica non è a servizio della strategia: essa può condurre a fini non intenzionali. Il mio caso ha messo in allarme l’intera società per i pericoli rappresentati dalla manipolazione della legge.
Gli egiziani, diversamente da molti altri arabi, sono noti per il forte orgoglio nazionale. Quanto interviene in tutto questo l’identità religiosa musulmana? E la storia del desiderio di una rivoluzione panarabica, a cui a certi fondamentalisti piace credere, è reale o è soltanto un’illusione?
Certamente, la maggioranza degli egiziani si qualificherebbe in base alla propria identità nazionale senza sminuire quella religiosa. Alcuni gruppi enfatizzerebbero maggiormente la propria identità religiosa ma pochissimi tra questi sminuirebbero la propria “egizianità”. Ora, con l’invasione dell’Iraq e il problema irrisolto del conflitto israelo-palestinese, il nazionalismo arabo ha iniziato a venire alla ribalta, ma non come un’ideologia quanto piuttosto come un forte senso di solidarietà di fronte alla minaccia americana e israeliana.
Una questione di attualità politica: come giudica la promessa di elezioni libere fatta dal presidente Mubarak?
Sembra che Mubarak sia serio a riguardo. Ha compiuto il primo passo per modificare l’articolo 76 della costituzione in modo da permettere che vi siano più di un candidato e le elezioni invece che un solo candidato e un referendum. Il popolo egiziano e l’opposizione politica non sono completamente soddisfatti. Essi chiedono un cambiamento dell’articolo 77 che permette al presidente di governare per sempre e richiedono che venga disposto, invece, per la carica presidenziale un termine di 2, 4, non più di otto anni. La richiesta del popolo egiziano va persino oltre, domandando una società più libera, senza legge marziale, con libertà di stampa, libertà di associazione partitica, ecc. La mia richiesta aggiunge a quelle del pubblico l’abrogazione dell’articolo che dichiara l’Islam religione di stato e di tutti i suoi emendamenti.
Vi è un impegno degli intellettuali in favore di un’interpretazione più liberale della politica, della società e della legge musulmane, e se sì perché ne sappiamo così poco?
Il movimento riformista ha avuto i suoi alti e bassi, in corrispondenza con l’andamento del complicato rapporto tra il mondo musulmano e l’Occidente, ma si sta sviluppando. Sfortunatamente, esso non viene adeguatamente coperto dai media, per via del loro aumentato interesse per il fondamentalismo. Nonostante ciò il movimento di riforma sta incontrando, ora più che mai, un crescente sostegno da parte del pubblico. E’ sufficiente navigare in Internet per scoprire moltissimi gruppi e organizzazioni musulmane liberali che diffondono i principi del liberalismo, dell’uguaglianza, della democrazia e dei diritti umani.