A quattro anni dalla nascita di MisrDigit@l, il suo blog è ormai conosciuto ben oltre i confini egiziani. Secondo lei, il suo lavoro a favore della liberà di espressione in Egitto potrebbe essere un esempio per altri paesi? I bloggers egiziani possono diventare un modello?
Alcuni pensano di sì. Sono stato invitato più volte a visitare altri paesi per condividere le mie esperienze. Ma credo che nella nostra regione, il Medio Oriente o tutta l’area araba, la situazione sia simile nei paesi retti da una dittatura militare oppure da una monarchia: i media sono controllati e la società civile non esiste, e i partiti politici, nella maggior parte di quei paesi, non esistono. E’ possibile quindi lavorare in internet oppure trovare soluzioni alternative – perché alcuni paesi non hanno infrastrutture solide come in Egitto, per esempio, e quindi necessitano di soluzioni diverse per fare quello che noi stiamo facendo qui, cioè attivare la società civile, l’attivismo politico e la stampa. Non c’è bisogno per forza di internet. Per esempio, in Algeria internet non è così forte, ma si possono utilizzare stazioni radio in Fm, emittenti indipendenti, una cosa che giudico utile. Alcuni paesi possono copiarci, ed è successo in Marocco: anche là ci sono bloggers che filmano agenti di polizia che prendono tangenti. E bloggers in Bahrein che riprendono le violenze della polizia contro gli sciiti. Sì, ci sono molte esperienze simili a quelle egiziane.
Qual è la differenza fra giornalismo e blogging, secondo lei, se ce n’è effettivamente una?
Credo che qui, in questo paese in particolare, il confine sia un po’ ambiguo, perché il giornalismo non sta funzionando adeguatamente. Abbiamo i giornali ufficiali, quelli indipendenti e quelli dell’opposizione. Ma tutti quanti sono sotto il controllo dello Stato. Per aprire un quotidiano è necessario avere il permesso da un comitato che è controllato dal Partito nazionale democratico, che è al governo. E non si può avere il permesso per una emittente televisiva. Si può aprire una stazione radio, ma ogni singolo contenuto che va in onda deve essere approvato dai servizi segreti. Quindi ciò che abbiamo creato è un mezzo di comunicazione che non potesse essere censurato, libero da pubblicità, donatori, ideologie politiche, altre influenze. Il blog è libero. E MisrDigit@l è stato in grado di fare questo, non c’è pubblicità, coloro che scrivono sono attivisti politici egiziani, indipendenti, che non possono essere intimiditi dai servizi di sicurezza dello Stato, e pubblicano quello che vogliono pubblicare.
Perché ha deciso di rischiare in prima persona con l’apertura di un blog? E come è cambiato in questi anni MisrDigit@l?
Nel 2004 ho iniziato a tenere il mio diario in rete perché c’era un sacco di attività politica in Egitto in quel momento, con Kefaya e il Movimento per il cambiamento, i partiti dell’opposizione, i socialisti, i liberali e altre organizzazioni di attivisti. Gli egiziani stavano lottando per il cambiamento, pensavano che il regime fosse lì da troppo tempo, 25 anni, e così scendevano nelle strade e urlavano, cantavano contro Mubarak e la sua famiglia. I mezzi di comunicazione non coprivano quello che stava accadendo, ho pensato che fosse necessario seguirlo meglio per raccontarlo alla gente e così ho iniziato ad andare io stesso a fare fotografie e video e a pubblicarli sul mio blog. E questo ha creato un pubblico che ha iniziato a visitare il mio sito anche dall’estero, per sapere che cosa stesse davvero succedendo nel mio paese. Questo è stato l’inizio, ma dopo ho seguito altre cose, come gli attacchi terroristici, scioperi degli operai, violenze settarie, vari processi. La gente ha iniziato a mandarmi il proprio materiale girato con il telefonino nelle strade, quindi ho cominciato a raccogliere questo materiale su torture della polizia, aggressioni a sfondo sessuale e brogli elettorali, violenze, incidenti.
Che cosa significa per lei libertà di espressione?
Almeno essere liberi di lamentarsi per le ingiustizie subite, poter dire che cosa si pensa realmente, scegliere chi deve governare il paese o la vita della gente, scegliere la religione di appartenenza, il credo, anche poter votare alle elezioni.
In passato ha avuto notevoli problemi, e ancora oggi li ha con le autorità di questo paese. Perché rimane, pensa di avere un ruolo di rilievo per la libertà di espressione e i diritti umani in Egitto?
Sto qui perché posso ancora farlo. Forse quando non potrò più scapperò via, oppure no. Alcuni dicono che noi bloggers siamo la nuova vera opposizione, la nuova società civile, la nuova stampa. Ma io dico di no. Avremo un paese libero. Avremo queste cose libere sul serio: stampa libera, Ong attive e al lavoro, e veri partiti politici, non approvati dal governo, non manipolati dal governo, che non osano attraversare certe linee rosse. Il nostro compito è spingere quelli a fare il loro lavoro, credo che i blogger siano stati capaci di incitare la società civile dopo un lungo sonno. Adesso la società civile si sta dando da fare quando si parla di diritti delle donne, dei bambini, degli operai, degli agricoltori.
Non c’è nessun partito che vi supporti? Oppure in cui lei e i collaboratori di MisrDigit@l vi riconosciate?
No, nessuno. Fin da quando ero un bambino sono rimasto deluso dai partiti politici. Credevo nelle ideologie di alcuni di loro, ma sono stato deluso dal loro modo di gestire l’Egitto. Ho alcune idee liberali, alcune di sinistra, alcune islamiste, alcune egiziano-nazionaliste, e la combinazione di questo sono io, con la mia visione politica, non ho bisogno di obbedire alle regole della sinistra o dei liberali o degli islamisti.
Per quanto riguarda il futuro, vede un’evoluzione positiva per il paese? Pensa che stia davvero nascendo una nuova consapevolezza politica nella società? I bloggers attualmente in prigione non stanno pagando un prezzo troppo alto?
Questo è un prezzo che dobbiamo pagare. Se davvero vogliamo cambiare il nostro paese, è necessario accettare le regole del gioco. E in tutti i giochi a volte si vince, a volte si perde. Non siamo Ganghi o Nelson Mandela o uno di quei grandi, loro rimasero in prigione per decenni. Quanto alla consapevolezza, sì credo che in alcuni casi siamo riusciti a rendere le persone più consapevoli dei loro diritti, soprattutto quelli che subivano torture da parte di agenti di polizia corrotti in prigione. Abbiamo reso la gente cosciente rispetto alle aggressioni sessuali, ai brogli elettorali…Ma il nostro lavoro non è finito perché gli egiziani hanno bisogno di ancora maggiore consapevolezza, specialmente riguardo alla scelta di chi governerà il paese quando ci sarà una vera democrazia. Perché a volte quando la democrazia è improvvisa sono le persone sbagliate a prendere il potere, è quello che secondo me è capitato a Gaza o in Algeria o anche in Europa, in Germania negli anni ’30 con i nazisti. Quindi prima di tutto la gente deve conoscere chi sta per scegliere, in modo che questi non giochino con i sentimenti religiosi o nazionalisti delle persone, oppure non le terrorizzino o le intimidiscano. Perché se avessimo elezioni libere, quelli lì (la Fratellanza musulmana, il movimento islamista radicale, ndr) vincerebbero.