Daniel A. Bell è professore di teoria politica all’Università Tsinghua di Pechino. Il suo ultimo libro è China’s New Confucianism: Politics and Everyday Life in a Changing Society (Princeton University Press, 2008).
Gran parte del mondo è ormai conquistato dall’entusiasmo per Obama e vi sono grandi speranze che il presidente saprà ricreare la fiducia nel sogno americano. In Cina, quel sogno è stato schiacciato quasi venti anni fa in piazza Tienanmen dai carri armati. Obama sarà in grado di farlo rinascere? Ciò che possiamo dire, è che la vittoria di Obama non ha ucciso quel sogno. Poco prima delle elezioni, uno dei miei studenti mi ha detto: “se Obama perdesse questa partita, non saprei cosa dire della democrazia”. Quello studente era entusiasta della vittoria di Obama, ritenendo che il cambio della guardia dimostri “l’importanza della democrazia”. “Spero che anche in Cina, un giorno, avremo un’elezione di questo tipo”, ha aggiunto.
Ma la maggior parte dei miei studenti – che in altre occasioni sanno essere molto politicizzati – sembra sorprendentemente indifferente. Sui siti web, ci sono pochi dibattiti che riguardano la politica americana e la gente sembra più interessata a parlare dei negoziati tra la Cina e i leader di Taiwan. Sì, i risultati elettorali americani sono stati trasmessi dalla televisione di Stato cinese senza alcun evidente pregiudizio – come accadde invece quattro anni fa – ma questo significa semplicemente che il regime ha meno da temere dall’esempio americano. Nel 2004, l’invasione dell’Iraq era ancora fresca nella mente dell’opinione pubblica e gli Stati Uniti erano messi in relazione più con le aspirazioni egemoniche che con gli ideali democratici. Oggi, il tracollo finanziario ha riabilitato la critica marxista al capitalismo e le lotte “sovrastrutturali” per la leadership politica non suscitano grandi passioni.
Un tale atteggiamento è forse influenzato dalla propaganda comunista? Non può trattarsi soltanto di questo, perché venti anni fa la cosa non funzionò così. Inoltre, i notiziari internazionali sono relativamente equilibrati, senza evidenti pregiudizi che esaltano le imprese dei leader nazionali e censurano le brutte notizie. Come mai, allora, gli studenti e gli intellettuali cinesi non si sono fatti prendere dall’ entusiasmo per Obama nella stessa misura dei loro colleghi all’estero? Un fattore chiave è che, a partire dagli attacchi terroristici dell’11 settembre, quando l’Amministrazione Bush rivolse la propria attenzione ad un altro tipo di minacce, i rapporti tra Cina e Stati Uniti sono stati buoni. Perciò c’é meno entusiasmo per un approccio alternativo della politica americana nei confronti della Cina. Ciò che Obama ha detto della politica cinese durante la sua campagna elettorale – più protezionismo, attacchi al governo cinese per aver “manipolato” la propria valuta – potrebbe peggiorare le cose per la Cina. Le opinioni del neo-presidente sulla Corea del Nord e su Taiwan non indicano alcun miglioramento sostanziale rispetto alla politica attuale.
Inoltre, la vicenda di sapore hollywoodiano di Obama, figlio di una minoranza storicamente oppressa che arriva al vertice grazie al proprio talento e alla fortuna, non suscita in Cina una grande partecipazione. Quale potrebbe essere l’equivalente? Un tibetano che assurge ai vertici del Partito Comunista cinese? Una prospettiva che non sembra essere molto stimolante. Contrariamente a quanto si dice, non credo che gli atteggiamenti razzisti abbiano influenza sulle classi colte cinesi. Non c’è dubbio che un leader politico sino-americano avrebbe destato maggiore interesse, ma questo genere di identificazione non riguarda soltanto i cinesi e non si traduce in un atteggiamento razzista verso gli altri. Un altro fattore che attutisce l’ entusiasmo per Obama è che la Cina si sente più sicura facendo a modo suo e non cerca ispirazione all’estero. La Cina sarà colpita duramente dal crollo finanziario – un’associazione commerciale locale del Guandong meridionale ha calcolato che, entro gennaio, 9.000 fabbriche su 45.000 saranno chiuse – ma la lezione da trarre è che il Paese dovrà ridurre la propria dipendenza dalle esportazioni e sviluppare un mercato interno, con il controllo dei capitali e con un mercato rigidamente regolamentato.
Sul piano politico, esiste un’avversione sempre più forte nei confronti della democrazia occidentale. Tale avversione è fondata sul timore che la democrazia porti instabilità politica e inefficienza economica. In Cina, la democrazia è largamente praticata a livello locale, ma pochi insistono per le elezioni a livello nazionale. Molti intellettuali cercano ispirazione nelle tradizioni proprie della Cina, come suggerisce la proposta avanzata da Jiang Qing per una selezione meritocratica dei leader mediante esami liberi e sufficientemente competitivi. Cosa può fare Obama per capovolgere queste percezioni? Gli sono state distribuite delle carte terribili, e forse la cosa migliore che possa fare è gestire il pacifico declino della potenza americana, considerando allo stesso tempo le alternative economiche e politiche. Ma cosa accadrebbe se egli dimostrasse che la democrazia può produrre dei leader autenticamente grandi – dei re saggi, in termini confuciani – dimostrando dunque al resto del mondo che la democrazia funziona meglio? Perché ciò accada, Obama dovrà combattere il populismo e le pressioni dei ristretti gruppi di interesse , dimostrando di saper adottare politiche che avvantaggiano anche il resto del mondo.
In altre parole, Obama dovrà compiere una specie di miracolo: affrontare il riscaldamento globale, rimettere in piedi l’economia americana e incoraggiare l’interesse del commercio internazionale verso i Paesi poveri, realizzare la proposta dell’ ex Segretario di Stato e dell’ex Segretario alla Difesa per un mondo senza armi nucleari, far rientrare dall’Iraq i soldati americani senza lasciarsi alle spalle un caos di violenze e disinnescare le tensioni nel resto del mondo. Allora, forse, il sistema politico americano saprà ispirare ancora una volta la grande maggioranza degli studenti e degli intellettuali cinesi e i membri del partito più illuminati.
Traduzione di Antonella Cesarini