A quale compromesso allude? Quello del cancelliere austriaco Grusenbauer, che ha proposto una soluzione alla sud-tirolese con la concessione di un’ancora più ampia autonomia ai serbi del Kosovo, il modello taiwanese sdoganato recentemente da Belgrado, l’idea di una federazione transitoria sul (vecchio) modello dell’unione di Serbia e Montenegro?
Il punto è che occorre più tempo per giungere a una soluzione ponderata e non frettolosa. L’opzione all’italiana può senz’altro essere interessante. La mia filosofia, per quanto concerne i negoziati, non è mai cambiata: non bisogna imporre alla gente quello che la gente non vuole. Inoltre credo che occorre iniziare a dare prospettive concrete agli abitanti del Kosovo. Vorrei sentire parlare di educazione e lavoro, anziché di trattative. Questa parola è diventata esasperante.
Si sente continuamente parlare di partizione come scenario possibile dopo l’indipendenza del Kosovo, con le regioni a nord del fiume Ibar pronte a unirsi alla Serbia.
La partizione può essere devastante. Bisogna infatti tenere conto del fatto che il 60 per cento dei serbi del Kosovo (100mila in tutto, ndr) vive a sud del fiume Ibar. Che ne sarà di queste persone? Inoltre ritengo che la partizione sia dannosa anche per la storia e la cultura serbe, dal momento che la stragrande maggioranza dei monasteri ortodossi si trova proprio a sud dell’Ibar. Infine, penso che anche l’economia possa avere gravi traumi, visto che le attività produttive più rilevanti si concentrano nella porzione centrale del Kosovo.
Molti serbi che vivono nelle enclavi centro-meridionali del paese sarebbero però pronti a partire, dopo l’indipendenza di Pristina.
Non tutti. Una parte sicuramente partirà, forse prima di giugno, quando a mio avviso le attuali incertezze avranno finalmente una risposta definitiva. Un altro segmento, quello composto dalla gente senza futuro e senza lavoro, che non sa dove andare, rimarrà comunque. Esiste infine un’ultima corrente, composta dai serbi che attendono gli ordini di Belgrado. Se Tadic e Kostunica diranno loro di partire partiranno, altrimenti resteranno. I politici di Belgrado hanno gravissime responsabilità verso i concittadini del Kosovo. Parlo dei democratici di Tadic, del Partito democratico serbo di Vojislav Kostunica e dei radicali di Tomislav Nikolic e Vojislav Seselj, che insieme raccolgono l’80 per cento delle preferenze tra i serbi del Kosovo, che manovrano come marionette, manipolandoli al solo scopo di ottenere voti e fare del nazionalismo l’arma in più in termini di consenso.
Ritiene possibili nuove tensioni e scontri in Kosovo?
Questa possibilità esiste. Penso a quello che può accadere dopo la decisione del consiglio di sicurezza o, in mancanza di questa, in presenza dell’autoproclamazione d’indipendenza del parlamento di Pristina. Resto però convinto del fatto che se la Nato (i 17mila militari dell’alleanza rimarranno ancora in Kosovo, ndr) lavorerà bene, ponendosi l’obiettivo di mantenere l’ordine e la sicurezza, non ci dovrebbero essere problemi. Ma Kfor (Kosovo Force, la missione Nato a Pristina, ndr) deve mostrare un atteggiamento chiaro, trasparente e severo.
La chiesa ortodossa e Belgrado chiedono alla Russia, in nome di radici culturali e religiose comuni, di esercitare il diritto di veto in seno al consiglio di sicurezza, per delegittimare l’indipendenza kosovara. A suo avviso, cosa intende fare Mosca?
Mi creda, anche se Mosca esercitasse il diritto di veto, non lo farebbe per i serbi, quanto piuttosto per se stessa. Il veto è una maniera per difendersi, per avere le mani libere in Cecenia. Penso comunque che Mosca e Washington troveranno un accordo sul Kosovo. Finalizzato però non per la gente del Kosovo, quanto piuttosto per i rispettivi interessi di potenza.