La questione del velo ha avuto un ruolo simbolico nella recente crisi turca tra secolaristi autoritari e islamisti democratici moderni?
Il velo è stata una delle maggiori questioni nel dibattito pubblico fin dalla fine degli anni ’80. Il repubblicanesimo turco definì la sfera pubblica come una sfera laica, ispirata alla “laïcité” francese. La candidatura del ministro per gli affari esteri del partito islamico alle elezioni presidenziali ha davvero provocato una crisi politica. Le tensioni tra autoritarismo e secolarismo, tra democrazia e islam sono venute alla ribalta. Il fatto che sua moglie porti il velo, e l’idea che la moglie del presidente fosse velata, ha provocato una profonda ansietà tra i membri laici dell’opinione pubblica, specialmente tra le donne. Voleva dire simbolicamente “islamizzazione dalla testa”, dalla più alta posizione della repubblica secolare.
I militari hanno espresso la loro preoccupazione e hanno richiamato a vigilare contro le svariate minacce al secolarismo attraverso una dichiarazione che è passata attraverso internet; è stata chiamata ultimatum ellettronico, o “golpe elettronico”! Ma ciò che è nuovo sono le manifestazioni della gente, ceti medi che sono partiti da Ankara, hanno raggiunto un milione di persone ad Istanbul e si sono allargati alle strade dell’Anatolia in nome della difesa del secolarismo e dello stato repubblicano. Queste manifestazioni hanno mostrato l’esistenza di una borghesia laica, sviluppo di un attore secolare, guidato in particolare da associazioni di donne. L’idea stessa che il secolarismo venga imposto dall’alto e sia perciò ristretto ad una minoranza viene messo in discussione proprio da queste manifestazioni. Ciò dimostra che il secolarismo non ha più necessariamente bisogno del potere militare per difendere se stesso, dal momento che i secolaristi non sono più una minoranza. Il secolarismo è diventato una forza indigena, creando una sua versione turca.
Le manifestazioni hanno portato allo scoperto la tensione tra secolarismo autoritario ed islam estremo. Allo stesso tempo, sembra che una forma turca del secolarismo radicato sia stato confermato dalla gente?
Le manifestazioni erano un mezzo per questi ceti medi laici di mostrare pubblicamente la loro forza e la loro convinzione, e superare allo stesso tempo la propria paura dell’islam. Alcuni stavano esprimendo apertamente la loro opposizione sia all’islam che all’interventismo militare. La Turchia sintetizza in una versione più drammatica le tensioni tra il secolarismo, l’islam e la democrazia, ma troviamo questi problemi anche in Europa. Si sta discutendo la questione di come aprire il secolarismo a una concezione più pluralistica, più liberale in particolare rispetto a richieste di tipo religioso.
Le donne in questo processo di apertura hanno insistito sulla libertà di essere laiche e portare il velo allo stesso tempo, giusto?
Infatti. Esse portano il velo, ma allo stesso tempo partecipano alla vita politica e pubblica, addentrandosi nelle esperienze secolari e moderne della vita. Il velo non è solo un simbolo ma anche l’organo di rappresentanza delle donne musulmane; le donne portano la fede personale nella sfera pubblica e rendono visibile la religione sfidando pubblicamente perciò l’immaginario secolare legato alla politica liberale e all’emancipazione femminile. Il velo viene spesso considerato come un’imposizione dei militanti islamici o dei membri maschi della comunità. Ma la parte personale, la decisione delle donne di adottare il velo viene rifiutata, negata. Stanno trasformando le frontiere tra privato e pubblico e abbandonano i ruoli tradizionali religiosi che assegnano alle donne la sfera privata, combattendo dall’altra parte contro la segregazione dalla sfera pubblica a causa dei loro veli. Esse creano guai sia alle femministe secolari che ai membri religiosi maschi della società.
La recente decisione di Nicola Sarkozy di frenare l’ingresso della Turchia nell’UE ha avuto ripercussioni sulla politica turca interna?
Si, ma gli effetti sulla Turchia sono cominciati prima dell’ascesa al potere di Sarkozy. La società francese ha messo in discussione la legittimità dell’ingresso turco nell’UE. In questa discussione la Turchia è diventata una specie di catalizzatore per definire l’identità europea, attraverso l’esclusione della Turchia. La tacita equazione tra cristianità ed Europa è stata espressa man mano più esplicitamente, come nel caso di papa Ratzinger. Sarkozy non ha fatto altro che costruire la sua posizione politica su questo dibattito. Allora uno può dire che l’ingresso turco è diventato un problema all’ordine del giorno sia per l’opinione pubblica europea che per la politica. La politica identitaria esclusiva dell’Europa ha ovviamente avuto effetti molto negativi sul pubblico e la politica turca. E’ stato come togliere il tappeto da sotto i piedi alla società turca; un tappeto che la gente pensava gli appartenesse da secoli. Il nazionalismo è in crescita e non è ristretto alla piccola borghesia o a settori marginalizzzati e poco istruiti della società; persino i membri più filo-europei della società si volgono al nazionalismo. La capacità di risolvere le tensioni tra secolarismo e islam è stata indebolita, come anche il progetto europeo non garantisce più un quadro per le politiche democratiche e il consenso nella politica turca.
Il rifiuto non ha innescato una reazione islamica o estremista islamica, ma una crescente delusione e rabbia fra i nazionalisti secolari?
L’ironia è che il partito politico al potere, il partito AK (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), che proviene dal movimento islamista degli anni ’80, ha dimostrato maggiore moderazione e abilità riformista. Lo sviluppo di questo cosiddetto partito islamista da una posizione più marginale e radicale alla tradizione del centrodestra moderato è la cosa più importante accaduta qui negli ultimi 10 anni. Oggi è molto più riformista e democratico. Io credo che sia sbagliato chiamarlo partito islamico, perché essi non si riferiscono neanche alla religione nelle loro campagne o nella loro politica. Certo elementi di islam sono presenti. In contrasto ai partiti politici maggiori, sia della tradizione repubblicana che democratica conservatrice, che non sono riusciti a rinnovarsi, il partito AK è arrivato a sostenere le riforme e a rappresentare una posizione filo-europea. Il rigetto da parte dell’Europa ha provocato rabbia e reazioni nazionaliste.
Quindi la paura di un intervento militare per fermare la concentrazione del potere nelle mani del partito islamico non è svanita?
La crisi non è passata. La minaccia del secolarismo e l’agenda nascosta dell’islam sono molto radicati tra la gente. L’Europa è diventata una politica ingannevole. E i paesi vicini, specialmente la frontiera con l’Iraq, sono un’altra fonte di instabilità. La questione è dove trovare stabilità attraverso mezzi politici, il che vuol dire che le prossime elezioni saranno decisive. E qui ancora la debolezza dei partiti secolari è un problema.
La Turchia è una specie di laboratorio dove l’islam e il secolarismo si ritrovano in una situazione costante di incontro-scontro, dove vengono definiti nuovi obiettivi e nuovi limiti, e dove, come le manifestazioni dimostrano, è cresciuta un ceto medio secolare, che è religioso e no.
La cosa positiva da evidenziare è che durante gli ultimi vent’anni il muro tra la Turchia secolare e quella religiosa è diventato più poroso, hanno cominciato a parlarsi, a scambiarsi tra intellettuali e a coltivare un nuovo “spazio intermedio”. E’ importante preservare questo spazio e non ricadere verso le polarizzazioni. Le recenti manifestazioni per il secolarismo sono state un risultato della società civile laica, erano democratiche nel loro modo di azione e nelle forme di espressione, ma paradossalmente possono servire da legittimazione o da appello per il secolarismo autoritario. I movimenti “sociali” non sono sempre “civili”.
Quanto è importante oggi l’Europa per la Turchia?
Dovremmo anche porci la domanda al rovescio. Per il momento il rifiuto europeo gioca un ruolo negativo in Turchia. Ci sono segni di cambiamento nella politica europea rispetto a questo? La politica francese di Sarkozy dichiara apertamente che la Turchia non ha la “vocazione” per fare parte dell’Unione Europea. La Turchia è oggi diventata il segno dell’identità europea. Ma che cosa riguarda questa identità? Significa l’Europa non con un paese a maggioranza musulmana, anche se è in armonia con i principi secolari e democratici? Distanziare la Turchia, fare della Turchia “l’altro” rispetto all’Europa, vorrebbe dire non solo tirare le frontiere dell’Europa, ma erigere un nuovo muro in Europa. E questa sarebbe un’altra Europa. Non certo l’Europa che ci ha fatto sognare un nuovo spazio di vita dove le identità date, nazionali, religiose, etniche, potranno essere superate.
Nilüfer Göle insegna sociologia all’“Ecole des Hautes Études en Sciences Sociales” (EHESS), Centre d’Analyse et d’Intervention Sociologiques (CADIS). Tra le sue opere : Musulmanes et Modernes. Voile et Civilisation en Turquie, Parigi 1993 e 2003; Les frontieres en question / Jean Louise Cohen, Kemal Dervis, Nilufer Göle, Parigi 2004, Nilüfer Göle, Nuovi musulmani e sphera publica europea in Europa laica e puzzle religioso, libri di Reset/Marsilio 200? , ed K. Michalsky e Nina zu Fürstenberg, Postfazione di Romano Prodi.
Traduzione di Matteo Landricina