Mohamed Abed al-Jabri, filosofo marocchino di fama internazionale recentemente scomparso (1935-2010), è autore di numerosissimi scritti di notevole interesse filosofico e storico-filosofico di cui purtroppo solo una piccola parte è sta pubblicata in lingua italiana. L’obiettivo principale del pensatore, che per molti anni ha insegnato presso l’università «Mohammed V» di Rabat, è quello, tra l’altro perseguito dalla maggior parte degli autori di cui stiamo parlando, di armonizzare tradizione e modernità nel pensiero e nel mondo musulmano contemporaneo. Secondo al-Jabri, la situazione conflittuale che impedirebbe ai musulmani e soprattutto agli arabi di conciliare armoniosamente la contemporaneità con l’eredità della tradizione islamica, il cosiddetto turath, si sarebbe venuta a creare già a partire dal medio evo.
Nella sua dimensione politica, tale difficoltà è la conseguenza di secoli e secoli di dominio da parte di un potere i cui rappresentanti (califfi e poi sultani, «re della città umana»), fin dalla dinastia degli Omayyadi, si sarebbero volontariamente sostituiti a Dio sulla Terra, al «re della città cosmica», sacralizzando così la propria autorità, tirannica e oppressiva. Tale situazione – successivamente aggravata dal colonialismo occidentale e dalle dittature del XX secolo – avrebbe determinato l’immobilità e la stasi politica delle società arabo-islamiche: l’unica soluzione, sostiene al-Jabri, è la democrazia, di cui l’autore – è importante ricordarlo – individua i principi fondamentali nello stesso Corano e negli hadith, ovvero nelle disposizioni e nelle azioni del Profeta. Più in particolare, la via «endogena» alla democrazia nel mondo musulmano, preferibile all’importazione o all’imposizione di una democrazia di stampo nettamente occidentale, può essere trovata proprio a partire dal principio coranico della shurà, «consultazione», che offrirebbe ai musulmani il modo di appropriarsi di un presente democratico facendo riferimento al patrimonio culturale e religioso tradizionale. E proprio agli intellettuali arabi spetterebbe, secondo il pensatore marocchino, un ruolo attivo nell’armonizzazione tra mondo moderno e tradizione islamica. Ad essi egli si rivolge in molti scritti – soprattutto in un libro del 1995 nel quale studia due casi di persecuzione intellettuale avvenuti nel IX e XII secolo, quelli del caposcuola Ibn Hanbal e di Averroè – invitandoli ad assumere una funzione progressista e esortandoli a non seguire gli esempi di connivenza con il potere di cui il mondo intellettuale arabo-musulmano si sarebbe spesso macchiato nei secoli passati.
Dal punto di vista scientifico e filosofico, al-Jabri ritiene che la difficoltà attuale del pensiero arabo-islamico a intrattenere un rapporto armonioso ed equilibrato con le esigenze del mondo contemporaneo dipenda dalla perdita progressiva di quella dimensione razionale e scientifica del pensiero islamico che aveva invece ispirato pensatori come Averroè, Ibn Hazm e Avempace e di cui la stessa religione islamica sarebbe intimamente pervasa. La filosofia «razionalista» e metodologicamente scientifica dei tre pensatori andalusi – fautori dell’autonomia della scienza rispetto alla religione, e convinti assertori dell’impossibilità di applicare i mezzi conoscitivi umani alla trascendenza – non riuscì a prendere il sopravvento sull’inclinazione allo gnosticismo e all’irrazionalismo spiritualista della filosofia islamica sviluppata in Oriente, il cui predominio nei secoli avrebbe prodotto quell’«oscurantismo irrazionale» che il potere e la mala politica hanno potuto sfruttare a proprio vantaggio, travisando i messaggi originari della religione islamica e impedendone un’esegesi metodologicamente rigorosa. Non è un caso che al-Jabri veda proprio in Averroè una speranza per il futuro dei paesi arabi, la cui rinascita potrebbe cominciare proprio dalla fondazione di un «nuovo averroismo».
Infine, proprio ad al-Jabri si deve l’ampio progetto di una Critica della ragione araba, il cui primo volume è apparso nello stesso anno in cui Mohamed Arkoun, l’altro celebre riformista musulmano di origine algerina da poco scomparso, diede alle stampe un saggio intitolato Critica della ragione islamica. Suddivisa in quattro volumi (La formazione della ragione araba, 1984, La struttura della ragione araba, 1986, La ragione politica araba, 1990, La ragione etica araba, 2001) quest’opera di al-Jabri rappresenta uno dei tentativi più completi di indagine epistemologica sull’evoluzione storico-teoretica del pensiero arabo – e islamico – nelle sue diverse articolazioni (metodologica, teologica, politica, etica, eccetera). È stata tradotta in italiano, sotto il titolo La ragione araba (Feltrinelli, 1996) una raccolta di testi di al-Jabri, pubblicati prima in francese come Introduction à la critique de la raison arabe (La Découverte, 1995).
Ecco un approfondimento su Mohammed al-Jabri e Nasr Abu Zayd nel saggio di Fred Dallmayr (University of Notre Dame, USA) “Aprire le porte dell’ijtihad”.