La testa a Parigi, il corpo ad Algeri
Amara Lakhous 29 May 2007

La settimana scorsa ho chiamato mio nipote Karim ventenne che vive ad Algeri. “Allora – ho detto – come vedi le prossime elezioni?”. “Sarà un po’ difficile per Royal – ha risposto – Sarkozy è un osso duro e Bayrou è molto furbo perché pensa già alle prossime elezioni legislative. Comunque spero che vinca Segolène Royal”. Sono rimasto stupito di sentire i nomi dei candidati delle elezioni presidenziali francesi. “Karim – ho reagito – ti ho chiesto di parlarmi delle elezioni legislative algerine del 17 maggio e non delle elezioni in Francia!”. A quel punto si è messo a ridere: “Da noi caro zio – ha puntualizzato – les jeux sont faits (i giochi sono fatti) invece in Francia la partita è ancora aperta fino all’ultimo voto”. La chiacchierata con mio nipote è molto indicativa perché riflette lo stato d’animo del popolo algerino alla vigilia di questi elezioni. Ci sono due importanti domande da fare: Perché gli algerini si interessano delle elezioni presidenziali francesi e hanno tifato per la Royal? Poi da cosa nasce la rassegnazione popolare di fronte a questo appuntamento elettorale algerino?

Primo. La Francia non si è mai liberata completamente dall’Algeria per via degli immigrati algerini e dei loro figli che risiedono da anni nelle città francesi. Oggi la maggioranza del popolo algerino vorrebbe emigrare, e la Francia è la prima meta preferita. Si dice che la Royal, se fosse stata eletta presidente, avrebbe seguito l’esempio di François Mitterrand, che promulgò nel 1981 la sanatoria a favore degli immigrati clandestini e facilitò le procedure dell’ingresso in Francia. Ogni algerino, è bene ricordarlo, è sempre un potenziale immigrato. Secondo. Nei paesi arabi le elezioni sono decise a priori. Ma quando, per miracolo, le elezioni sono un po’ libere, allora la gente va votare per fare dispetto al governo in carica da tantissimi anni, per punire i dirigenti per la corruzione, i fallimenti. Pertanto si tratta di un voto sostanzialmente di protesta come abbiamo constatato dopo le vittorie di Hamas in Palestina e dei Fratelli Musulmani in Egitto. Gli algerini però si ricordano molto bene delle elezioni legislative del dicembre 1991, vinte dai fondamentalisti del Fis (Fronte Islamico di Salvezza).

In quella occasione, la maggioranza dell’opinione pubblica non era a favore delle tesi integraliste e populiste del Fis, ma era decisamente contraria alla permanenza del partito nazionalista dell’Fln (Fronte di Liberazione Nazionale) al potere. Quindi quelle elezioni, che hanno sancito l’inizio degli anni di piombo causando la morte di 200mila persone in 7 anni, erano una contestazione popolare contro l’operato del Fln dall’indipendenza del 1962. Il voto di protesta è controproducente e ha un costo altissimo perché apre le porte del potere ai fondamentalisti, noti per la loro demagogia. Anzi è giusto parlare di un “voto kamikaze” perché è autodistruttivo e rafforza i regimi totalitari, di conseguenza va contro gli interessi della maggioranza della popolazione. Sembra che gli algerini abbiano compreso la lezione del 1991. Non ci saranno quindi sorprese, perché i fondamentalisti non avranno la maggioranza nel parlamento. Tuttavia un’alta astensione in queste elezioni è molto probabile e bisogna interpretarla come una protesta contro il partito egemonico del Fln. Infine bisogna ricordare che il voto non è l’unico termometro per misurare il buono stato di salute della democrazia di un paese. Ci sono criteri più efficaci come la separazione dei poteri istituzionali, l’indipendenza della magistratura, la libertà di stampa, ecc.

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