Quest’anno, i ribelli tuareg del MNLA si sono resi protagonisti di una serie di atti che hanno contribuito notevolmente a destabilizzare il territorio del Mali. Il movimento, formatosi nell’ottobre 2011, conta tra le sue file molti ex-mercenari dell’esercito di Gheddafi che, dopo la caduta del rais, sono ritornati nelle loro terre portando con sé armi appartenenti all’arsenale libico. Forti di una simile armamentario, gli “uomini blu” hanno deciso di sferrare una serie di attacchi all’esercito governativo, conquistando alcuni punti strategici nella zona settentrionale del paese. Il MNLA ha come obiettivo principale l’indipendenza dell’Azawad, il territorio a nord del paese comprendente le tre regioni di Gao, Kidal e Timbuctù. L’autonomia territoriale rivendicata dai tuareg è una battaglia che viene portata avanti da più di un secolo ed è legata alla sommaria divisione territoriale compiuta in epoca coloniale.
Approfittando del momento di instabilità politica provocato dal colpo di stato avvenuto per mano di un gruppo di militari, il 6 aprile i separatisti tuareg hanno dichiarato “L’indipendenza dello stato dell’Azawad”. Questo atto, condannato dall’intera comunità internazionale, ha accentuato la crisi politica del paese, spianando la strada ad alcuni gruppi islamici che si sono affiancati ai secessionisti tuareg. I gruppi di Ansar Dine e del Mujao (Movimento per l’unicità e la jihad nell’Africa dell’ovest), legati a doppio filo ad Al Qaeda, si sono installati nelle città di Gao, Kidal e Timbuctu insieme ai soldati del MNLA. Dopo un primo momento di pacifica convivenza, le due fazioni sono entrate in conflitto a causa di forti divergenze legate all’applicazione della sharia, la legge islamica. L’obiettivo principale dei ribelli musulmani sarebbe proprio l’imposizione del sistema legislativo islamico nel territorio settentrionale del Mali. Una pretesa assurda per i tuareg che, nonostante professino la stessa fede religiosa, rimangono un movimento laico. Dopo una serie di violenti scontri tra le due fazioni, il 29 giugno, nella città di Gao, i militanti del Mujao sono riusciti a sconfiggere definitivamente i soldati del MNLA cacciandoli dai territori occupati.
Dopo questa disfatta, il movimento tuareg sembrava essere scomparso definitivamente dalle scene. Le notizie che circolavano sui separatisti erano imprecise e spesso contraddittorie. L’attenzione dei media internazionali si era focalizzata sui ribelli islamici che, rimasti padroni incontrastati del territorio, si rendevano protagonisti di orribili atti di violenza in nome della legge islamica.
In questi ultimi giorni però, il MNLA è tornato a far parlare di sé, dimostrando di essere ancora attivo e presente nei territori limitrofi del Mali. Il 25, 26 e 27 luglio ad Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, i vertici del movimento si sono incontrati per decidere la nuova strategia da adottare in vista di una prossima rivendicazione politica. Una riunione che sarebbe rientrata in un normale processo di riorganizzazione, se il Dipartimento degli affari esteri svizzero (DFAE) non avesse partecipato all’organizzazione e al finanziamento dell’evento. La notizia è stata pubblicata in esclusiva sul quotidiano elvetico Le Temps, sollevando molte polemiche. Il DFAE si è limitato a confermare la notizia, senza però entrare nei particolari. Il suo portavoce Carole Wälti ha dichiarato che la partecipazione della Svizzera all’evento “si iscrive nell’ambito del processo di mediazione del Burkina Faso, su richiesta delle parti in causa nel conflitto”. Il MNLA, dal canto suo, ha dichiarato attraverso il portavoce Moussa Ag Assarid che “la Svizzera si è limitata a finanziare solamente la riunione”.
Anche se il governo svizzero ha dimostrato in questi ultimi anni un impegno concreto nel processo di pace nell’Africa dell’ovest, quest’ultimo avvenimento mette in luce un comportamento ambiguo e inaspettato. Per alcuni, la Svizzera sembrerebbe impegnata in un presunto “doppio gioco”, che da un lato la vedrebbe ufficialmente occupata da molti anni in un’attività di mediazione pacifista, mentre dall’altro stringerebbe in segreto alleanze con il gruppo separatista tuareg attraverso finanziamenti occulti. Secondo alcune fonti, la Svizzera collaborerebbe già da molto tempo con i tuareg. Acheick Ah Mohamed, un giornalista vicino agli ambienti dei separatisti, ha dichiarato in merito che “il MNLA collabora regolarmente con la Svizzera” e che “si tratta di uno sei pochi sostegni su cui può far affidamento il movimento”. Sostenere il processo di pace aiutando economicamente un gruppo di secessionisti rivoltosi è un’evidente contraddizione che aspetta solo di essere chiarita. Le motivazioni che hanno spinto la Svizzera ad instaurare questo tipo di legame con i tuareg non sono ancora chiare, anche perché il DFAE non ha dato spiegazioni esaustive in merito.
Un sostegno economico al MNLA comporterebbe un riarmo delle truppe tuareg e un nuovo conflitto nel territorio dell’Azawad. Una simile ipotesi andrebbe a guastare le trattative di pace che il governo di Bamako sta intavolando con i terroristi islamici proprio in questi giorni.
A tal proposito, tra il 17 e il 24 agosto alcuni rappresentanti della Coalizione per il Mali si sono recati nel nord del paese per prendere i primi contatti con gli occupanti islamici. I vertici del MNLA hanno immediatamente espresso la loro disapprovazione nei confronti di questo gesto, dichiarando attraverso il loro portavoce Ag Assarid Ag Satan che “il movimento non riconosce la coalizione e non aderisce al processo di negoziazione intrapreso con i terroristi”. Queste dichiarazioni, nonostante non abbiano nessun effetto concreto sul piano politico, rendono chiare le intenzioni dei tuareg. I soldati separatisti non hanno dimenticato la sconfitta subita un paio di mesi fa a Gao e sembrano volersi vendicare ritornando sul territorio a combattere la loro utopica crociata.
Difficilmente il governo maliano riuscirà ad uscire da questa impasse con le proprie forze. Un sostegno esterno da parte delle Nazioni Unite sembra a questo punto inevitabile, soprattutto in caso di un eventuale intervento armato nel nord. A tal proposito, la comunità internazionale sembra essere divisa tra chi preferirebbe la via del dialogo e chi invece sosterrebbe un conflitto per liberare i territori occupati. La Francia ha più volte dichiarato il suo appoggio logistico e finanziario a un’eventuale guerra di liberazione. Il presidente Hollande ha recentemente dichiarato che “la Francia e tutti i paesi che vogliono mettere fine a questa crisi devono sostenere un intervento militare”. L’Algeria invece, rappresenta l’altro piatto della bilancia, in quanto si è sempre dimostrata più prudente riguardo l’opzione militare. La sua opinione è di vitale importanza vista la sua posizione strategica: una guerra metterebbe a rischio la sicurezza dell’Algeria provocando uno sconfinamento di profughi e di terroristi islamici che cercherebbero rifugio a nord. La CEDEAO (Comunità Economica degli stati dell’Africa dell’Ovest) invece, aspetta solo il semaforo verde del Consiglio delle Nazioni unite per l’invio di un contingente di 3300 uomini.
Un ritorno del MNLA getterebbe benzina su un fuoco che sta bruciando da mesi e sembra ravvivarsi ogni giorno di più. Se il governo nazionale, con l’aiuto della CEDEAO e delle Nazioni Unite, non interverrà al più presto, il Mali si trasformerà in un immenso campo di battaglia, con conseguenze a dir poco disastrose per la popolazione.
Immagine: Ribelli nel Mali, da Maghrebia