Si è svolta a Roma a palazzo Pitigliani il 21 marzo 2010 una giornata di riflessione dal titolo “Pluralismo nella società italiana e pluralità nell’Ebraismo”, promossa dal Gruppo Martin Buber-Ebrei per la pace, associazione che promuove manifestazioni, iniziative culturali ed educative al fine di combattere l’antisemitismo ed il razzismo. Durante la mattinata si è analizzata la situazione italiana su temi come l’immigrazione e l’apertura all’Altro. Molto acceso l’intervento del giornalista e politico Furio Colombo, il quale ha voluto definire il nostro momento storico come “l’Italia ai tempi della Lega Nord”: “C’è un’Italia frantumata in piccole parti e, allo stesso tempo, forzatamente riunita contro un nemico. Ogni giorno la Lega mina la democrazia e la pluralità italiana. Viviamo nell’intolleranza e nella violenza, i centri di identificazione ed espulsione sono veri e propri campi di concentramento; a Roma, gli sgomberi dei campi rom sono persecuzioni, il bullismo nelle scuole non è altro che razzismo”.
Per Clotilde Pontecorvo – docente di Psicologia dell’Educazione all’Università di Roma – un notevole problema della società italiana è, invece, l’assenza di un’alternativa all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche: “Dall’84 è in vigore la possibilità di avvalersi o no dell’ora di religione e non c’è dubbio che sia stato un progresso. Ma allo studente, nella maggior parte dei casi, non rimane che uscire dall’aula, poiché non gli è offerto un insegnamento alternativo. Tra l’altro chi frequenta l’ora di religione può ottenere crediti formativi ulteriori. Chi non si avvale, come può guadagnarli?”. Sergio Lariccia, docente di Diritto Amministrativo dell’Università di Roma, invita a togliere da tutte le carte dei diritti i riferimenti alle religioni, vedendo in ciò l’unico modo per giungere davvero ad una società pluralista.
Nel pomeriggio il dibattito si concentra invece sull’attuale condizione della comunità ebraica italiana. Tutti i relatori sono concordi sul fatto che gli ebrei italiani debbano uscire da una situazione di chiusura e di conflitto interno ed aprirsi alla società circostante. Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità Ebraica di Roma, invita a superare schemi come “ebreo di destra” se ortodosso ed “ebreo di sinistra” se liberal e riformato. “L’ebraismo sta vivendo un periodo d’oro – afferma Renzo Gattegna, presidente dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane – sono ben sessantacinque anni che non ci sono guerre ed oppressioni. Abbiamo mezzi e possibilità di sviluppo, dobbiamo puntare su noi stessi. D’altronde la nostra stessa religione non ha dogmi e promuove la libertà di pensiero. La lotta all’antisemitismo deve partire da noi”. Ugo Volli, presidente dell’associazione “Lev Chadash” invita quindi la stessa comunità ebraica a recuperare coloro i quali, magari a causa di matrimoni misti o stili di vita lontani dall’ebraismo ortodosso, si sono allontanati dalla stessa fede: “Accogliere i figli nati dai matrimoni misti, riconoscere all’Altro il valore delle sue scelte – sollecita – perché l’apertura al pluralismo non è una minaccia per la nostra religione”.
Molto preciso l’intervento di Bruno Segre, direttore del periodico di vita e cultura ebraica Keshet, il quale rileva come la comunità ebraica italiana si sia negli ultimi decenni sostanzialmente modificata nei suoi aspetti socio-culturali e persino linguistici in seguito al massiccio afflusso di ebrei provenienti dai paesi arabi. “Da qualche tempo – osserva – si assiste all’involuzione di un ebraismo capace di interagire attivamente con la società e di dare ad essa un ricco contributo culturale e civile ad un ebraismo ripiegato su se stesso, tentato di auto-ghettizzarsi, sempre più orientato verso una religiosità rigida, venata di fondamentalismo e sostanzialmente incapace di portare una propria voce nel dibattito sui grandi temi del nostro tempo. Gli ebrei delle future generazioni che, in ossequio alle nostre tradizioni migliori continueranno a tenere aperto il confronto intorno al problema dell’identità ebraica – continua Segre – mi auguro che rifuggano da artificiose strategie di omogeneizzazione culturale e riscoprano che l’universo delle culture e la realtà stessa del mondo sono plurali e che le differenze, quando non vengono proposte in termini radicali, vanno rispettate perché non sono una minaccia, bensì una ricchezza”.