Le lezioni di Istanbul
Daniele Castellani Perelli 25 June 2008

Istanbul

Nilüfer Göle sospira, e scuote mestamente i suoi lungi capelli rossi. E’ il 6 giugno, e la Corte costituzionale turca ha appena bocciato la legge che permetteva di indossare il velo nelle Università. “Si ha l’impressione che la sentenza equivalga a una confisca della democrazia e del dibattito pubblico in nome del legalismo. – commenta a caldo a Resetdoc.org la sociologa turca, professoressa dell’Ecole des Hautes Etudes di Parigi – Sebbene vi possa essere una qualche giustificazione sul piano giuridico, a mio parere essa non gode di alcuna legittimità politica né democratica”. La notizia arriva nell’ultimo giorno della conferenza internazionale organizzata da Reset Dialogues on Civilizations proprio a Istanbul, città scelta non solo perché – come si dice – è geograficamente “ponte tra Oriente e Occidente”, ma anche per la straordinaria rilevanza politica che la Turchia assume oggi nel mondo: affaticata candidata all’ingresso nell’Unione Europea, è la prova vivente della conciliabilità di Islam e democrazia.

E di questa Turchia laica, europea e aperta all’Islam moderato, Nilüfer Göle è una delle testimoni più limpide in campo intellettuale. Nata in Turchia nel 1953, insegna in Europa ed è l’autrice di The Forbidden Modern: Civilization and Veiling. Nelle sue opere, molto apprezzate anche negli Stati Uniti, Nilüfer Göle è riuscita a spiegare che il velo, lungi dall’essere un segno di arretratezza, sta cambiando di significato, da simbolo di stigma, arretratezza e disuguaglianza di genere, a segno di affermazione positiva di identità e di attivismo politico. Non bisogna avere paura del revival islamico, del ritorno della religione sulla scena pubblica – è il suo messaggio. La stessa analisi che, anche alla conferenza turca di Resetdoc, tenutasi dal 2 al 6 giugno 2008 presso la laica Università Bilgi, è stata ribadita dal grande filosofo tedesco Jürgen Habermas, che a questo fenomeno (globale e non solo islamico) ha dato il nome di “postsecolarismo”.

Il modo migliore per fomentare il fondamentalismo religioso, al contrario, è provocarlo attraverso decisioni di laicismo fondamentalista. Proprio come quella della Corte costituzionale turca, che infatti viene guardata con scetticismo da quegli intellettuali progressisti laici che sono attenti al dialogo con il mondo religioso. Tra questi c’è appunto Göle, che ricorda come decisioni complesse, come quella sul diritto di indossare il velo, appartengano al parlamento e alla società civile, e, in democrazia, non possano essere determinate dai giudici, che non sono eletti dal popolo: “La gente temeva che autorizzando il velo nelle università avremmo assistito ad una escalation religiosa, e invece, con questa decisione, assistiamo ad una escalation della limitazione della democrazia, che mi preoccupa molto. Così non si fa altro che ingigantire il tema del velo, mentre bisognerebbe dibatterne serenamente e lasciare la decisione alle donne e alle Università”.

Stessa preoccupazione mostrano anche Seyla Benhabib e Andrew Arato, che hanno preso parte entrambi alla conferenza. “È una decisione che considero assai problematica, poiché esaspera i toni di conflittualità e torna a polarizzare la società civile – è il commento di Benhabib, Eugene Meyer Professor of Political Science and Philosophy at Yale University – La sentenza solleva una lunga serie di interrogativi: può una legge approvata in tutta regolarità dalla maggioranza di governo, la quale non si rifà all’ideologia settaria né pone alcuna seria minaccia all’ordinamento laico e al suo presupposto di eguaglianza, essere ribaltata in tal modo? Siamo appena agli inizi, forse, di una grave crisi politica riguardo allo statuto dell’Akp: da un lato si prospetta la chiusura del partito, dall’altro un ciclo di riforma della Costituzione. Per questo occorrerà seguire con molta attenzione gli sviluppi futuri. Resta il fatto che si tratta di una decisione assai poco felice”.

La vera posta in gioco

La posta in gioco, infatti, è ben più alta del velo delle università. Tra poche settimane la stessa Corte costituzionale sarà chiamata a esprimersi sul ricorso presentato contro il primo partito turco, l’Akp (Justice and Development Party), formazione islamica moderata cui appartengono il primo ministro Recep Tayyip Erdogan e il presidente della Repubblica Abdullah Gül. L’Akp, che molti considerano la versione islamica dei partiti cristiano-democratici europei, è accusato di violare la laicità della costituzione turca, e per questo rischia di essere messo la bando. Un’eventualità drammatica, vista la schiacciante vittoria alle ultime elezioni e considerando che la condanna toglierebbe dalla politica, per cinque anni, 71 dei suoi principali leader, Erdogan e Gül inclusi.

Il clima è tesissimo, ma c’è anche chi non perde la speranza. Come Andrew Arato, direttore della rivista Constellations, che così commenta: “È una pessima sentenza sotto il profilo tecnico, ma intravedo la possibilità di un esito positivo, qualora la Corte si convincesse di non dover imporre la chiusura del partito di governo, poiché ha già provveduto alla tutela della laicità della nazione. Se si seguisse tale ragionamento, il risultato potrebbe addirittura essere positivo”. L’Occidente guarda con apprensione alla prossima decisione della Corte. “La reazione nell’Ue è di incredulità,” ha commentato Olli Rehn, commissario europeo all’allargamento, “visto che i processi ai partiti politici sono una rarità nelle democrazie dell’Ue”. Per Human Rights Watch, quello della Corte è “un colpo alla libertà di religione e ad altri diritti fondamentali”.

L’alleanza dei fondamentalismi

I fautori del dialogo tra le civiltà sperano che i giudici non vogliano infiammare ancora di più il “clash” tra laici e religiosi, e che non decidano di far precipitare nel buio la democrazia turca, che in un sol colpo priverebbero di un presidente della Repubblica assai stimato all’estero e di un primo ministro democraticamente eletto. Qualcuno, invece, potrebbe tirare un sospiro di sollievo. Sono i fondamentalisti di entrambi gli schieramenti: gli ultrà islamici e gli ultrà laici, entrambi convinti che Islam e democrazia non siano fatti l’uno per l’altra. Sono quegli europei miopi che vedono l’Ue come un club cristiano, e userebbero il caos di Ankara come ennesimo pretesto per ritardare all’infinito l’ingresso della musulmana Turchia in Europa. Sono quei regimi mediorientali che si sono stufati di venire additati come “i paesi musulmani che, al contrario della Turchia, non si sono ancora aperti alla democrazia, al benessere e all’Occidente”. Dispiace che questo caos possa disorientare le opinioni pubbliche arabe, che alla Turchia dovrebbero invece guardare come al principale modello politico.

Certo, il clima di revival islamico che si respira oggi in Turchia può farci anche storcere il naso. Una deputata della Spd tedesca, Delik Kolat, si è vista negare del vino da un albergo di Istanbul, perché, a differenza dei suoi colleghi, “non era una turista”, in quanto infatti nata in Turchia: “L’ Akp – si è giustificato il manager dell’hotel – non ci concede le licenze per gli alcolici, noi facciamo un’eccezione per gli stranieri, ma, se vengono a sapere che abbiamo venduto a un turco, ci chiudono subito”. E c’è dell’altro. Un tribunale ha ordinato la chiusura dell’unica associazione per i diritti degli omosessuali esistente nel paese. La Diyanet, la direzione degli Affari religiosi, ha definito il corteggiamento un peccato alla stregua di adulterio e prostituzione, e ha invitato la donna a “coprirsi molto bene prima di uscire di casa”. Basta inoltre farsi qualche chiacchierata per le strade di Istanbul per capire che Erdogan attira presso i laici la stessa quantità di odio che in America o in Italia attirano George W. Bush o Silvio Berlusconi presso i progressisti. Ma tutto ciò fa parte del gioco democratico, e non basta, come pretesto, per non far entrare la Turchia nell’Ue. I fondamentalisti del secolarismo, del cristianesimo e dell’Islam hanno formato una arcigna e inedita alleanza per impedire che la Turchia spiani la strada della modernità al mondo musulmano. L’Unione Europea potrebbe cadere nella loro trappola.

SUPPORT OUR WORK

 

Please consider giving a tax-free donation to Reset this year

Any amount will help show your support for our activities

In Europe and elsewhere
(Reset DOC)


In the US
(Reset Dialogues)


x