A scuola di democrazia da Confucio
Daniele Castellani Perelli 27 July 2007

Cari fratelli occidentali – sembra dire il professore di filosofia politica e etica della Università Tsinghua di Pechino – non crediate di essere gli unici portatori della Verità moderna, e non crediate che l’unica chance che ha la Cina per donare libertà, benessere e pace ai suoi cittadini sia quella di copiare il vostro modello. Negli anni in cui è tornata di moda l’idea dell’esportazione della democrazia da parte dell’Occidente (proprio mentre la sua messa in pratica irachena incontrava un evidente fallimento), Daniel A. Bell ha il merito di ricordare ai suoi lettori di Washington e dintorni che al mondo non esiste un modello unico di sviluppo: fondandosi sugli Asian Values, Bell fa con la Cina e Singapore quello che pochi anni prima il premio Nobel per l’economia Amartya Sen ha fatto con l’India.

“Pochi teorici liberaldemocratici occidentali, se non nessuno…hanno cercato di imparare dalle tradizioni e dalle esperienze delle società dell’Asia orientale – scrive Bell – Essi presentano le proprie teorie come se fossero universalmente valide, e considerano arcaici e politicamente pericolosi i difensori degli ‘Asian Values’. Questa cieca fede nel potenziale universale della democrazia liberale non sarebbe preoccupante se non prendesse le forme della politica governativa americana della promozione dei diritti umani e della democrazia all’estero, senza tenere conto delle abitudini, dei bisogni e delle tradizioni locali. Le società dell’Asia orientale hanno avuto di gran lunga successo, relativamente alla loro realtà, nell’adattarsi ai requisiti della modernità”.

Chiusi in una forma di istintivo senso di superiorità (ingiustificato, e tendente alla vecchia idea colonialista) i teorici occidentali appaiono a Bell come incapaci persino di informarsi sulle tradizioni politiche asiatiche (in questo mostrandosi l’esatto contrario dei colleghi asiatici, aperti ai contributi occidentali). Un peccato di superbia, e una perdita per i sistemi occidentali, che potrebbero invece imparare dalle culture asiatiche: “Nella regione dell’Asia orientale esistono alternative moralmente legittime alla democrazia liberale di stile occidentale – spiega l’autore – Se si vuole che i diritti umani, la democrazia e il capitalismo si radichino e producano frutti benefici nell’Asia orientale, li si deve adattare alle realtà economiche e politiche contemporanee dell’Asia orientale e a valori di tradizioni politiche non liberali dell’Asia orientale come il confucianesimo e il legalismo. Il sapere locale è perciò essenziale per contributi realisticamente e moralmente informati ai dibattiti sulla riforma politica della regione, così come per la mutua conoscenza e il mutuo arricchimento delle teorie politiche”. Così è importante notare come il Confucianesimo “facilita e aiuta a conservare certi tratti caratteristici del capitalismo dell’Asia orientale”, moderando l’individualismo capitalista attraverso la coscienza sociale comunitaria e il ruolo paternalista dello Stato, un po’ come nell’Europa continentale ha contribuito a fare la religione cristiana.

Se qualcosa insegna l’avventura irachena, è che non si possono ignorare le condizioni locali né si dovrebbe avere fretta quando si intende trapiantare un sistema nato dall’altra parte del globo. Il punto chiave è che, se si vuole dialogare con (e capire) la classe dirigente cinese, bisogna mettersi nelle loro teste, e sapere come ragionano. Ebbene, anche se sono (post)comunisti molto spesso ragionano basandosi sulla propria cultura confuciana, che per esempio considera giusta una guerra solo se il popolo della nazione oppressa è costretta a vivere nella povertà. E’ la povertà materiale, non l’assenza di libertà o democrazia, a giustificare una guerra. E così la differente concezione dei diritti umani in Cina e in Occidente si risolve in una differenza di priorità: per i cinesi (e gli asiatici) l’uscita dalla povertà vale più della concessione della libertà, e così la mancanza di libertà sociali della Cina è meno grave, per un cinese, delle disuguaglianze sociali degli Stati Uniti. Non sempre la prospettiva degli Asian Values è comprensibile o apprezzabile per un occidentale. Il familismo confuciano può risultare amorale (come sanno anche i cattolici italiani), lo scarso interesse per i diritti umani si spiega anche con la priorità assegnata al benessere materiale, e può apparire cinica la negazione del diritto alla cittadinanza per i lavoratori immigrati: proprio su quest’ultimo punto, per Bell, si scontrano la visione asiatica e quella liberaldemocratica, con quest’ultima che è più attenta al piano formale e la prima (cui va la preferenza dell’autore) che nega i diritti ma concede permessi più lunghi e migliori opportunità per gli immigrati.

Se non fosse che Daniel A. Bell ha a lungo riflettuto, studiato e discusso questi temi, diremmo che sta cercando di farci credere che la democrazia non è poi questa gran cosa, e che il modello politico-economico della Cina contemporanea non è così male, anzi quasi quasi…Forse il suo ragionamento a volte è provocatorio (nel capitolo sulle minoranze non fa mai riferimento al trattamento delle minoranze religiose in Cina, e non convince molto l’idea che le non-democrazie rispettino più delle democrazie i diritti delle minoranze: gli indiani in Gran Bretagna, i francofoni in Italia, i musulmani in Spagna stanno tutti meglio dei ceceni in Russia, dei cattolici in Cina, dei cristiani in Iran), ma certo questo libro non può non scuotere le nostre certezze di liberaldemocratici occidentali. Non tanto quando ricorda come esista tutto un pensiero cinese, più antico del nostro, a cui dovremmo porre molta attenzione, ma soprattutto quando invita governi e Ong occidentali a valutare meglio il contesto asiatico, quando predicano e spingono per la democratizzazione (all’occidentale) di quei paesi. Per non parlare del capitolo sulle elite politiche. Lì Bell invita l’Occidente a guardare prima di tutto la trave conficcata nel proprio occhio: come può l’Occidente populista (quello di Bush e Berlusconi, per intenderci) dare lezioni di democrazia a paesi come la Cina, in cui la tradizione confuciana educa da millenni al culto della meritocrazia?

Alcune tesi sono un po’ ardue per un occidentale, ma sono tutte giustificate da una profonda riflessione sugli Asian Values. Bell ricorda come la concezione della cittadinanza occidentale si fondi sulla concezione attiva dei greci, mentre quella confuciana è decisamente più familistica e demanda le decisioni politiche ai “migliori”, a un’elite. E’ su queste basi che si fonda la proposta di Bell per un primo passo verso la democratizzazione della Cina: “una legislazione bicamerale con una camera bassa democraticamente eletta e una camera alta composta da rappresentanti selezionati sulla base di esami competitivi”, tipiche del severo sistema meritocratico confuciano, perché “qualunque forma di democrazia metta radici nelle società dell’Asia orientale avrà caratteristiche ‘elitiste’”. E’ una proposta che si sposa benissimo con il tradizionale rispetto asiatico verso le elite, ma che Bell sembra considerare applicabile anche al sistema occidentale, in cui la democrazia di massa ha in effetti abbassato il livello culturale dei rappresentanti. In fondo – è il suo ragionamento – una Camera di questo tipo è molto simile alla Camera dei Lord britannica, che non è elettiva (ma che nel frattempo, proprio quest’anno, è stata riformata). Lascia qualche dubbio anche la critica dell’autore nei confronti dei sindacati, che certo in Occidente sono spesso oggetto di critiche, ma che in Cina sarebbero una bella conquista, se andiamo a vedere come vengono trattati i lavoratori della grande potenza asiatica.

Beyond Liberal Democracy, per concludere, è un libro vivamente consigliato per chi voglia approfondire il legame tra il pensiero tradizionale confuciano e le attuali tendenze della politica asiatica. Ne ha scritto il filosofo Charles Taylor: “Questo libro è un contributo vivo e pieno di intuizioni su quello che sarà uno dei massimi dibattiti del ventunesimo secolo: come differenze profonde di cultura e valori rimodelleranno le istituzioni chiave della modernità nelle diverse civiltà”.

SUPPORT OUR WORK

 

Please consider giving a tax-free donation to Reset this year

Any amount will help show your support for our activities

In Europe and elsewhere
(Reset DOC)


In the US
(Reset Dialogues)


x