La laicità nel tempo delle identità
Agostino Giovagnoli 5 March 2008

Solo nel 2007, sono stati pubblicati in Italia almeno ventuno libri con la parola laicità nel titolo. Più che rappresentare un indice di vitalità, la pubblicazione di un così gran numero di testi su questo tema costituisce probabilmente un segno di crisi del principio di laicità. Trent’anni fa, Pietro Scoppola contrapponeva ad una lettura polemica basata sulla contrapposizione fra clericalismo ed anticlericalismo, una storiografia capace di leggere “ateismo, laicismo e anticlericalismo […] anche come fenomeni religiosi […] non estrinseci all’esperienza religiosa stessa […] come un dato interno ad essa, specialmente nell’età moderna e contemporanea”. Negli stessi anni Enrico Berlinguer escludeva recisamente l’anticlericalismo dall’orizzonte del comunismo italiano e interpretava l’idea di laicità in contrapposizione a posizioni ideologiche ateiste o antiteiste.

La “riconciliazione” degli anni settanta tra cattolici e laici ha costituito il punto di arrivo di un lungo e tormentato percorso, profondamente segnato dalle peculiarità della storia italiana. A questa stagione, mi pare si possa collegare idealmente anche la nota sentenza n. 203 del 12 aprile 1989 con cui la Corte Costituzionale ha incluso la laicità fra i principi supremi della Costituzione repubblicana, sancendo anche simbolicamente la piena convergenza tra cattolici e laici sul riconoscimento della laicità dello Stato, culmine di un percorso iniziato con il dissidio risorgimentale. Oggi, però, intorno all’idea di laicità prevale una diversa sensibilità. Seppure non facilmente decifrabile, è in corso uno slittamento semantico, non alimentato da una parte soltanto dei protagonisti del dibattito, ma un po’ da tutte le parti. Di tale slittamento mi pare emergano oggi con particolare evidenza, tra gli altri, due aspetti apparentemente contraddittori ma che, sul piano storico, finiscono per essere convergenti. Da una parte, sembra in atto una crescente divaricazione fra laicità e religiosità, che invece la cultura dei decenni passati tendeva ad avvicinare, come si è già notato; dall’altra, appare meno chiaro e meno diretto il nesso fra laicità e Stato, nel senso che è in atto la tendenza ad interpretare questo termine fuori dall’ambito istituzionale ed in chiave più culturale o sociale che giuridica o politica, anche in questo caso in contrasto con quanto accadeva qualche decennio fa.

Insomma, più distanza tra laici e cattolici e, insieme, indebolimento della laicità dello Stato: un combinato disposto che delinea una situazione molti diversa rispetto alle dure contrapposizioni ottocentesche fra clericali e anticlericali cui corrispondeva però una netta affermazione della laicità dello Stato da parte di questi ultimi. Infatti, anche se negli ultimi anni da parte ecclesiastica è stato denunciato un crescendo di orientamenti laicisti o anticlericali a livello italiano e, soprattutto, europeo, mentre da parte laica è stata lamentata più volte una nuova ingerenza ecclesiastica nel dibattito politico, oggi la questione, tipicamente ottocentesca, dei rapporti istituzionali tra Stato e Chiesa non appare più così centrale. Sotto questo profilo, c’era forse maggiore continuità tra l’Italia del 20 settembre 1870 e quella di un secolo dopo di quanta ce ne sia fra quest’ultima e l’Italia di oggi. Mi sembra invece valida anche per il presente l’osservazione, formulata più volte da Scoppola, secondo cui lo scontro fra “clericali” e “anticlericali”, pur nelle diverse forme assunte di volta in volta, rivela sempre una debolezza delle ragioni di entrambe le parti e, più complessivamente, una debolezza del principio di laicità.

Laici oltre la laicità

Alle trasformazioni della laicità ha contribuito anzitutto la cultura laica. Com’ è noto, negli ultimi anni sono diventate sempre più visibili le posizioni di coloro che si autodefiniscono “atei devoti” – come Giuliano Ferrara e “Il Foglio” – che tendono a sottolineare i legami fra tradizione cristiana e civiltà occidentale, sul piano culturale più che su quello religioso. Nel loro caso, è evidente il distacco da una laicità tradizionale identificata con la neutralità dello Stato verso le diverse appartenenze religiose dei suoi cittadini. Meno evidente ma, per certi versi, ancora più interessante è l’evoluzione in corso tra i laici – intesi come “coloro che non si riconoscono in alcuna Chiesa” – che non condividono le posizioni degli “atei devoti” ed, anzi, le contestano vivacemente. Anche tra questi, infatti, emerge lo slittamento semantico di cui si è parlato e che appare in gran parte legato all’influenza del dibattito scientifico-tecnologico, in particolare, agli sviluppi in campo medico, alle innovazioni dell’ingegneria genetica, alle problematiche biomediche più recenti ecc., come nel caso di vari firmatari del "Manifesto di bioetica laica" diffuso a Torino il 25 novembre 2007.

Si è infatti diffusa la convinzione che negli ultimi anni si sia realizzata una “rivoluzione tecnico-scientifica”, enfatizzata da alcuni e criticata da altri, tale da mettere in discussione la stessa idea di “natura umana”. In questo contesto, ciò che viene comunemente indicato come bioetica laica si trasforma in una sorta di teoria sociale e di dottrina politica. Si tende infatti a identificare la libertà tout court con il libero uso individuale delle possibilità di intervento tecnico-scientifico sulla propria “base umana” – in vista dell’auto-realizzazione personale – nella convinzione che “la libertà e la qualità della vita degli individui (…) in gran parte, oggi, nelle società occidentali, sono assicurate dalla ricerca in biologia” (cfr. Laicità. Una geografia delle nostre radici, a cura di G. Boniolo, Einaudi, Torino 2006). E’ un’ affermazione riduttiva rispetto alle concezioni della libertà elaborate nel tempo da un dibattito storico e giuridico molto vasto, cui si aggiunge anche una contrapposizione fra “laicità” e “religiosità”, anch’essa per certi aspetti nuova, secondo cui la libertà è radicalmente inconciliabile con una fede nella trascendenza. Tale sviluppo di pensiero spinge ad identificare laicità con secolarizzazione, due termini che, pur evidentemente riferibili a fenomeni collegati, sono stati usati e continuano ad essere usati con significati molto diversi, in particolare nel dibattito culturale francese e non solo francese. E’ inoltre in corso da tempo una serrata discussione in campo sociologico sul rapporto tra validità scientifica e carica ideologica della categoria della secolarizzazione, mentre molti dubitano oggi della possibilità di utilizzare questo paradigma per descrivere la situazione religiosa del mondo contemporaneo ed altri lo considerano addirittura “un fenomeno del passato, seppure di un passato recente” (Filoramo).

Nell’ottica delle sue più recenti forme di radicalizzazione, infine, la laicità non è una caratteristica delle istituzioni ma si esprime soprattutto in un “atteggiamento intellettuale” – in genere, ritenuto intrinsecamente superiore ad altri e quindi meritevole di prevalere –, cui corrisponde anche uno stile di relazioni sociali, considerate conformi alla “natura” umana. Simili affermazioni – oltre a suscitare perplessità per quanto riguarda la presunta base naturale della laicità proprio mentre si mette in discussione l’esistenza di una natura umana universalmente riconosciuta – aprono la strada a conclusioni problematiche sotto il profilo della laicità intesa come insieme di istituzioni e di procedure basate sul rispetto delle diverse opinioni e finalizzate ad assicurare la libertà di esprimerle. E’ il caso di quanti propongono l’esclusione di opinioni “non laiche” dal dibattito pubblico, l’auspicio che “tali giudizi vengano mantenuti a livello privato e personale, senza che abbiano una valenza pubblica”.

In alcuni casi, le conclusioni sono ancora più drastiche. L’identificazione della laicità con un atteggiamento intellettuale, infatti, indebolisce la stessa possibilità di riconoscere uno Stato laico: “Un’istituzione – si afferma – non è laica in quanto tale ma […] in quanto esito intenzionale, o meno, delle azioni di uomini che hanno un atteggiamento laico e che considerano tale atteggiamento un valore per cui e con cui vivere e che li spinge a costruire e/o lavorare per situazioni che lo realizzino”. Si finisce, insomma, paradossalmente per respingere lo Stato laico in nome della laicità. L’affermazione della libertà individuale in rapporto alla ricerca scientifica ed alla piena applicazione delle innovazioni tecnologiche viene infatti considerata esplicitamente incompatibile con una concezione istituzionale o procedurale della laicità.

“Un laico non può demandare a uno Stato (…) il compito di decidere, seppure a maggioranza, quale sia la giusta o buona esistenza, ossia quale sia il tipo di vita, o parte della vita cui si deve attribuire valore. Ne segue che un laico non si batterà affinché si instauri, magari democraticamente, un particolare tipo di esistenza”. In questo senso, nucleo fondamentale della laicità appare invece il pluralismo delle scelte individuali: la “laicità forte” di cui ha parlato Giovanni Fornero è cioè incompatibile con l’affermazione di una specifica posizione religiosa o filosofica non tanto per motivi intrinseci – come la distanza tra “sacralità della vita” e “qualità della vita” – ma perché fondata su un radicale individualismo etico. In questo modo, la laicità radicale si distacca da quella tradizionale sorta per presidiare la neutralità dello Stato rispetto alle diverse opinioni etiche o religiose dei suoi cittadini, per assumere invece il ruolo di una voce “di parte” accanto ad altre, religiose, non religiose o diversamente religiose, tolleranti o intolleranti, dialoganti o fondamentaliste ecc. che affollano la società contemporanea.

La peculiarità di queste posizioni diviene ancora più evidente nel confronto con quelle di altri laici che, come i precedenti, non rientrano sicuramente fra gli “atei devoti” e che, in modi peraltro molto diversi, conservano un forte legame con la lezione tradizionale della laicità. C’è ad esempio chi respinge, come Gian Enrico Rusconi, una delle premesse della laicità radicale e cioè la portata drasticamente innovativa della rivoluzione tecnico-scientifica in campo biomedico. Rusconi non vede difficoltà ad indicare ancora la “vecchia” strada di una moralità comune a credenti e non credenti, basata sul principio etsi deus non daretur. Altri, invece, come Jurgen Habermas non disconoscono il salto di qualità introdotto dall’innovazione scientifica e tecnologica, ma affermano che anche sul terreno delle sue applicazioni la libertà individuale incontra un limite quantomeno nella libertà dell’altro e nel suo diritto all’autorealizzazione. Egli ha criticato l’individualismo esasperato della laicità radicale, sottolineando la vulnerabilità reciproca che fonda la necessità di rapporti tra individui – o la partecipazione ad una comune condizione umana – ed osservando che persino l’individualizzazione biografica, assunta dai laici radicali a fondamento delle loro posizioni, si compie sempre attraverso la socializzazione con altri individui. Com’ è noto, inoltre, Habermas sostiene una posizione tollerante ed aperta al confronto con valori assoluti – compresi quelli di tipo religioso – nella ricerca di un’etica pubblica condivisa e di scelte normative obbliganti erga omnes (cfr. il dibattito pubblicato da “Reset”, novembre-dicembre 2007). E’ una posizione che appare, nella sostanza se non nella forma, complessivamente legata più di molte altre alla lezione della laicità.

Cattolici e Stato fra secolarizzazione e pluralismo religioso

Per quanto riguarda i cattolici, è noto che, negli ultimi anni, verso il tema della laicità si è manifestato un atteggiamento sempre più critico. Il termine continua ad essere utilizzato, ma è frequente il tentativo di ridefinirla, distinguendone alcune forme considerate accettabili da altre considerate meno accettabili, ricorrendo a termini come sana o corretta laicità. Questa “battaglia degli aggettivi” non si collega solo ad una tradizionale distanza nei confronti dello Stato laico, ma si connette anche alla rielaborazione dell’idea di laicità attualmente in corso: non si tratta cioè, di un ritorno al passato ma di qualcosa di nuovo.

In una recente audizione parlamentare, il segretario della Cei, mons. Giuseppe Betori ha criticato le conseguenze di un atteggiamento dello Stato che finirebbe per equiparare le diverse religioni, provocando “una tendenziale riconduzione al diritto comune della disciplina del fenomeno religioso” non solo non “fondato né coerente rispetto al disegno costituzionale delineato dagli artt. 7 e 8 [della] Cost[ituzione]”, ma neanche “in linea con la tradizione culturale del nostro paese e con il sentimento religioso della maggior parte della popolazione”. Come si vede, in questo modo viene sottolineato soprattutto il peculiare intreccio che si è storicamente sviluppato fra tradizione cattolica e società italiana. Tale intreccio rientra nel più ampio dibattito degli ultimi anni sul tema dell’identità nazionale – di cui il cattolicesimo viene indicato come una componente essenziale – che implica un modo di guardare lo Stato non tanto come realtà istituzionale ma soprattutto come espressione e garante di una comunità: quella che Manzoni definiva “una d’arme, di lingua, d’altar/di memorie, di sangue e di cuore” e che oggi si tende a descrivere in modo meno poetico come progetto di convivenza basato su un’aggregazione etnico-culturale o come prodotto di un’“invenzione” ideologico-sociale. In questa luce, mons. Betori ha richiamato “le problematiche determinate dalla diffusione di nuovi movimenti religiosi e delle sette, come pure [le] questioni legate al fenomeno della intercultura e della multietnicità”. A suo avviso, infatti, “l’esigenza di favorire l’integrazione dei nuovi gruppi e quindi la pacifica convivenza non deve tradursi in forme di ingiustificato cedimento di fronte a dottrine o a pratiche che suscitano allarme sociale e che contrastano con principi irrinunciabili della nostra civiltà giuridica”.

Questo ed altri esempi si collocano in un contesto in cui appaiono meno efficaci richiami alla laicità ancora diffusi fra i cattolici fino a poco tempo fa. Recentemente, ad esempio, ancora in sintonia con gli orientamenti prevalenti negli anni settanta, sono state formulate molte denunce del presunto ritorno ad uno schema gentiloniano di rapporti tra Stato e Chiesa, auspicando un maggior senso della laicità per promuovere l’abbandono di interessi contingenti ed un maggior distacco della Chiesa dal potere. In questi casi, infatti, il richiamo alla laicità si accompagna alle ragioni di una fede che non crede alla forza taumaturgica di un esercizio del potere da parte dei credenti e che vede nel possesso di mezzi potenti un fattore di corruzione della religiosità più autentica. Ma non sempre il paragone con il patto Gentiloni è calzante: negli ultimi anni, infatti, il problema principale non è stato quello di un rapporto di potere o di un “matrimonio di interesse” con reciproco scambio di vantaggi. Com’è noto, infatti, si è discusso spesso di questioni eticamente sensibili che richiamano “valori non negoziabili” e che non appaiono immediatamente in contrasto con la ricerca di una religiosità autentica. In questi casi, le denunce di ingerenza della Chiesa nella vita politica trovano i cattolici, anche se decisamente orientati in senso democratico, meno sensibili che in passato.

La laicità viene oggi evocata con minor efficacia anche per respingere posizioni dell’autorità ecclesiastica che appaiono contrastanti con l’autonomia sul terreno politico del laicato cattolico, tuttora riconosciuta anche da parte di tale autorità (anche Benedetto XVI ha insistito su questo punto al Convegno della Chiesa italiana di Verona nel 2006 ed in altre occasioni). Tale autonomia, infatti, si è sviluppata negli ultimi due secoli, dopo la Rivoluzione Francese, mentre da parte dei non cattolici veniva negato all’istituzione ecclesiastica in quanto tale il diritto di intervenire nella sfera politica e, viceversa, era riconosciuto ai fedeli cattolici il diritto di sostenere, in quanto cittadini, posizioni espressive della loro tradizione e sensibilità. Oggi si nota, invece, una crescente propensione anche dei non cattolici a far cadere tale preclusione, assumendo come interlocutori privilegiati – sia in chiave di contrapposizione polemica che di atteggiamento conciliante – le autorità religiose – non solo cattoliche – piuttosto che i cittadini-credenti, come i fedeli cattolici. In tale contesto, si sono ridotti gli spazi per un’azione di mediazione fra tradizioni politico-culturali diverse, lungamente praticato dai cattolici “non clericali” e in primo luogo dai cattolici-democratici. Sono anche questi effetti della attuale tendenza a “de-istituzionalizzare” il rapporto tra religione e società.

Come si è visto, affievolimento del principio di laicità tra i cattolici non significa minor interesse per il ruolo dello Stato nella società. Più che muoversi – come in passato – secondo una logica di scontro istituzionale difendendo diritti o cercando privilegi a tutela di interessi “di parte”, la Chiesa cattolica sembra oggi cercare di coinvolgere lo Stato nell’affermazione di valori morali e di orientamenti sociali che essa giudica essenziali. E’ già stata evidenziata la profonda contrapposizione fra orientamenti cattolici e laicità radicale, che si esprime anche in interpretazioni inconciliabili del bene comune e del rapporto tra individuo e società. In entrambe, emerge la tendenza a considerare superato lo Stato laico di stampo ottocentesco, “neutrale” sul piano morale e religioso e saldamente attestato nell’affermazione della sua autorità. Ma tale superamento avviene in direzioni diverse, delineando una sorta di rovesciamento delle posizioni tradizionali, con cattolici che ricorrono all’autorità dello Stato per contrastare le spinte verso un’autodeterminazione individuale sempre più estesa e con laici interessati ad estendere lo spazio del privato e limitare il più possibile l’influenza dello Stato sulle decisioni personali.

Religione e società dal passato al futuro

Senza che il secolare dibattito europeo sulla laicità si interrompesse, sintetizza Claudia Mancina, si è prodotta una situazione nuova: “Lo stesso terreno del confronto è mutato” a seguito di una trasformazione anche delle società europee in società multiculturali e con l’emergere "di un insieme di questioni che pur riguardando aspetti così privati come la vita e la morte, il corpo e la generazione, esorbitano dal campo delle scelte esclusivamente personali a causa dell’innovazione tecnologica che le ha investite”. Molto infatti sta cambiando nella società multiculturale e multireligiosa. La laicità si è sviluppata in Europa in un contesto soprattutto pluriconfessionale – e solo limitatamente plurireligioso, grazie in particolare alla presenza di minoranze ebraiche e all’alternativa, soprattutto contemporanea, dell’ateismo – mentre invece oggi multiculturalismo e multireligiosità appaiono tendenze dominanti. In un contesto tanto cambiato, non sembra più possibile continuare ad adottare le forme tradizionali della laicità, ma la loro eredità appare ancora viva pur spingendo in direzioni che sembrano contrapposte.

Da una parte, si vorrebbe che lo Stato si impegnasse nella difesa di una serie di valori cristiani, non caratterizzati in senso strettamente confessionale e globalmente espressivi della civiltà occidentale, abbandonando l’equidistanza verso le opinioni religiose sempre più differenziate dei suoi cittadini. Dall’altra, invece, il rispetto di un pluralismo etico-religioso sempre più esteso ispira un rifiuto della tutela statale di qualunque valore morale anche se condiviso al di là delle sue specifiche motivazioni religiose, riducendo così l’autorità delle istituzioni che presiedono alla vita comune. Insomma, da un lato, la moltiplicazione dei diversi orientamenti religiosi e valoriali spinge verso un minor tasso di laicità nelle istituzioni; dall’altra, la transizione da una società pluriconfessionale ad una convivenza multireligiosa sembra sollecitare una trasformazione della laicità in indifferenza sempre più estesa verso i più diversi orientamenti e comportamenti dei cittadini.

In concreto, lo Stato laico, fondato su un patto costituzionale in cui tutti si riconoscono, appare eroso dal conflitti tra i diversi orientamenti espressivi delle varie identità presenti nella società contemporanea. Non a caso emerge oggi la tendenza, da un lato, a prospettare l’introduzione di una serie sempre più estesa di “obiezioni di coscienza”, attraverso cui il singolo può mantenersi coerente con valori anche se contraddetti da una legge che egli non condivide; dall’altro, si favorisce l’introduzione di leggi facoltizzanti, che affidino al singolo cittadino la scelta di avvalersi o meno delle opzioni disponibili, in particolare quelle messe a disposizione dal progresso scientifico e tecnologico, in base ai propri convincimenti. In entrambi i casi, si registra un declino della capacità di sintesi della politica, del patto costituzionale e delle istituzioni pubbliche, insomma di una “casa comune” in cui tutti possano ritrovarsi all’interno di principi e regole unanimemente condivisi.

Per certi versi, la situazione attuale sembra scaturire da una parabola che riflette le alterne vicende della “forza istituzionale” della Chiesa e dello Stato in Italia, nel contesto di un più generale declino di tutte le istituzioni nella società contemporanea: come si è già osservato, infatti, la crisi della laicità rivela non il rafforzamento di una delle due parti ma l’indebolimento di entrambe. A partire dal Risorgimento, com’è noto, per molti anni Chiesa e Stato si sono rapportati come istituzioni contrapposte e concorrenziali, mentre alla diffusione del principio di laicità nelle istituzioni pubbliche non corrispondeva ancora una accentuata secolarizzazione della società. In seguito, come si è ricordato, la contrapposizione si è attenuata mentre si delineava una conciliazione tra cattolici e laici intorno al tema della laicità, sullo sfondo di una società sempre più secolarizzata. Oggi, invece, da parte cattolica perplessità e cautele nei confronti della laicità e critiche severe verso posizioni ipesecolarizzanti si accompagnano alla ricerca di un rapporto più ravvicinato con le istituzioni pubbliche, mentre da parte di alcuni leader politici non solo italiani si manifesta, in modo speculare, interesse per simili atteggiamenti che, benché in contrasto con la laicità tradizionale, offrono comunque una sponda ad un’autorità dello Stato sempre più insidiata dalla frammentazione della società contemporanea.

Agostino Giovagnoli insegna Storia contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Tra i suoi libri, Il partito italiano (Laterza, 1997), L’Italia nel nuovo ordine mondiale. Politica ed economia dal 1945 al 1947 (Vita e Pensiero, 2000), Storia e globalizzazione (Laterza, 2003), Il caso Moro. Una tragedia repubblicana (il Mulino, 2005).

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 105 di Reset (Gennaio-Febbraio 2008).

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