La Romania sull’orlo del crack istituzionale
Enza Roberta Petrillo 23 luglio 2012

Su questa rimozione controversa si pronuncerà, il prossimo 29 luglio, la metà più uno degli aventi diritto in un referendum, che a prescindere dagli esiti, getta più di un’ombra sullo stato di salute della politica rumena.

Si aggiudica, così, la Presidenza della Repubblica ad interim, Crin Antonescu, leader del Partito Nazionale Liberale nominato, pochi giorni prima che si aprisse l’affaire Băsescu, Presidente del Senato, in sostituzione di Vasile Blaga, conservatore e fedelissimo, guarda caso, del Presidente della Repubblica spodestato. Se il referendum del 29 luglio dovesse confermare l’impeachment, Antonescu diventerebbe il nuovo presidente della repubblica romeno fino alle elezioni presidenziali previste per il 2014.

Che sia o no un colpo di mano ordito da Ponta per arginare le intrusioni di campo del presidente della repubblica, il caso Băsescu – con buona pace dei teorici delle transizioni democratiche indolori – è l’ennesima conferma della fragilità della tenuta istituzionale della democrazia romena. Băsescu vittima sacrificale? Non proprio. Il Presidente deposto, non diversamente dai leader di governo che vorrebbero vederlo fuori dall’agone politico, non è certo uno stinco di santo. Corruzione, abuso di potere, conflitto d’interesse, pressioni esercitate sulla stampa hanno costellato la carriera politica di quasi tutti i leader politici romeni post-comunisti. Uno scenario fosco reso perfettamente da uno degli slogan che in questo inverno imperversava tra le piazze: “Vi preghiamo di scusarci, non riusciamo a produrre più di quanto voi riusciate a rubare!”.

Delegittimate dai tumulti di piazza e sotto stretta osservazione di Ue, Fondo Monetario e Banca Mondiale che nel 2010 hanno foraggiato un credito di 20 miliardi di euro, le elites politiche del paese cominciano a scricchiolare. Per ora a rimetterci sono stati soltanto Băsescu e i suoi, ma è chiaro a tutti che il blocco di potere messo su da Ponta a forza di spallate istituzionali potrebbe essere il prossimo a crollare. Del resto il Premier in carica non vanta radici solide. Al governo da solo due mesi, la sua nomina è seguita a quella di Mihai Răzvan Ungureanu, sfiduciato dal Parlamento nel giro di soli tre mesi di mandato, dopo aver tentato di guidare il governo già indebolito dalle dimissioni del capo di governo Emil Bloc, seguite alle violente manifestazioni contro le sue misure anti-crisi.

Dal suo insediamento nello scorso maggio, Ponta ha utilizzato la decretazione d’urgenza, per scavalcare sistematicamente il dibattito parlamentare sulle riforme istituzionali, arrivando a modificare la legge sull’impeachment, esautorando la Corte Costituzionale dal suo ruolo consultivo, e lanciando un’operazione di ridefinizione dell’architettura istituzionale repubblicana. Incapace di offrire alternative su un piano politico, l’opposizione ha risposto gettando discredito sull’esecutivo. In un tourbillon di scandali, in poche settimane ben tre ministri dell’esecutivo sono stati rimossi dal proprio incarico per faccende relative a tesi di laurea plagiate e curricula falsificati. Giornali vicini all’ex presidente Băsescu hanno riportato che lo stesso Ponta avrebbe scopiazzato la propria tesi di dottorato.

Altro che bizze e scaramucce nazionali. La guerra aperta tra gli schieramenti politici è arrivata dritta a Bruxelles, spingendo la Commissione a convocare d’urgenza il premier Ponta per fare chiarezza sul crack istituzionale del Paese e assicurare azioni concrete per garantire la piena indipendenza del potere giudiziario, il ripristino dei pieni poteri della Corte costituzionale e la nomina di un mediatore super-partes, che sovrintenda la predisposizione di nuove procedure per la nomina del pubblico ministero del Dipartimento anti corruzione. Pena, l’ipotesi ventilata da alti funzionari Ue, secondo cui l’Unione sarebbe pronta a varare un pacchetto di sanzioni nei confronti di Bucarest ricorrendo all’articolo 7 del Trattato di Lisbona che prevede la sospensione di alcuni diritti, tra cui quello di voto in seno al Consiglio europeo.

“Tengo molto all’immagine di una Romania democratica, in grado di risolvere il dibattito interno con il voto politico e popolare”, ha risposto il premier Ponta, sfoggiando toni tranquillizzanti e ribadendo che è pronto a fare marcia indietro su qualsiasi iniziativa Bruxelles ritenga sbagliata. Difficile credergli. Soprattutto se si dà credito ai toni bellicosi del Presidente ad interim Antonescu: “Voglio essere chiaro una volta per tutte: il presidente della Romania, anche provvisorio, non riceve ordini o disposizioni da chiunque, se non dal Parlamento e dal popolo romeno”. Barroso e i suoi sono avvisati.

Immagine: Victor Ponta, Wikimedia commons