E’ il 9 Novembre 1989 e Günter Schabowski, alto funzionario del Partito Socialista unificato di Germania (SED) e portavoce del governo della RDT, tiene una conferenza stampa internazionale nel Centro Stampa di Berlino Est, gremito di giornalisti. Qualcosa freme nell’aria ma nessuno può immaginare quello che sta per accadere. Il ministro parla, rassicura. Sono state settimane caratterizzate da manifestazioni e proteste di piazza. Il nervosismo è alle stelle. Alle 18 e 53 Riccardo Ehrman, da anni corrispondente a Berlino dell’agenzia stampa Ansa, fa una domanda apparentemente semplice ma carica di conseguenze. Chiede a Schabowski se sia stato un errore presentare una legge che permette ai cittadini dell’Est di effettuare viaggi ad Ovest per 30 giorni. La domanda è volutamente provocatoria.
Ehrman sa che questa legge è soltanto una farsa propagandistica per tenere buoni gli animi dei cittadini dell’Est, desiderosi di libertà. Schabowski inizialmente nega, visibilmente irritato. Poi tira un foglietto dalla tasca e legge un annuncio che ha l’effetto di una bomba: tutti i cittadini della RDT d’ora in poi possono recarsi all’Ovest senza richiesta formale agli organi di polizia. Forse Schabowski non calcola il peso delle sue parole o forse dimentica che la sua conferenza stampa, in diretta televisiva, è seguita da milioni di tedeschi. Ai check point cominciano ad ammassarsi centinaia, poi migliaia di persone che vogliono passare ad Ovest. La polizia non ha avuto alcun ordine preciso e non sa come comportarsi. Ma il ministro ha parlato chiaro, si può andare ad Ovest senza permesso. Intanto Riccardo Ehrman corre verso un posto di frontiera nella stazione di Friedrichstrasse, telefona all’Ansa e detta una notizia flash dal titolo: “Il Muro è crollato”. A Roma pensano sia impazzito. Nella calca di gente che si ammassa ai check point qualcuno riconosce Ehrman. E’ proprio lui il giornalista che ha posto la famosa domanda in diretta televisiva al ministro Schabowski. Ehrman viene raggiunto da una folla festante, portato a braccia, osannato. Di lì a poco il muro viene fisicamente abbattuto ed inizia una nuova era per il mondo.
Può raccontarci qual era il clima che si respirava in quei giorni?
Esisteva, ed è ormai noto, un grande nervosismo anche in vista del fatto che in quasi tutte le città della RDT (Germania orientale) c’erano quotidianamente dimostrazioni. Non erano apertamente manifestazioni anti-regime, perché altrimenti sarebbero state vietate, ma chiedevano comunque più libertà. Il clima quindi era di estremo nervosismo.
E la conferenza stampa tenuta dal ministro Schabowski?
All’inizio della famosa conferenza stampa, il portavoce del Politbüro Günter Schabowski disse molto chiaramente fin dall’inizio: “Noi siamo perfettamente al corrente di quello che vuole il popolo ed il popolo desidera viaggiare. In questo senso abbiamo esaminato la situazione”. Poi continuò a parlare per più di mezz’ora prima di accettare le prime domande.
Esisteva questo famoso progetto di legge che virtualmente avrebbe permesso ai cittadini dell’Est di recarsi all’estero anche se non era ancora effettivo…
Il progetto di legge che poi Schabowski ha reso noto non era in realtà ancora conosciuto. Quello che era conosciuto era una legge annunciata da Schabowski una decina di giorni prima secondo la quale i cittadini della RDT potevano viaggiare se prima si munivano di un passaporto e di un visto. Queste erano cose che chiaramente all’interno di un regime comunista non erano realizzabili, perché ottenere un passaporto già era un fatto difficilissimo, ottenere un visto di uscita era ancora più difficile se non addirittura impossibile. Quindi era solo una farsa propagandistica.
Ad un certo punto della conferenza stampa lei fece al ministro Schabowski una domanda precisa. Cosa gli chiese esattamente?
Quello che gli chiesi esattamente fu questo: “Signor Schabowski non crede lei di aver commesso un grande errore nel promulgare la precedente legge sui viaggi” ? Lui, molto innervosito rispose: “No, no, non abbiamo fatto nessun errore”. Bisogna tener presente che in un regime totalitario accusare il portavoce del Politbüro, e cioè del massimo ente di potere del paese, di aver commesso un grave errore era cosa incredibile tant’è vero che successivamente Schabowski mi disse che io l’avevo molto innervosito. Comunque dopo aver risposto che non aveva commesso alcun errore, aggiunse: “A questo proposito ho qualcosa da dire”. Tirò fuori un foglietto dalla tasca e lesse un annuncio secondo il quale i cittadini della RDT potevano varcare le frontiere soltanto mostrando un documento d’identità e senza aver fatto in precedenza una formale richiesta agli enti di polizia. Questo significava chiaramente, secondo me, che il Muro era caduto.
Dopo quest’incredibile annuncio gli fece altre due domande a bruciapelo. Quali?
“Vale anche per Berlino Ovest?” E lui disse subito: “Si, per tutte le frontiere”. Poi chiesi: “Da quando?”. E lui rispose: “Per quanto ne sappia, da questo momento”.
Cosa successe poi nelle ore seguenti, dopo quest’annuncio fatto praticamente in diretta televisiva?
La polizia di frontiera non aveva avuto nessuna istruzione, per cui le cose erano rimaste ferme e le frontiere erano chiuse. Dopo la conferenza stampa e dopo aver dettato i primi flash a Roma corsi alla frontiera più vicina al centro stampa che era la stazione ferroviaria di Friederichstrasse e lì c’era già una coda di centinaia, forse migliaia di persone che aspettavano di poter passare ad Ovest. Mentre c’erano i poliziotti che dicevano: “Fermi, mettetevi in fila se volete, ma per ora noi non abbiamo nessuna istruzione”. Comunque quello che successe fu che qualcuno tra quelli che aspettavano mi riconobbe dalla conferenza stampa e disse “E’ lui, è lui!” Altri si unirono, mi festeggiarono, mi sollevarono a braccia e entusiasticamente mi abbracciarono, fu un’esperienza straordinaria.
I tedeschi dell’Est si erano già resi conto della portata delle dichiarazioni di Schabowski, mentre la stampa, così come le autorità, fu lenta a reagire…
Il fatto sorprendente è che la gente aveva più fiducia nelle parole di Schabowski di quanto non ne avessero i giornalisti presenti. I cittadini della RDT si resero immediatamente conto della portata di queste parole, mentre i colleghi presenti non reagirono, tant’è vero che soltanto io, cosa incredibile, andai a telefonare all’Ansa dettando il flash “Il Muro è crollato”. L’Ansa ha avuto un vantaggio incredibile di 31 minuti sulla concorrenza. Ma devo anche aggiungere che all’Ansa, come mi hanno raccontato dopo i colleghi, c’è stato chi ha detto subito: “Riccardo è impazzito”. Ma per fortuna mia e per fortuna della Germania e forse del mondo non era così, non ero impazzito.
E i colleghi tedeschi come reagirono?
Io credo che i colleghi tedeschi non credessero alle parole di Schabowski, perché c’erano stati altri annunci simili che poi si erano rivelati soltanto delle farse. Quindi non gli diedero importanza, mentre per me fu chiarissimo dal primo momento. Non ebbi alcun dubbio perché se avessi avuto il minimo dubbio non avrei mai dettato per telefono una notizia simile.
E’ vero, come alcuni dicono, e come lei stesso sembra lasciar trasparire in un’intervista al Corriere pubblicata nell’aprile del 2009, che in realtà questa famosa domanda le fu “suggerita”?
La storia è questa. Un collega tedesco di un importante quotidiano, Die Welt, ha scritto che tutto quello che avevo fatto era stata una pura casualità. Una casualità la domanda, ma anche il mio servizio. Questo francamente mi aveva irritato per cui resi noto che non era stato un puro caso e che io la cosa l’avevo preparata. Ero a Berlino Est da undici anni e mi ero fatto una serie di fonti ‘altolocate’ che mi davano informazioni sulla ‘sensazione’ di quello che stava succedendo. Posso citarne due. Klaus Gysi, ex-ministro della cultura ed ex-ambasciatore della RDT a Roma, ultimamente anche segretario di stato per le questioni della chiesa. Era una persona estremamente influente, un caro amico, persona di immensa cultura a cui piaceva la cucina italiana e la grappa. E’ venuto da me molte volte ed abbiamo passato insieme delle simpatiche serate. Questa è stata una delle fonti. Un’altra fonte era un giornalista che si chiamava Günter Pöetzsche, direttore dell’agenzia di stampa tedesco-orientale, l’ADN. Prima della conferenza mi aveva telefonato dicendomi: “Fai una domanda sulla libertà di viaggio”. Cosa che io ho fatto ma non in questi termini, perché la mia domanda era sull’errore di approvare una legge che permetteva ai cittadini dell’Est di viaggiare all’estero e non sulla libertà di viaggio. E’ stato, come si dice nel gergo giornalistico inglese, un “tip”, una soffiata. Poi ho capito che lo stesso Pöetzsche non sapeva, e non poteva saperlo, che cosa sarebbe successo e la portata dell’annuncio. Lui stesso quella sera, come mi ha raccontato dopo, dopo aver trasmesso che c’erano stati degli alleggerimenti nelle leggi sui viaggi era tornato a casa ed era andato a letto. Ed aveva dormito tranquillo fino al giorno dopo senza che i colleghi della sua redazione lo chiamassero perché anche loro non avevano capito che era caduto il muro. Un altro giornale tedesco, successivamente, disse che io ero stato uno strumento del regime comunista nel fare la domanda. E’ un’altra di quelle balle paradossali che si può respingere subito spiegando che non è credibile che un regime avesse bisogno di una domanda suggerita per poter fare un annuncio così importante come quello della caduta del muro.
Il racconto dei retroscena di questa famosa domanda è venuto soltanto molti anni dopo lo svolgersi dei fatti. Si è trattato esclusivamente di protezione delle fonti, oppure, come si diceva negli anni susseguenti alla caduta del muro, del timore di possibili ritorsioni?
Ritorsioni no. C’è una base semplicissima ma anche ferrea della nostra etica di giornalisti. Le fonti non s’identificano a meno che esse stesse non ti diano l’autorizzazione ad essere identificate. Io non ne ho parlato fin quando ho saputo che il povero signor Pöetschke era già morto da qualche anno.
Quella scritta da lei è probabilmente una delle più belle pagine di giornalismo italiano anche se lei è conosciuto forse più in Germania che in Italia…
Questo non lo so. Ma c’è sicuramente un ultimo dato che vorrei mettere in evidenza. Se mi si dovesse ricordare non vorrei essere ricordato come il giornalista che ha fatto la domanda, perché in questo caso, come in tutti i casi della vita, non sono le domande che contano ma le risposte. In questo caso la risposta è stata fenomenale e ha cambiato il mondo. Vorrei però che mi si riconoscesse il fatto che io ho capito la risposta. L’ho capita immediatamente. Questo forse è l’unico merito che io credo di aver avuto.