Lasciamo perdere il gioco dei “post-”; credo che qualsiasi persona di buon senso dovrebbe averne abbastanza. Diceva un tale che chi pensa si possano separare astrattamente politica e religione non capisce nulla né di politica né di religione. Un certo liberalismo è del tutto “speciale” nel non comprendere nulla di religione (come nulla ne comprendeva l’Illuminismo), ma di politica qualcosa dovrebbe saperne… E non c’era bisogno di attendere gli ultimi eventi, l’insorgere di un islam fondamentalista, ecc, per accorgersi che, senza attendere il permesso da chicchessia, le religioni, in tutte le loro dimensioni organizzative, pretendano a essere riconosciute a pieno titolo come anche “attori sociali”.
Non solo lo Stato liberale, ma la forma-Stato tout court è elemento integrante del generale “destino” di secolarizzazione. Esso non può perciò in alcun modo avanzare la pretesa di fondare e costituire una gerarchia, un ordine assoluto di Valori. Le sue leggi possono avere soltanto validità positiva e relativa. Il che non significa però indifferente relativismo; la relatività dei valori può diventare il fondamento di un ethos del confronto, del dialogo, del riconoscimento reciproco. Soltanto così l’intrinseca fragilità dello Stato liberale può trasformarsi in positive energie. Aggiungerei, e questa è la lezione filosofica fondamentale dello stesso Tocqueville, che lo Stato può moltissimo nell’“educare” a relazioni di amicizia tra gli stessi valori che si confrontano nella dimensione socio-politica: lo può con l’organizzazione della scuola, favorendo la mobilità sociale, sostenendo la ricerca in tutti i campi.
Massimo Cacciari, preside dal 2002 della Facoltà di Filosofia dell’Università “Vita e Salute San Raffaele” di Milano, è attualmente sindaco di Venezia. Tra i suoi volumi, molti dei quali tradotti in tutte le principali lingue europee, Della cosa ultima (Milano 2004).
Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista Reset, numero 101.