“Israele deve fare il primo passo”
Gideon Levy, giornalista di Haaretz, intervistato da Alessandra Cardinale 5 December 2007

Levy, con Annapolis si apre una nuova era per il conflitto israeliano-palestinese oppure abbiamo assistito all’ennesima dichiarazione di buone intenzioni?

Non si è trattato solo di un’amichevole stretta di mano ma neanche dell’avvio di una nuova era. Può essere un inizio, anche se la speranza è decisamente flebile. D’altronde nel passato abbiamo avuto tante occasioni come Annapolis. Per esempio, chi ricorda i negoziati di “Wye Plantation” (accordo firmato nel 1998 tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il leader palestinese Yasser Arafat, testimone il Presidente americano Bill Clinton, ndr) o altre conferenze di pace che si sono tenute sia qui sia negli Stati Uniti? Anche Oslo sembra essere caduta nel dimenticatoio. Guardando indietro negli anni, non avrei troppe aspettative, Annapolis potrebbe essere un punto di partenza. Dipenderà tutto da come i due leader politici decideranno di muoversi.

Olmert e Abbas sono due leader deboli: da parte israeliana, partiti della destra conservatrice come Shas e Yisrael Beitenu minacciano di uscire dalla coalizione nel caso in cui il loro premier conceda troppo alla controparte palestinese, mentre Gaza, da giungo, è nelle mani di Hamas.

Indubbiamente Olmert e Abbas sono entrambi in grande difficoltà. Ma la storia ci dice che perfino leader forti e sostenuti dall’opinione pubblica hanno fatto ben poco. Pensi, ad esempio, al Sud Africa: il Presidente Frederik Willem De Klerk a suo tempo era molto debole ma ciò non gli impedì di mettere in atto una rivoluzione.

Quando vedremo se Olmert e Abbas hanno realmente volontà di mettere fine a questo conflitto?

Tra alcune settimane. Se Annapolis avrà delle conseguenze queste si vedranno, innanzitutto, nei Territori Occupati. Se qui non avverranno cambiamenti, nulla cambierà. Se Gaza continuerà ad essere una prigione, la conferenza di pace di Annapolis rimarrà lettera morta. Personalmente non sono molto ottimista. La chiave di volta è nelle mani di Israele: Israele è l’occupante ed è Israele che deve fare il primo passo. Se non lo farà, le assicuro, rimarrà tutto così com’è ora.

Cosa intende per “fare il primo passo”? Secondo lei, cosa dovrebbe fare praticamente Israele?

Riaprire i valichi a Gaza, rimuovere qualche checkpoint, una qualsiasi azione che dimostri la ferma intenzione di dialogare in nome della pace. Non bisogna dimenticare che oltre 10.000 Palestinesi sono rinchiusi in carceri israeliane. Sono convinto che lo stesso primo ministro Olmert voglia la pace ma se non trasformerà in azioni concrete le bellissime parole pronunciate ad Annapolis, non assisteremo ad alcun passo in avanti nel processo di pacificazione tra Israeliani e Palestinesi.

Ritiene che l’Iran sia ora più isolato?

Certo, ma spero questa non sia l’unica vittoria del dopo-Annapolis. Anche il futuro dell’Iran dipende dalla pace in Medio Oriente: una pace solida e duratura renderà l’Iran e le minacce atomiche dei suoi leader innocue.

L’Arabia Saudita sembra giocare un ruolo decisivo: lei si fida del Ministro degli esteri, il principe Al-Faisal, o ritiene che i sauditi stiano semplicemente facendo il gioco degli USA?

Non mi interessa se l’Arabia Saudita stia sostanzialmente facendo un favore agli Stati Uniti e non ritengo che sia un Paese così decisivo per noi. L’obiettivo su cui concentrarsi ora è solamente la costruzione di un processo di pace solido tra Israeliani e Palestinesi, ma anche tra Israele e Siria. Su questo bisogna puntare, il resto sono chiacchiere.

Parlando della Siria, alcuni giorni fa Stephen Hadley, Consigliere della Sicurezza Nazionale americano, ha dichiarato che molto difficilmente la Siria potrà far parte di questo processo in quanto sostiene e appoggia Hezbollah e Hamas.

E proprio per le ragioni esposte da Hadley che dovremmo trovare un accordo con la Siria. Penso che gli americani da tempo tentino di impedire ad Israele di sedersi al tavolo delle trattative con la Siria. Guardi, la pace con la Siria è dietro l’angolo, nel senso che i pro e i contro sono ormai molto chiari. E da anni la Siria manda segnali positivi. Temo che i leader israeliani usino gli Stati Uniti come scusa per rinviare le trattative con i siriani: sono convinto che la pace con la Siria sia a portata di mano ed è sicuramente un passaggio obbligato.

Quando è stato il momento in cui Israeliani e Palestinesi hanno realmente sfiorato la pace?

Nel 2000 a Camp David. Allora Ehud Barak e Arafat ebbero almeno il coraggio di mettere mano agli argomenti fondamentali che animano il conflitto ed entrambi avevano in mente una strategia globale. Non procedevano a piccoli passi che – difatti – non portano da nessuna parte. Per ottenere un cambiamento devi fare uno e un solo grande passo in avanti: e dunque, il coraggio di farlo si ha o non si ha. Barak e Arafat ce l’hanno avuto, ma temo che questo non valga per Olmert e Abbas.

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