Islam e bioetica: le domande poste dai progressi della scienza e della tecnologia sono sempre più complesse e la risposta non è unica. L’Islam non è un blocco univoco che parla per voce sola e la complessità e vivacità del dibattito aperto nel campo della bioetica ne è la prova. Alla base di ogni posizione c’è sempre il diretto riferimento al Corano, «diretta e letterale parola di Dio» rivelata al Profeta, e agli ahadith, i racconti e i detti del Profeta Muhammad. La fonte di legittimazione è nella Shari’a, che però «è dotata di una notevole capacità di adattamento al variare delle situazioni; una peculiarità resa storicamente possibile soprattutto dall’assenza di un’autorità suprema custode dell’ortodossia».
Ed è proprio l’assenza di un’autorità giuridico-religiosa superiore, in grado dunque di offrire una posizione “ufficiale” della fede, uno degli elementi che spiega – insieme a fattori storici, politici, sociali, familiari, anche locali – la vivacità di posizioni giuridiche ed etiche che animano l’Islam di fronte alle sfide della bioetica, su temi talmente moderni che spesso la stessa terminologia è incerta. Così il riferimento al Corano e ai detti del Profeta «limita la proliferazione di posizioni diverse rischiando, spesso, tuttavia, di radicalizzarle in quanto tutte pretendono di rappresentare la corretta interpretazione delle parole del Creatore».
Il saggio di Dariusch Atighetchi “Islam e Bioetica” (Armando Editore, 2009, euro 24) analizza in modo puntuale e aggiornato i caratteri della bioetica islamica, i principi ispiratori dell’etica medica e le diverse posizioni giuridico-religiose assunte da congressi, conferenze pan-islamiche, comitati etici, dottori della Legge, comitati nazionali delle fatawa di fronte a una molteplicità di questioni di stretta attualità, dalla contraccezione all’aborto, dalla procreazione assistita ai trapianti, dall’Aids alle sfide della genetica, dal fine vita alle mutilazioni genitali femminili, mettendo a confronto le diverse posizioni assunte nel tempo, le elaborazioni classiche e quelle contemporanee, le legislazioni di diversi Stati islamici (con particolare attenzione ad Arabia Saudita, Egitto e Iran) e le pratiche realmente diffuse nei diversi contesti sociali e familiari. Ma non si tratta, puntualizza subito l’autore – docente di Bioetica islamica al Centro Interdisciplinare di Studi sul Mondo Islamico “Francesco Castro” presso la Seconda Università di Roma ed esperto di bioetica ed etica medica islamica – di «pluralismo etico», definizione considerata eccessiva e facilmente associabile a un relativismo occidentale lontano dall’ottica islamica («La verità ed i valori sono già presenti nelle Sacre Fonti, bisogna solo recuperarli oppure “interpretare” correttamente queste ultime»).
Sull’elaborazione delle diverse posizioni incidono i principi fondamentali dell’etica medica islamica. Il primo è fondato sul Corano: «Chiunque salva la vita di un uomo, sarà come se avesse salvato l’umanità intera». Il secondo è un hadith del Profeta: «Dio ha creato una cura per ogni malattia. Cercate la cura ma non usate metodi proibiti». Ci sono poi il principio giuridico di necessità («pressanti necessità consentono persino il proibito»), il principio della preferenza per il “male minore”, il principio del beneficio pubblico o del bene comune (maslaha), il carattere sacro della persona umana e il fatto che l’uomo ha ricevuto in dono da Dio il corpo in “amministrazione fiduciaria”. L’applicazione di questi principi fa scaturire posizioni fra loro anche molto differenti.
Come evidenzia il volume, lo stesso principio del maslaha, che privilegia il bene della comunità sull’utilità privata, finisce per legittimare allo stesso tempo la mutilazione penale, i trapianti di organi e la possibilità espressa da alcune autorità di fare ricerca sulle cellule staminali embrionali nei primi giorni di vita. Incide inoltre la dimensione politica, che privilegia quella che viene considerata la difesa del bene della comunità (umma) rispetto alle esigenze del singolo individuo. E pesa la dimensione sociale laddove, scrive Atighetchi, l’interesse ai dibattiti appare ancora «elitario», la partecipazione della società civile «resta non organizzata», ma contemporaneamente «i problemi etico-giuridici aperti dalle nuove tecnologie costituiscono un’occasione irripetibile, per gli esperti musulmani, di reinserimento nel dibattito internazionale sulla modernizzazione ai massimi livelli. In questi contributi si desidera riaffermare la modernità dell’Islam in quanto capace di moralizzare la medicina contemporanea e, anzi, di risolvere le sue sempre nuove contraddizioni».
La mappa delle posizioni tracciata dallo studioso fa emergere un quadro vivace e composito, dove interagiscono con esiti spesso diversi il peso rilevante della famiglia e la dimensione familiare nella gestione del malato e il «paternalismo medico», il ruolo degli esperti religiosi e l’impatto di ragioni spiccatamente politiche, con interpretazioni rigide e altre che, usando gli stessi strumenti, approdano a una visione più pragmatica dei problemi e della loro possibile soluzione. Riguardo all’aborto, ad esempio, tradizionalmente c’è accordo nel vietarlo dopo la «infusione dell’anima nel feto» (un periodo compreso fra 120 giorni, 40 giorni o un altro arco temporale dalla fecondazione) tranne nel caso dell’aborto terapeutico per salvare la vita della madre. Il tema è però tornato d’attualità per gli stupri di donne musulmane in Bosnia e Kosovo, che hanno condotto diversi esperti a una certa tolleranza nei confronti dell’interruzione di gravidanza prima dell’infusione dell’anima. C’è ad esempio una tradizionale condanna della procreazione artificiale eterologa fra i sunniti, ma qualche opinione più aperta comincia a diffondersi fra gli sciiti del Libano e dell’Iran.
Quest’ultimo è però lo stesso paese che applica la pena capitale, la lapidazione e tutte quelle punizioni corporali che si scontrano con i principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Sul complesso tema del fine vita, scrive l’autore, tutte le fonti condannano l’eutanasia, ma «all’interno della condanna di principio, si possono individuare posizioni diverse di fronte a determinate situazioni cliniche» e, ad esempio, atteggiamenti differenti sulla possibilità di interrompere nutrizione e idratazione artificiale, come quando si solleva il rispetto del principio del «non provocare danno». Spostando il focus: nei paesi musulmani particolarmente difficile è la situazione di sieropositivi e malati di Aids, per la diffusione di preconcetti ancora radicati e un contesto nel quale l’Aids non ha visibilità, la pressione sociale è forte, il discredito associato alla malattia sessuale è molto temuto, le regolamentazioni sanitarie di alcuni paesi discriminatorie, la situazione delle donne ancora più grave e il contesto generalmente ostile. In tutto questo, la recente Dichiarazione del Cairo del dicembre 2004 firmata da leader religiosi musulmani e cristiani invita ad agire contro i pregiudizi.
E questa è solo una carrellata sintetica e necessariamente imprecisa della complessità delle posizioni restituite dalla mappa di Atighetchi, ricognizione che assume notevole rilevanza alla luce delle sfide che scienza e tecnologia pongono a tutte le religioni e del ruolo svolto dall’Islam non solo nella geopolitica mondiale ma anche all’interno delle stesse società occidentali, per il background e per il flusso di esperienze e cambiamenti che i migranti portano dai paesi di origine a quelli di destinazione. E viceversa.