Il mercato degli affari non ha religione. E si adatta all’islamic wave. Dall’americana McDonald’s, che offre l’Halal Chicken McNuggets, alla ditta inglese di cosmetici Saaf che produce profumi senza alcol, la regola va oltre il cibo. Niente carne di maiale o derivati e, naturalmente, alcol, che sono prodotti vietati nell’Islam. Il che mette al bando non solo la pizza alla diavola con il salame piccante, ma anche una boccetta di profumo, fragranza o acqua distillata che normalmente contiene alcol etilico. E poi la carne di animale (ovina, caprina, bovina) deve essere macellata secondo la Sunna (il codice di comportamento stabilito da Maometto).
Le aziende in giro per il mondo guardano al concetto di prodotto halal (termine arabo che letteralmente significa ciò che è permesso dalla shari’a, la legge islamica), come ad un nuovo strumento di marketing e si mettono a produrre espressamente per la clientela musulmana. Il mercato dei prodotti halal (alimentari, cosmetici e farmaceutici oggi garantiti da un marchio di certificazione) cresce e smuove ormai un giro d’affari di 634 miliardi di dollari, forte di una base di consumatori di 1,8 miliardi di persone in cento Paesi diversi con trend demografici positivi. Dopo il successo dell’ultimo meeting mondiale del prodotto “islamicamente corretto” che si è svolto a maggio, a Kuala Lumpur (Malaysia), i responsabili del World Halal Forum lanciano la prima edizione europea per esplorare l’impatto e il potenziale di questa industria nel Vecchio Continente, dove il mercato già produce un giro d’affari di quasi 67 miliardi di dollari.
Il Forum europeo si svolgerà il 17-18 novembre all’Aja e sono attesi oltre 300 delegati tra accademici, industriali, scienziati e istituzioni, provenienti da 40 paesi diversi. In Europa vivono quasi 52 milioni di musulmani destinati a raddoppiare nei prossimi 20 anni e questo rende il mercato molto interessante. “In Europa si trova la terza grande concentrazione di musulmani nel mondo, dopo i paesi asiatici e africani. Il numero dei musulmani qui è molto più ampio di quello in Nord America, Australia e America Latina”, ricordano i ricercatori dell’organizzazione KasehDia, fondatrice del World Halal Forum. Inoltre, qui i consumatori, seconde e terze generazioni soprattutto, “hanno una capacità di acquisto nettamente superiore a quella media dei clienti in Medio Oriente e Nord Africa e ciò significa che il potenziale del mercato europeo è grande”.
Un dato, fra i tanti, fa riflettere. Nell’Unione europea (a 15) i fedeli di Allah vivono percentualmente soprattutto in Francia (5,86 milioni, 9,5% della popolazione) che è diventato oggi uno dei principali mercati mondiali di prodotti halal fra i paesi non musulmani (per l’80% qui i consumatori sono giovani con meno di 30 anni). Si parla di un giro di affari di 17,4 miliardi di dollari, ed è stato proprio a Parigi che, nel 2005, ha aperto il primo fast food islamico d’Europa, il Burger King Muslim di Clichy sous Bois. Subito dopo c’è la Germania, con 3,45 milioni di musulmani (4,2% della popolazione), poi il Regno Unito con 1,72 milioni (2,9% della popolazione, qui il giro d’affari dei prodotti halal supera i 4 milioni di dollari). KasehDia fa notare anche che “la merce halal sta diventando mainstream, e non solo per i musulmani. Si tratta di prodotti universali, destinati anche ai non musulmani”.
Ed ecco che nell’Europa islamicamente corretta la casa farmaceutica inglese Boots vende omogeneizzati halal; Principe Healthcare (è un’altra ditta inglese) produce vitamine senza i derivati animali vietati dalla legge del Corano; i giganti europei dei supermarket Carrefour e Group Casino in Francia e Tesco negli UK stanno aggressivamente commercializzando prodotti halal in sezioni separate dei loro negozi; l’Olanda vuole trasformare il Porto di Rotterdam, il terzo più grande al mondo, nel punto di scambio dei prodotti halal destinati al mercato europeo. Qui esiste un Halal DistricPark dove le banchine sono attrezzate con una struttura che rispetta i precetti del Corano nella modalità di stoccaggio delle merci. E infine la Nestlè, leader mondiale nel settore alimentare, ha un islamologo in 75 dei suoi 480 stabilimenti in giro per il mondo (più del 22% delle sue entrate derivano dalla vendita di prodotti halal). In Italia sono i produttori locali a sfruttare il mercato. Il salame halal fatto di carne di pecora prodotto da un’azienda di Sassari, “La Genuina”, è uno dei prodotti premiati quest’anno come moderni e rispondenti alle esigenze dei consumatori nel concorso “Oscar Green” della Coldiretti. Il mercato cresce, insomma. Ancora di più se si considera che halal ormai è un concetto che rappresenta per ogni musulmano un completo stile di vita e che oggi si applica anche alla finanza, ai viaggi, alla tecnologia cellulare e alla moda.