Conflitti tra fazioni: prossima fermata Bahrain
Fabio Amato 31 October 2006

“Le persone sono uguali quanto a dignità umana, e i cittadini sono uguali davanti alla legge nei diritti pubblici e nei doveri. Non c’è discriminazione di sesso, origine, linguaggio, religione o credo”. Bahrain, il Golfo, articolo 18 della Costituzione del 2002. Bene, si potrebbe pensare, alla fine abbiamo trovato un po’ di democrazia in una piccola monarchia costituzionale. Un paese molto piccolo, visto che la sua intera superficie è più piccola del vicino aeroporto King Fahd, in Arabia Saudita. E tuttavia una nazione ricca di petrolio e con un rapido sviluppo.

Nonostante ciò, con la stessa velocità con cui il nuovo Trade center e il Financial Harbour si arrampicano verso il cielo, i cittadini guardano al futuro con crescente paura e disillusione. Una parte, più precisamente la maggioranza sciita, si sente confinata al di fuori dell’economia, dei fondamentali diritti sociali e di qualsiasi opportunità. Cosicché i recenti eventi internazionali, come il conflitto libanese, hanno ridiffuso preoccupazione sulla costante minaccia di proteste, incendi dolosi e conflitti civili.

Infatti, se torniamo agli anni Novanta, il Bahrain ha spesso sofferto per un conflitto che ha causato circa 40 vittime in lotte tra il governo e gli attivisti politici sciiti. Oggi si ripropone quello scenario. Nel 2002 il re Al-Khalifa ha concesso la nuova Costituzione, che stabilisce l’esistenza di un parlamento bicamerale. Da allora i deputati della camera bassa sono eletti dal popolo a suffragio universale, mentre la camera alta è ancora nominata direttamente dal re. Per quanto “democratico” ciò possa sembrare, da allora le cose non sono cambiate. Gli sciiti reclamano case più economiche, la redistribuzione del terreno pubblico, che in gran parte è attribuito alla maggioranza sunnita o alla famiglia reale. Anziché rispondere, la reazione del governo è consistita nel blocco dell’accesso a “Google earth”, le cui immagini satellitari dimostravano la discriminazione a chiunque cercasse sulla rete.

La contraddizione va al di là delle sfide settarie. Da una parte il Bahrain è stretto alleato dell’Arabia Saudita e degli Usa, che aiutano la sua economia sostenendo il business del petrolio. Considerate, per esempio, che il governo ha spostato il weekend da giovedì e venerdì a venerdì e sabato per avere un giorno del fine-settimana condiviso con il resto del mondo. Il cambio è arrivato il primo settembre 2006. Dall’altra parte, l’equilibrio interno è legato alla differenza religiosa come alla democrazia. 

Così il rapporto tra gli sciiti e i sunniti non si basa affatto sul welfare. E non era difficile vedere manifestazioni sciite in favore di Nasrallah dopo il cessate il fuoco libanese. Affrontando la situazione, il governo ha deciso di non accettare alcuna richiesta. Al contrario, il clan di Al-Khalifa continua a sospettare che gli sciiti siano fomentati dall’Iran, mentre cresce la preoccupazione del grande vicino saudita. In effetti, Teheran ha rivendicato ufficialmente la sovranità del Bahrain fino al 1971, quando il Bahrain ottenne l’indipendenza dal Regno Unito, ma Manama crede che Teheran abbia appoggiato almeno un tentativo di golpe negli anni Ottanta. Il governo, nel 1996, sospettava anche che l’Iran stesse mettendo su una filiale di Hezbollah nel paese. Il risultato è che sunniti e sciiti sono oggi profondamente sospettosi l’uno dell’altro, anche tra chi ha i soldi e anche tra chi ne ha tanti, che di solito è meno interessato alla politica. Le ultime decisioni liberali prese dal governo difficilmente riporteranno concordia.

Per di più, il paese si sta avvicinando alle elezioni parlamentari del prossimo novembre. L’opposizione sciita accusa il governo di concedere la cittadinanza agli stranieri che servono nelle forze armate solo per alterare l’equilibrio demografico del paese. Il 6 di ottobre, presentando i suoi candidati alla stampa, Sheikh Ali Salman, leader di Al-Wefaq, il più importante partito sciita, ha chiesto la presenza di osservatori indipendenti locali e internazionali alle prossime elezioni, aggiungendo di temere che il sistema di voto elettronico proposto dal governo potrebbe essere usato per manipolare i risultati. Lo stesso giorno un altro partito politico, il Nub, ha mostrato i suoi otto candidati, uomini e donne, e ha chiesto che le riforme costituzionali e il potere legislativo ricadano tutte nelle prerogative del parlamento.

Nonostante queste campagne, il potere è ancora pienamente nelle mani del clan del re, e il fondamentalismo sciita cresce insieme alla disillusione. Ancora nel maggio 2005, l’associazione no-profit “International Crisis Group” ha stilato un documento che mostra allarme sul bilancio politico del Bahrain. “Il controllo della leadership moderata sciita su più questioni interne alla comunità – vi si legge – sta mostrando segni di debolezza. Mentre alcuni membri dell’opposizione chiedono la riconciliazione, altri domandano un più chiaro regolamento di conti. Mentre procede questa pericolosa dinamica, il governo e i moderati dell’opposizione potrebbero perdere la loro tenue presa sulla situazione. Entrambi hanno bisogno di agire velocemente per evitare che ciò accada”.

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