La rassegna, prima nel suo genere in Europa, inaugurata nel 2001 e diretta intelligentemente da Selvaggia Velo, oltre a presentare attori del calibro di Irfan Khan, interprete, tra l’altro, del film Vita di Pi e di alcuni episodi della serie americana di In Treatment, ha deditato una specifica sezione alle Online Stories, cioè a tre mediometraggi dove si racconta di persone che agiscono attraverso Internet. Sui temi sollevati da questa sezione Reset-Doc ha intervistato Marco Restelli.
Esistono più globalizzazioni nel mondo oltre a quella USA?
L’Italia è geo-politicamente nella sfera americana e ciò provoca degli strabismi culturali. Proprio per questo il nostro paese tende a pensare che la globalizzazione è un’occidentalizzazione del mondo di tipo statunitense, ma questo è assolutamente falso, nel senso che non esiste un appiattimento su un’unica cultura. Quando parlo di globalizzazione non intendo solo circolazione delle merci e degli uomini, ma anche delle culture, dei costumi, dei comportamenti, quindi di nuove geografie delle relazioni culturali e tra i generi e di nuovi segni nell’inconscio collettivo.
Cosa si intende per globalizzazione indiana?
I segni di riferimento a livello di produzione culturale non sono più di marca unicamente americana, perché per esempio il cinema indiano, genericamente indicato con il termine di Bollywood, nel mondo è più visto di quello statunitense. Nel 2012 nel mondo i film indiani hanno venduto in un anno quattro miliardi di biglietti, mentre il cinema americano sempre nel pianeta in un anno ne ha venduti tre. Hollywood è più ricca solo perché i biglietti nelle aree in cui è visto costano di più. Il cinema indiano è più visto perché è diffuso non solo in India e in buona parte dell’Asia, ma anche in Medio Oriente e in buona parte dell’Africa. I film indiani sono anche visti in una parte degli Stati Uniti e dell’Europa: l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo che non li importa, per questo non si rende conto di come essi stiano fortemente influenzando i comportamenti e i costumi di tutto il pianeta, e che siano la punta di diamante della globalizzazione di tipo indiano.
Esiste anche una globalizzazione cinese?
C’è anche una globalizzazione di stampo cinese perché basta andare in paesi come la Birmania o come tutta l’Indocina, ovunque insomma ci sia una comunità cinese all’estero, per rendersi conto di quanto sia significativa l’influenza cinese dal punto di vista del costume e della cultura (quanto poi sia importante la Cina sul piano economico è cosa nota a tutti).
Si può parlare anche di globalizzazioni a macchia di leopardo?
Si può parlare anche di globalizzazioni a macchia di leopardo perché la loro diffusione non è omogenea. L’India è un esempio perfetto, perché ha delle aree altamente sviluppate sul piano economico e culturale, dove le nuove tecnologie sono il pane quotidiano, e ha anche delle aree agricole ad alto tasso di analfabetismo e dove c’è ancora gente che ara i campi con l’aratro di legno. Non va poi dimenticato che il 40% degli indiani vive ai livelli di sussistenza, e che nelle campagne il matrimonio combinato è la norma. La scrittrice indiana Arundhati Roy, autrice del romanzo “Il Dio delle piccole cose”, ha scritto: “L’India è così grande che le sue diverse parti vivono in secoli diversi”.
In questo quadro si innesta la modernizzazione, che agisce da potente fattore di cambiamento per quanto riguarda le caste…
Nella società indiana tradizionale i valori erano determinati dall’appartenenza castale, e le caste sono una struttura gerarchica che va dalla purezza all’impurità. Esse non vanno confuse con le classi sociali perché si può essere di casta bassa ed essere ricchi o di casta alta e poveri. Sotto a tutte ci sono le categorie degli intoccabili considerate tali perché storicamente avevano a che fare con la morte e con tutto ciò che era impuro. La gerarchia castale è stata ben studiata nella sua struttura dall’antropologo Louis Dumont nel suo Homo Hierarchicus; in essa si poteva individuare un sistema con una bassissima mobilità sociale. Ognuno infatti in questa gerarchia aveva un posto ben definito, e siccome questo era in accordo con l’ordine del mondo, non c’era molta ragione di avere mobilità sociale. Viceversa la modernizzazione ha portato quest’ultima nei contesti urbani, e il cinema è stato lo specchio di essa, fatto che ha portato anche alla condanna dell’intoccabilità e, nei contesti urbani più avanzati, all’impraticabilità dell’intoccabilità (come si fa a non toccare un intoccabile in un metrò?) e il cinema è un esempio di tutto questo perché veicola valori di unità nazionale e sociale e quindi contrari all’esclusione sociale.
In questo contesto, dove agisce potentemente il cinema, si inseriscono anche le nuove tecnologie. In che senso queste sono fattori di cambiamento, a livello delle caste?
Il cinema, ma soprattutto i nuovi media, sono specchio e nello stesso tempo motore del cambiamento, in un circolo virtuoso. Il processo di accelerazione della società indiana rispecchiato e a sua volta causato dal cinema subisce una spinta fortissima a causa dei new media, perché questi abbattono gli steccati tra le caste. Se infatti due ragazzi videochattano non ha più molta importanza a che casta appartengano, entrano in un tipo di relazione in cui i genitori non hanno il controllo e non c’è un controllo sociale.
In che modo la generazione 2.0 cambia nei rapporti di genere?
Quanto detto ha una grande rilevanza nelle questioni di genere. Nella prima Online Story proiettata, “Hank and Asha”, si vedono due ragazzi, uno americano che vive a New York, e una ragazza indiana che vive a Praga per seguire un corso di cinematografia, che videochattano. Sempre in videochat prima entrano in amicizia, poi lui vorrebbe incontrarla e entrare in relazione più intima con lei, ma lei invece cede alla costrizione sociale perché baratta con suo padre la possibilità di rimanere un anno in più a studiare a Praga con un matrimonio combinato. In questo caso quindi la relazione che stava sbocciando attraverso i new media ha una conclusione tradizionalista e quindi negativa, ma ci sono casi molto diversi…
Esistono anche gli annunci sui giornali per fare i matrimoni combinati…
La jati (casta) è come una corporazione professionale al cui interno ci si sposa, e al cui interno vengono condivisi riti e costumi, è un piccolo mondo chiuso. Gli annunci sui giornali per i matrimoni combinati rispecchiano questo fatto, esistono da tanto tempo e sono del tipo: “Cercasi giovane di bell’aspetto, di questa casta, di questa regione, di questa lingua”, ecc.. La novità attuale è che le classi urbane medio – alte propongono, non impongono al giovane o alla fanciulla un candidato, che può essere rifiutato. Di tutto questo il cinema indiano è specchio, in quanto si vedono anche i cambiamenti, si osserva anche la tensione tra matrimonio combinato e matrimonio d’amore, con una molto maggiore tensione verso il matrimonio d’amore…
Questo avviene dopo la liberalizzazione o quando si diffondono i social network?
Il matrimonio d’amore è il classico sogno del cinema di Bollywood da prima dei social network, ma tutto questo ha un’accelerazione grazie ad essi perché su questi si può conoscere chi si vuole senza il controllo famigliare.
Questo si interseca con i social network? Cosa succede se la ragazza incontra un ragazzo in rete? Sceglie quello?
Si entra in conflitto, nel senso che quando un giovane conosce un possibile partner sui social network e lo propone alla famiglia, se è liberale dice sì, ma se questo appartiene a una casta, o a una religione, o a un ceppo etnolinguistico sgradito alla famiglia, questa dice no. Allora lì c’è il classico conflitto intergenerazionale per cui c’è chi cede alla famiglia e chi no.
Quando cominciano a comparire nel cinema indiano le storie legate ai social network?
Il conflitto castale all’interno della storia d’amore c’è sempre stato, ma legato ai social media comincia a farsi vedere in modo molto evidente negli ultimi quindici anni.
I social riflettono anche i rapporti tra uomini e donne al di là di quello intercastale?
Sì. In un’altra Online Story proiettata al festival, “Diary of an Overly Reactive Middle Aged Teenager”, si parla di una giovane donna che si comporta come una teenager pur non essendolo più, che ottiene dai genitori il permesso di andare a Mumbai per tre mesi per provare la strada del cinema. All’inizio è tutta entusiasta, posta video pieni di smorfie, di urletti di entusiasmo, dopo però si scontra con la dura realtà, nel senso che fa un video musicale che piace un po’ a tutti tranne che al suo fidanzato. Nel video successivo che lei posta raccontandosi la si vede infatti con una guancia tumefatta, perché il suo ragazzo ha visto il video, l’ha giudicato volgare e l’ha picchiata, cosa che causa la fine della sua storia con lui. Qui si vede appunto la prima contraddizione: i maschi indiani sono disposti a sognare le sexy girl del mondo del cinema, ad ammettere che a qualsiasi donna sia offerta la possibilità di fare film purché non sia la sorella e la fidanzata. La seconda realtà contro cui va a sbattere questa ragazza che decide di farsi forza, nonostante questa delusione, è che a un certo punto le dicono “Sì, piaci molto, e c’è una parte importante per te in un film, ma devi andare a letto con il regista.” Lei pensa seriamente a questa proposta, perché si tratta di una volta sola e non lo saprà nessuno, ma alla fine dice no, perché pensa: “Lo saprò io”. Quindi lascia Mumbai, torna dai suoi genitori, però dopo aver fatto una cosa che ha vinto un premio. Non torna quindi da sconfitta, ma torna arricchita, cambiata, non più una teenager ma una donna.