Nell’Inferno di Dante
Jean-Marc Lévy-Leblond 6 November 2009

Questo articolo è tratto dall’ultimo numero di Oxygen, la rivista di ENEL

Nel 1587 un giovane erudito di belle speranze, di nome Galileo Galilei, teneva Due lezioni all’Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante (1). Questo serissimo lavoro è in realtà un saggio di esegesi letteraria commissionato a Galileo in virtù della sua incipiente notorietà. Il giovane colse l’occasione per vedere riconosciute le proprie competenze matematiche: eccellente operazione promozionale per un ambizioso di ventiquattro anni che avrebbe presto ottenuto la cattedra di matematica presso l’Università di Pisa. Dopo avere pubblicato le prime opere scientifiche (De Motu e La bilancetta), Galileo vuole mostrare che la fisica matematica non consiste soltanto di calcoli efficaci dal punto di vista tecnico, ma può dare un contributo ai dibattiti culturali più nobili, acquisendo così uno statuto intellettuale paragonabile a quello delle materie umanistiche classiche (2).

Infatti gli accademici fiorentini chiedono a Galileo di risolvere una controversia letteraria riguardo l’interpretazione dell’Inferno di Dante. Nel 1506 era stata pubblicata una descrizione, firmata dal fiorentino Antonio Manetti, della geografia e della geometria dell’Inferno così come erano state descritte da Dante (in modo spesso oscuro). Si trattava in particolare di valutare l’attendibilità delle rappresentazioni figurative proposte da Botticelli negli anni novanta del Quattrocento in una sontuosa edizione illustrata che seguiva i primi schizzi di Giuliano da Sangallo. Le illustrazioni si basavano su dimensioni in cifre esplicite tratte dal testo di Dante attraverso calcoli complessi e che, per i circoli intellettuali di un’epoca per la quale La Divina Commedia costituiva un punto di riferimento fondamentale, dovevano essere accuratamente stabilite. Ma nel 1544 Alessandro Velutello, di Lucca, città rivale di Firenze, pubblicò una critica severa all’opera di Manetti e propose una descrizione molto diversa dell’Inferno. Galileo fu chiamato a dirimere la questione dibattuta; lo fece, in modo alquanto prevedibile, in favore del fiorentino Manetti.

Ovviamente né all’inizio del XV secolo per Manetti e Velutello e i loro lettori, né alla fine dello stesso secolo per Galileo e i suoi ascoltatori, si trattava in alcun modo di prendere sul serio la descrizione di Dante dal punto di vista teologico. L’importanza della Divina Commedia nell’ambito della cultura toscana rendeva evidente la necessità di commentarla e di comprenderla in tutti i suoi aspetti – compresi quelli topografici – in modo da renderne più agevole la complessa lettura (3). Galileo sceglie con cura e commenta i versi di Dante chiamati in causa, cominciando con il confermare la descrizione di Manetti: l’Inferno è una cavità conica il cui vertice si trova al centro della Terra, e il cui asse, a livello della superficie, è posto in corrispondenza di Gerusalemme (ovviamente…); il cerchio che ne è alla base ha un diametro uguale al raggio della Terra (4), e ciò equivale a dire che, in una sezione centrale della Terra che passa per l’asse del cono, il settore infernale occupa un sesto dell’area del disco. Qualcuno, non ferrato in geometria tridimensionale, potrebbe dunque pensare che la medesima proporzione valga per i volumi. A questo punto Galileo chiama in causa le proprie conoscenze:

Ma volendo sapere la sua grandezza rispetto a tutto l’aggregato dell’acqua e della terra, non doviamo già seguitare la opinione di alcuno che dell’Inferno abbia scritto, stimandolo occupare la sesta parte dello aggregato; però che, facendone il conto secondo le cose dimostrate da Archimede ne i libri Della sfera e del cilindro, troveremo che il vano dell’Inferno occupa qualcosa meno di una delle 14 parti di tutto l’aggregato: dico quando bene tal vano si estendessi sino alla superficie della terra, il che non fa; anzi rimane la sboccatura coperta da una grandissima volta della terra, nel cui colmo è Jerusalem, ed è grossa quanto è l’ottava parte del semidiametro.

I trattati di Archimede erano molto poco noti, allora, e facevano parte dei testi matematici eruditi che i commentatori precedenti di Dante, letterati puri, non potevano conoscere. È interessante verificare rapidamente le stime di Galileo con l’aiuto delle espressioni algebriche che oggi abbiamo a disposizione (che però continuano a essere di livello universitario (5)). Galileo, nel commento proposto, non si presenta solo come matematico e chiama in causa anche le proprie conoscenze fisiche. A questo titolo pronuncerà una critica volta a stroncare i commenti di Velutello. Quest’ultimo, in effetti, concepiva i gradini successivi dell’Inferno come porzioni di un cilindro con le pareti parallele all’asse comune. Galileo fa giustamente notare che tali pareti non sono affatto verticali, poiché, per essere tali, dovrebbero essere generate da un raggio che passa al centro della Terra: in due punti distanti, le direzioni delle verticali locali non sono parallele ma convergenti. Così, le falesie che delimitano tali gradini cilindrici sono di fatto oblique rispetto alla verticale e con uno strapiombo pronunciato, dunque assolutamente instabili.

Ponendo [Velutello] che il burrato si alzi su con le sponde equidistanti tra di loro, si troveranno le parti superiori prive di sostegno che le regga, il che essendo, indubitatamente rovineranno: perciò che essendo che le cose gravi, cadendo, vanno per una linea che dirittamente al centro le conduce, se in essa linea non trovano chi le impedisca e sostenga, rovinano e caggiono.

Sicché Galileo aveva già in mente il problema della caduta dei corpi anche quando leggeva Dante! In realtà, ironicamente, la critica di Galileo è invalidata dagli sviluppi successivi della fisica. In effetti, la teoria della gravitazione di Newton dimostra che l’accelerazione di gravità è diretta verso il centro della Terra soltanto nel caso in cui quest’ultima sia una sfera piena (o, comunque, presenti una simmetria sferica). L’esistenza di una cavità eccentrica di proporzioni notevoli, come l’Inferno dantesco, modifica considerevolmente il campo di gravitazione interna. Il calcolo che Galileo, come è ovvio, non poteva effettuare, mostra quindi che l’ipotesi ingenua di Velutello è più vicina alla realtà di quanto non lo sia la teoria di Galileo…(6) Infine, Galileo chiama in causa la resistenza dei materiali, come sperimentatore, per rispondere alle obiezioni sollevate contro l’esistenza della volta che copre l’Inferno:

Sì come alcuni hanno sospettato, non par possibile che la volta che l’Inferno ricuopre, rimanendo sì sottile quant’è di necessità se l’Inferno tanto si alza, si possa reggere, e non precipiti […], oltre al rimanere non più grossa dell’ottava parte del semidiametro […]. Al che facilmente si risponde, che tal grossezza è suffizientissima: perciò che, presa una volta piccola, fabricata con quella ragione, se arà di arco 30 braccia, gli rimarranno per la grossezza braccia 4 in circa, la quale non solo è bastante, ma quando a 30 braccia di arco se gli desse un sol braccio, e forse 1/2, non che 4, basteria a sostenersi.

Il paragone tra la calotta dell’Inferno e una volta in muratura utilizzato da Galileo rimanda senza alcun dubbio ai rapporti tra la struttura dell’Inferno di Dante e l’architettura della celebre cupola del Duomo di Firenze progettata da Brunelleschi, che ebbe un ruolo emblematico nel Rinascimento (7). Ma se questa analogia ha un senso culturale profondo, il suo valore scientifico è nullo: una volta gigantesca come quella dell’Inferno, se avesse le medesime proporzioni geometriche di una piccola volta in muratura, non sarebbe di certo altrettanto solida. Alla luce delle concezioni moderne sull’accelerazione di gravità e la resistenza dei materiali, la copertura dell’Inferno sarebbe ineluttabilmente destinata a crollare. Infatti, la resistenza di una volta aumenta come l’area della sua sezione mentre il suo peso varia in rapporto al suo volume. Se tutte le dimensioni sono moltiplicate per un medesimo fattore di scala, per esempio 10, il peso sarà moltiplicato per 1.000, ma la resistenza al crollo soltanto per 100; sarebbe, in proporzione, 10 volte più fragile. Dunque esiste necessariamente un limite alla solidità di una struttura ottenuta attraverso il semplice cambiamento di scala a partire da una struttura solida più piccola (8). E nel caso della volta dell’Inferno paragonata alla piccola volta in muratura presa in considerazione da Galileo, in cui il fattore di scala è di più centinaia di migliaia, il limite è ovviamente superato, e di molto. Ma questo tipo di argomentazione è stato dimostrato e sviluppato… da Galileo stesso, nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (9).

Qui arriviamo a un nodo cruciale per quanto riguarda le Lezioni e il loro ruolo nello sviluppo del pensiero di Galileo. In effetti è decisamente verosimile che lo scienziato abbia presto compreso il proprio errore di ragionamento, derivato da una concezione puramente geometrica, che non tiene conto delle leggi di scala riguardanti le proprietà fisiche della materia. E la presa di coscienza di questo errore sarebbe stata all’origine dei suoi lavori sulla resistenza dei materiali, esposti nei Discorsi. Questa tesi, proposta da Mark Paterson (10), si basa su argomentazioni serie. Il fatto che Galileo abbia inteso molto presto il carattere fallace dei cambiamenti di scala considerati nelle Lezioni sull’Inferno spiegherebbe in particolare la discrezione, per non dire la reticenza, dimostrata quasi immediatamente riguardo a tale lavoro. Lo scienziato ha sicuramente riservato a tali questioni riflessioni intense tra il 1590 e il 1600. Si può anche avanzare la congettura che Galileo, nel comprendere il proprio errore, abbia subito un vero e proprio choc psicologico, di cui si trova eco nei Discorsi:

Sagredo: Io già mi sento rivolgere il cervello, e, quasi nugola dal baleno repentinamente aperta, ingombrarmisi la mente da momentanea ed insolita luce, che da lontano mi accenna e subito confonde ed asconde imaginazioni straniere ed indigeste. E da quanto ella ha detto parmi che dovrebbe seguire che fusse impossibil cosa costruire due fabbriche dell’istessa materia simili e diseguali, e tra di loro con egual proporzione resistenti.

Queste righe costituiscono una confutazione esplicita dell’argomento presente nelle Lezioni, in cui si assimila la cupola dell’Inferno a una piccola volta in muratura. Lo stesso argomento invalida il pittoresco passaggio delle Lezioni in cui Galileo tenta di stimare per omotetia l’altezza di Lucifero (il risultato è 2000 braccia). Si ha quindi ragione di credere che Galileo abbia compreso rapidamente il proprio errore. Di fatto, se i Discorsi sono stati pubblicati soltanto nel 1638, i materiali che l’opera raccoglie erano pronti prima del 1610, momento in cui Galileo si dedica alle osservazioni astronomiche e pubblica la prima opera importante, il Sidereus Nuncius. È dunque lecito considerare le Lezioni sull’Inferno come il crogiolo da cui prende il via il lavoro fondamentale di Galileo sviluppato nei Discorsi.

Jean-Marc Lévy-Leblond è professore di fisica e filosofia presso l’Università di Nizza.

Note

1) G. Galilei, Due lezioni all’Accademia Fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante, in Le opere di Galileo Galilei, a cura di A. Favaro, vol. IX, 29-57, Barbera, Firenze 1968. L’opera è stata recentemente tradotta in francese: Galilée, Leçons sur l’Enfer de Dante, Fayard, Parigi 2008, traduzione e prefazione di Lucette Degryse, postfazione di Jean-Marc Lévy-Leblond.
2) Per inquadrare il contesto del lavoro di Galileo si veda l’introduzione di Lucette Degryse alla traduzione francese dell’opera, op. cit. Si vedano anche Th.B. Settle, Experimental Sense in Galileo’s Early Work and its Likely Sources, in Largo campo di filosofare, Proceedings Eurosymposium Galileo 2001, Fundación Canaria Orotava de Historia de la Ciencia, La Orotava, Tenerife 2002; Th.B. Settle, Dante, the Inferno and Galileo, di prossima pubblicazione.
3) Le mappe e le misure dell’Inferno e la loro iconografia costituiscono un argomento dell’esegesi letteraria dell’opera dantesca; si vedano G. Agnelli, Topo-cronografia del Viaggio dantesco, Hoepli, Milano 1891; S. Orlando, Geografia dell’Oltretomba dantesco, in Guida alla Commedia, Bompiani, Milano 1993.
4) Questa disposizione fa sì che gli accessi più comodi agli inferi siano situati su questo cerchio (nel punto in cui lo spessore della volta si riduce a zero). Si vede che (imbrogliando un po’ sul valore del raggio terrestre), questo cerchio passa non lontano dagli ingressi all’Inferno ben noti in epoca antica (in Grecia, in Sicilia e in Campania). Si veda A. Nadaud, Aux portes des Enfers, Actes Sud, Arles 2004.
5) Si veda J.-M. Lévy-Leblond, Appendice I alla postfazione dell’edizione francese, op. cit., pp. 167-168.
6) Si veda J.-M. Lévy-Leblond, Appendice I alla postfazione dell’edizione francese, op. cit., pp. 170-173.
7) Si veda S. Toussaint, De l’Enfer à la Coupole. Dante, Brunelleschi et Ficin A propos des “Codici Caetani di Dante”, L’Erma di Bretschneider, Roma 1997. Qui si può notare come Manetti, che Galileo difende nelle Lezioni, sia stato anche il biografo di Brunelleschi.
8) Si veda J.-M. Lévy-Leblond, Appendice III alla postfazione dell’edizione francese, op. cit., pp. 174-175.
9) G. Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, in Le opere di Galileo Galilei, a cura di A. Favaro, vol. VIII, Barbera, Firenze 1968.
10) M.A. Peterson, Galileo’s Discovery of Scaling Laws, in “American Journal of Physics”, 70, 575, 2002.

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