Milano
I ‘muri’ di oggi, a distanza di vent’anni dal crollo di quello di Berlino, non sono meno drammatici, per i loro effetti sulla vita degli esseri umani, rispetto a quelli del passato. Anzi, per alcuni aspetti, date le loro caratteristiche immateriali e mobili, presentano risvolti talvolta più inquietanti. E soprattutto mettono a rischio stabilità e sicurezza del progetto europeo: si tratta sia di muri interni all’Unione sia di barriere esterne, a ridosso dei confini del Vecchio Continente oppure poco più lontano.
Di questo hanno discusso presso la sede dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), martedì 27 ottobre a Milano, Gianfranco Pasquino, docente universitario di Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Bologna, Sergio Romano, editorialista del Corriere della Sera, e Ennio Remondino, corrispondente Rai in Turchia, coordinati dal direttore della Rappresentanza della Commissione Europea nel capoluogo lombardo, Carlo Corazza. Spunto iniziale di stimolo al dibattito – organizzato in collaborazione con East e Fondazione Alcide De Gasperi – la proiezione di due filmati Rai riguardanti il Muro di Berlino, rispettivamente risalenti al 1962 e al 1989, anno della caduta. Non storia remota, ma patrimonio recente dei cittadini tedeschi ed europei.
“Non ci dimentichiamo che ci sono ancora paesi che isolano i propri cittadini con muri rigorosi, che non permettono loro di avere accesso alle comunicazioni, come nel caso della Birmania Myanmar, il cui impoverimento è simbolo dell’isolamento – esordisce Pasquino, evidenziando l’estrema attualità del tema ai giorni nostri – Prima ancora del crollo del muro di Berlino, ricordiamo ora tutto quello che era successo. La crisi del comunismo. Il messaggio potentissimo veicolato dalle tv occidentali, captate anche al di là della cortina: segnalavano l’esistenza di società libere di muoversi, ancor più che ricche economicamente”. Ecco il potere dell’informazione nel processo di sgretolamento dei muri.
E nel rievocare il processo di erosione di quello tedesco – “Tutto accadde all’interno del pensiero occidentale” – il politologo non nasconde il proprio allarme per i muri religiosi, a suo giudizio “più difficili da fare cadere”: “Dio ha sempre ragione. Mi preoccupano gli interpreti di Dio, che pretendono di dire quando Dio ha ragione”, commenta Pasquino proponendo per l’Europa unita il riconoscimento di radici complesse e articolate, stratificate nei secoli: radici giudaico-cristiane, ellenistiche, illuministiche. Il tutto nella consapevolezza che, alla base dell’idea di Europa, vi è da sempre quella di “apertura”, finalizzata a superare i nazionalismi.
Esperto di questioni balcaniche, da lui seguite come reporter sul campo, Ennio Remondino preferisce al concetto di religione come muro quello di “religione quale bandiera”, strumentalizzata per celare interessi nazionalistici. E individua tutti i segnali di tensioni ancora incandescenti sotto le ceneri balcaniche: “In realtà, penso che il film dei Balcani – interviene il giornalista in collegamento telefonico – non sia finito” e, dopo le ‘puntate’ Serbo-croata-bosniaca e Slavo-albanese in Kosovo, denuncia l’inefficacia della missione Eulex. Di più, “da piccolo lettore questi segnali mi preoccupano fortemente”, conclude.
Ma è possibile parlare dell’esistenza di un muro europeo nei confronti della Turchia? Risponde Remondino: “Io credo che l’accesso all’Ue non sia più un’immagine salvifica per i paesi esterni. Ormai non credo che nei Balcani qualcuno ci creda più. I problemi del passato non sono risolti”. Tuttavia, “la sensazione della borghesia intellettuale turca è quella di un torto subito”: l’Ue si è dissanguata per allargarsi a paesi economicamente non preparati e ora è la Turchia, riferimento anti-sovietico e membro della Nato, a pagarne le conseguenze. Ecco come un muro possa ergersi su fondamenta miste, solo parzialmente religiose – secondo il fronte del no all’ingresso turco, 80 milioni di musulmani in Europa ne azzererebbero le tradizioni giudaico-cristiane – ma soprattutto economico-politiche.
Non sempre, comunque, il crollo di un muro ha conseguenze positive, sostiene in tono provocatorio Sergio Romano, allargando la prospettiva storica del dibattito: “Il crollo del muro di Berlino è stato anche una delle grandi catastrofi del XX secolo, ha causato il riemergere delle singole identità nazionalistiche”, con le ben note conseguenze in Jugoslavia e nelle ex repubbliche sovietiche, fino ai giorni nostri. E la connotazione religiosa che hanno assunto – “in un secondo momento, io ritengo” – i diversi fronti. A questo si aggiunga “la modernità – ha proseguito Romano – che sta rimettendo in discussione tutti i fondamenti delle diverse Chiese”. “Non sempre i muri che cascano fanno bene a cascare – riflette Sergio Romano a proposito di quello di Berlino – e quello della Germania dell’Est non era uno Stato del tutto artificioso”.
Non sfuggono all’analisi dei relatori altri muri più recenti, elencati dall’editorialista del Corriere della Sera, tutti di natura ideologica ed eretti da George W. Bush e dal suo vice Dick Cheney: quello con la Russia, ora rivisto dall’amministrazione Obama; quello anti-Cina, poi ammorbidito per ragioni economico-finanziarie; e quello mediorientale, “che ha generato una situazione irrisolvibile per la quale Obama non ha ricette”, osserva con amara lucidità l’ex ambasciatore. Rispetto al muro mediorientale e al fenomeno del terrorismo suicidiario, Pasquino non crede alle motivazioni economiche come causa scatenante, privilegiando una spiegazione di tipo religioso-culturale: il kamikaze mediorientale sarebbe “il prodotto di una tensione fra modernità e tradizione”, di una reazione violenta a un cambiamento sociale non accettato.
E sembra proprio il muro di metallo e cemento, costruito dalle autorità israeliane in territorio palestinese, ad aver ereditato lo scettro lugubre di quello berlinese, capace di spaccare le coscienze e accendere la riflessione dei relatori e del pubblico. Seguito da quello di acqua che divide il Mediterraneo settentrionale da quello meridionale, o meglio, come riflettono gli astanti in conclusione, “separa chi ha diritti da chi non ne ha”.
E proprio di esasperate divisioni, di assenza di equilibri e di prospettive future hanno discusso il 28 ottobre sempre nel capoluogo lombardo, Ernesto Galli Della Loggia, editorialista del Corriere della Sera, Antonio Polito, direttore de Il Riformista, e Oscar Fulvio Giannino, giornalista e scrittore. A coordinare l’appuntamento “Due ore con”, sponsorizzato da Enel, il giornalista Alberto Mingardi. Due ore di dibattito, segnato nei toni dalla nefasta congiuntura economica, durante i quali i relatori non hanno mai utilizzato il termine muro, così come hanno solo marginalmente rievocato la riunificazione delle due Germanie, secondo Giannino “fatta pagare a tutti noi europei”. Eppure l’Italia descritta dagli astanti è una nazione spaccata da barriere interne, negli ultimi quindici anni diventate più marcate.
L’immagine del muro è più che mai presente sulla scena sociale, economica e politica. I muri italiani sono svariati: quello fra Nord e Sud, economico-sociale. Quello ideologico, fra berlusconismo e anti-berlusconismo, risultato di una semplificazione dei contenuti politici senza precedenti. E quello fra cittadini di serie A e di serie B, i nuovi poveri e gli immigrati. E così via. A margine dell’incontro, incentrato sui Nuovi scenari italiani ed europei, Antonio Polito ha commentato a ResetDoc: “Sì, credo che in questi vent’anni dalla caduta del muro di Berlino si siano accentuate delle divisioni anche in Italia, io parlerei innanzitutto di bipolarismo tribale. C’erano già dei muri, ma il crollo di quello tedesco, a pensarci ora a distanza di anni, avrebbe potuto aprire la discussione per il loro superamento nel nostro Paese. Non è andata così”.