Il rapimento delle studentesse in Nigeria da parte del cosiddetto “Boko Haram” costituisce un atto di tortura e terrorismo contro delle anime innocenti. Nell’Islam, così come nelle altre religioni, il provocare traumi a dei bambini è considerato una manifestazione di malvagità. Non differisce dal “Wa’ed” (il “seppellire vive le neonate”) che viene “Haram” (“proibito”) nel Corano: “e quando verrà chiesto alla bambina [che è stata] sepolta viva per quale colpa sia stata uccisa?” (Corano, 81:8 e 81:9).
Il problema del Boko Haram e dei gruppi suoi affini è che essi contravvengono a qualsiasi norma umana. Vogliono imporre la loro immagine di un “Dio iracondo” su quelle di un “Dio umano” che rappresentano invece il naturale sviluppo dell’interazione tra l’umanità e la dimensione del sacro. Questo “Dio benevolo” non rientra nella loro concezione dell’autorità. La mentalità a cui uniformano la propria esistenza e il proprio approccio all’ambiente circostante è una mentalità fondata sull’idea di un Dio superiore. Ciò implica un’interpretazione diversa e obsoleta del concetto di divinità.
Nel Corano, tutte le Sura (tranne una) iniziano con la Basmala. Ogni azione umana dovrebbe partire da lì. Intraprendere ogni nostro gesto prendendo le mosse da “Nel nome di Dio, Clemente, Misericordioso” vuol dire riconoscere le basi dell’agire umano nei confronti di qualsivoglia aspetto dell’esistenza. Clemenza e Misericordia sono i pilastri fondamentali della vita sulla Terra.
Le azioni di Boko Haram vanno contro sia alla Clemenza che alla Misericordia. A un livello più profondo di comprensione di tali gesti, si potrebbe affermare che tali gruppi si conformano a un’immagine distorta di Dio e di loro stessi. “Dominio”, “totalitarismo”, “monopolio della verità” e “rappresentanti di Dio sulla Terra” sono tutti concetti in disuso che pertengono a una vecchia era dell’interazione tra Cielo e Terra. Tornare a quell’epoca sottolinea come chi si uniforma a tali concetti stia in realtà dandosi da fare per attivare gli immaginari di cui ha bisogno per servire i propri interessi.
Nell’Islam, venerare Dio è associato alla pace, che sia pace della mente o del corpo. Recita il Corano: “Che adorino il Signore di questa Casa (la Kaaba), Colui che li ha nutriti, [salvandoli] dalla fame e li ha messi al riparo, [preservandoli] da ogni timore” (Corano, 106:3 e 106:4).
Per me, da musulmano appartenente a una ricca cultura di eredità arabe, ebraiche, cristiane e islamiche, terrorizzare delle anime umane è un atto che va contro Dio. Abusare dell’immagine e del significato di “Allah” misericordioso va contro l’Islam, specie quando a farlo è qualcuno che sostiene di essere legato all’Islam, in un modo o nell’altro. Mi sciocca sempre quando a elementari e fondamentali principi umani e religiosi vengono attribuite interpretazioni erronee al solo scopo di ottenerne un ritorno in termini di potere. Il vero significato del concetto di potere nell’Islam è quello di misericordia e amore.
Dice negli Hadit il Profeta Maometto: “Tutto ciò che possiede il musulmano è inviolabile (Haram) per un altro musulmano: il suo sangue, i suoi beni e il suo onore”. È molto strano che ancora nel nostro Ventunesimo secolo un’attività intellettuale (come il leggere libri) possa essere ritenuta Haram (proibita) mentre il traumatizzare e terrorizzare la gente e in particolare i minori non lo è.
La sfida per i musulmani, però, è quella di capire come convincere davvero il mondo del fatto che l’Islam è una religione d’amore e di pace; sarebbe necessario che i musulmani rivedessero l’identità collettiva che stanno comunicando al prossimo. Un primo passo in questa direzione è quello di veicolare tali significati attraverso attive espressioni di identità. Le sole parole non bastano. C’è bisogno di azioni se vogliamo che il mondo davvero comprenda l’essenza dell’Islam.
Con questo non voglio dire che i musulmani siano gli unici da biasimare per questo gigantesco malinteso a livello globale. Ma è loro dovere trasmettere nei vari contesti mondiali il vero messaggio dell’Islam attraverso strumenti appropriati e pratici. Ed è anche dovere dei non musulmani comprendere la situazione complessiva prima di arrivare a conclusioni affrettate. Forse in questo senso aiuterebbe da parte delle autorità musulmane un’autoammissione del sussistere di una crisi di identità che va affrontata. Rivedere il proprio approccio fondamentale alla vita moderna, con i fatti e non a parole, rappresenta un passaggio cruciale per il raggiungimento di tale obiettivo.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato il 15 maggio 2014, sul sito della CNN.
La traduzione dall’inglese è di Chiara Rizzo.
Marwan Al Husayni è uno scrittore e attivista per il dialogo interculturale di origine giordana. Da oltre vent’anni si dedica all’approfondimento dei più svariati aspetti di interconnessione tra le culture in rapporto ai media, alle arti, alla letteratura, allo sviluppo umano e al dialogo interreligioso. Quelle espresse in questo editoriale sono esclusivamente opinioni personali dell’autore.