Berlino capitale mondiale dell’ateismo moderno. Non è unicamente la definizione che il sociologo americano Peter L. Berger diede di una città in cui oltre il 65% dei cittadini afferma di non appartenere a nessuna religione. Berlino non si è smentita neanche nei fatti. Il 26 aprile scorso ha detto no al Referendum ‘Pro Reli’, che proponeva di introdurre nelle classi tra i 12 e i 16 anni corsi di religione obbligatori che, se fossero stati introdotti, avrebbero avuto lo stesso statuto (ed effetto) dei corsi di etica secolare introdotti nel 2006.
Una sconfitta innanzitutto politica per la CDU (partito di Angela Merkel) e le Chiese di Germania (cattolica e protestante) che hanno fatto campagna apertamente in favore del campo dei ‘Pro Reli’. Dopo uno striminzito 14,1% di voti a favore (che non ha permesso il raggiungimento del quorum), ha invece tirato un sospiro di sollievo il comitato ‘Pro Ethik’, capeggiato dal socialdemocratico Klaus Wowereit (SPD), oggi additato come eroe del laicismo germanico. Ma la battaglia non è stata solo ‘frontale’ tra i due schieramenti, ma anche trasversale, dato che nella mischia si sono trovati coinvolti credenti, atei, abitanti dell’ex Berlino Ovest ed abitanti dell’ex Berlino Est, con il rischio di una frattura all’interno della dinamica e multietnica società berlinese. Che ha reagito compatta e decisa in favore del ‘no’.
L’idea dei fautori del referendum ‘Pro Reli’ era quella di fornire agli studenti berlinesi provenienti da famiglie religiose un’alternativa al corso di etica. Ma la massiccia campagna non ha dato i frutti sperati. Coloro che hanno detto “sì” al referendum sono stati molto meno dei 612mila necessari per far scattare il quorum. In realtà i ‘Pro Reli’ speravano in un sussulto soprattutto degli abitanti dei quartieri di quella che era un tempo Berlino Est (ed ex-capitale della DDR). La Chiesa tedesca cioè sperava che si ripetesse ciò che era successo in Russia immediatamente dopo il crollo dell’Unione sovietica: un boom di credenti per la Chiesa ortodossa. Ma la situazione era sostanzialmente diversa in Russia. Malgrado le persecuzioni e l’ateismo materialista fin nelle più alte sfere del potere politico, la Chiesa Ortodossa restava comunque il collante di una società arcaica e poco industrializzata.
In Germania invece, sin dalla riunificazione, i tedeschi dell’Est non hanno mai manifestato una reale attrazione per la religione, e sono rimasti sempre freddi di fronte al proselitismo evangelico forzato delle chiese di Germania. E non è bastato a Christoph Lehmann (ex CDU) battezzare il giorno del voto per il referendum ‘Giorno della libertà’ né assoldare nelle sue fila ‘pesi massimi’ come la cancelliera Angela Merkel, il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier ed il popolare presentatore televisivo Günther Jauch. Berlino rimane, assieme all’altra ‘città-stato’ Brema, la sola città tedesca in cui il corso di religione a scuola non è obbligatorio. In Germania infatti non esiste una reale separazione tra chiesa e stato e nei programmi scolastici le ore di religione sono dispensate da insegnanti provenienti dalle diverse comunità religiose (o atee). Il 2006 però è stato un anno spartiacque, con l’ingresso obbligatorio della materia ‘Ethik’ (etica secolare) nei programmi scolastici.
Quell’anno la Germania fu scossa dal delitto d’onore di una giovane donna turca, uccisa dal fratello perché troppo ‘occidentale’. L’episodio ha riproposto in maniera drammatica l’importanza di introdurre un corso che permettesse una discussione aperta su questioni centrali come i valori morali, costituzionali, la tolleranza e la solidarietà. Le classi di ‘Ethik’ si sono pian piano trasformate in una piattaforma di discussione sulle religioni ed un banco di prova della reale integrazione tra studenti cristiani e musulmani (quest’ultimi rappresentano il 43% degli studenti con un background confessionale). Alla fine, nonostante l’appoggio della comunità ebraica e di alcune associazioni musulmane, è parso evidente a tutti che il limite del referendum ‘Pro Reli’ è stato quello di essere stato orchestrato sulla falsariga di un’agenda prettamente cristiana. E forse in questo risiede uno dei motivi del suo fallimento.